Titolo: Chi ha paura muore ogni giorno
Autore: Giuseppe Ayala
Anno di pubblicazione: 2008
Genere: Saggio
Recensione di: Chiara Bortolin
L’organizzazione si infiltra, sfrutta, regola scelte politiche, amministrative ed economiche. Perché cambiare e sopportare il costo della ricerca di nuovi canali di “permeabilità”?
A “Cosa Nostra” è sufficiente disporre di propri uomini nelle istituzioni, nella politica, nell’amministrazione e nell’economia. Meglio che ul sistema rimanga com’è.
Questa e non altro, Signori della Corte, è la Mafia.
Il titolo riprende una citazione di Paolo Borsellino, il Quale, all’oziosa domanda se avesse timore di essere assassinato, in più di un’occasione diede questa risposta. Di mafia si muore: i recenti fatti di Foggia riportano alla ribalta l’evidenza.
Lessi questo libro un paio di mesi addietro, ma non lo recensii, perché ero molto combattuta tra il giudizio critico e il giudizio etico. Mi sono risolta a scriverne a seguito dell’ennesima strage, degli ennesimi commenti banali, del rispettoso silenzio per le vittime, che già confonde le parti. Opto per la chiarezza: il libro, come prodotto letterario non è un capolavoro. Tre, a mio avviso, sono gravi pecche dell’Autore: una ricercatezza stilistica di cui non è all’altezza; l’incapacità di creare un parallelo tra Storia e narrazione, che crea vacanze concettuali; un fastidioso rimescolamento tra vita pubblica e vita privata, che inficia, peraltro, l’empatia con l’Autore.
Nonostante tutto, il libro ha un forte impatto, non tanto nell’emotività, come credo fosse nell’intenzione dell’Autore, ma nella resa dei personaggi coinvolti, nelle sfumature che rendono indefinite gli schieramenti dei buoni e dei cattivi.
Ayala espone la Sua esperienza che necessita, nell’agire con perizia, prudenza e coscienza, della capacità di districarsi in una rete di comportamenti multiformi. Ci sono gli assassini e questi sono i colpevoli, sono i cattivi, facile. Ci sono i mandanti, e questi sono cattivi, facile. Ci sono le vittime e qui la faccenda già si complica, tra vittime afferenti, a varo livello, alle famiglie mafiose, e vittime innocenti, morte per una contingenza, e vittime preannunciate, bersagli in quanto nemici.
Poi, la parte più difficile, sia dal punto di vista della giurisprudenza, sia dal punto di vista morale: la zona grigia. E’ questa un’immensa distesa di umanità, che non è propriamente cattiva, ma non è neanche propriamente buona. Ayala presenta molte circostanze in cui questi grigiore umano prende forma e nome. Per esempio, i membri del CSM che diedero un voto negativo alla nomina di Falcone come sostituto di Caponnetto. L’Autore riporta le motivazioni addotte, sia da chi aveva perorato Falcone, sia di chi lo aveva scartato. Facile capire i buoni, meno facile capire i cattivi.
Altro esempio è rappresentato dal rapporto con i cosiddetti pentiti, che di rado sono pentiti delle proprie azioni nel senso morale del termine, ma, più banalmente, sfruttano il sistema per trarne benefici o vantaggi. Che le informazioni dei pentiti siano utili è indubbio, ma capire in quale squadra giochino questi soggetti, non è semplice.
E ancora peggio per quanto riguarda molti degli esponenti del mondo politico, della Chiesa, dei diversi ordini professionali, del panorama culturale! Dolo, negligenza, malafede, errore: in quale schieramento? Non è speculazione, è bisogno di verità.
Infine ci sono gli altri, i cittadini, la cosiddetta società civile, i singoli. E qui ci si perde nelle paure, nelle connivenze, nei piccoli meschini privilegi, nella mentalità assoggettata al potere, di qualunque colore sia.
La citazione di Borsellino ha un corollario: chi vive nella paura è già morto. iI problema è che finché questo morto trascina la propria pelle in giro, scrivo io, può ancora nuocere: può ancora voltarsi dall’altra parte, può ancora sapere e non denunciare, può ancora trarre un miserabile vantaggio.
Ayala fa riferimento a un orrendo sospetto derivato dalla Sua mancata uccisione, come se il fatto di non essere stato ammazzato dalla mafia lo rendesse più esposto alle critiche, come se fosse necessario diventare un martire per essere riconosciuto dalla parte dei buoni, dimenticando che basta uno scivolone provocatorio come questo a far passare dalla parte dei cattivi.
Questo credo sia l’aspetto più rilevante del testo di Ayala: l’aver reso così chiaro che se la guerra tra Stato e Mafia è fatta da due squadre ben definite, i giocatori, troppo sovente, cambiano maglia.
Ayala non chiude con ottimismo: la Sua veemenza si spegna nell’amarezza e nel dubbio che la partita possa essere vinta dallo Stato, non perché lo Stato non possa vincere, ma perché anche lo Stato sovente cambia squadra, perché i magistrati, i giornalisti, noi, ciascuno di noi, può cambiare squadra. Di mafia si muore, questo è certo. Il dubbio è: ogni giorno?
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