giovedì 11 febbraio 2016

The Waste Land - La Terra Desolata

Autore: Thomas Eliot

Titolo: The Waste Land - La Terra Desolata

Anno di pubblicazione: 1922

Genere: Saggio

Recensione di: Chiara Bortolin



Anch’io ero in attesa dell’ospite atteso. 
Ed ecco arriva il giovanotto foruncoloso, 
Impiegato d’una piccola agenzia di locazione, sguardo ardito, 
Uno di bassa estrazione a cui la sicurezza 
S’addice come un cilindro a un cafone rifatto. 
Ora il momento è favorevole, come bene indovina, 
Il pasto è ormai finito, e lei è annoiata e stanca, 
Lui cerca d’ impegnarla alle carezze 
Che non sono respinte, anche se non desiderate. 
Eccitato e deciso, ecco immediatamente l’assale; 
Le sue mani esploranti non incontrano difesa; 
La sua vanità non pretende che vi sia un’intesa, ritiene 
L’indifferenza gradita accettazione. 



Immagina un assolato mattino di maggio, a un mese dalla maturità, la Prof di Inglese che scandisce devuoesssssssssstllllannnnnnddddd e accompagna la pronuncia con un gesto della mano che sta a significare che le lettere si devono sciogliere lentamente: Se non capite la pronuncia, vuol dire che non avete capito un accidente del significato poetico.

E in effetti io non avevo capito un fico secco del contenuto dei brani letti, anche se per imitazione, come una scimmia, avevo imparato la pronuncia, ma siccome alla maturità mi chiese Wordsworth ana Coleridge, rimandai il problema.

Per l’esame di Letteratura Norda Americana lo rilessi, nella versione del 1922, quella data alle stampe dopo le sforbiciate di Puond, con le note critiche che, bontà sua, Eliot stesso scrisse, e con tanto di altre note esplicative a piè di pagina.

So che ne è stata edita anche la versione originale di Eliot, lunga quasi il doppio, ma, dicono i maligni, senza valere il doppio. D'altronde, Ezra Pound di poesia ne capiva e se ha messo mano allo scritto di Eliot e questo ha dato il suo assenso alla versione rivista, dico, a buon senso, un motivo ci sarà.

La mia conclusione è questa: The Waste Land, preso sul serio, è incomprensibile. Per avere una possibilità di capirlo, bisogna sedersi a un tavolo, con un blocco degli appunti vicino, prendere verso per verso, andare a vedere se esiste un precedente, capire a chi appartenga la citazione e cercare di rimettere insieme i pezzi.  

Eliot in questo poemetto mette di tutto e tu ti trovi ad annaspare tra un rimando a Dante e una distorsione di Shakespeare, se va bene! Quando inciampi nell’antropologia della ritualistica, beh lì ti arrendi e ti dedichi ad altro.

Esiste però un altro modo di leggere The Waste Land, del tutto non ortodosso, vale a dire leggerlo e basta. Lasciare che scorra, giù tutto d’un fiato, come si beve la tequila, alla goccia. Quello che resta, chiaramente, non è comprensione, ma una vaga idea, come il ricordo di un sogno, familiare anche se non ben definito.

E pensare che la desolazione è un fenomeno piuttosto ricorrente. Per esempio: vai a una riunione di lavoro, in cui speri vengano affrontate tematiche cruciali, invece ti rendi conto che ci si perde in chiacchiere a cui tutti attribuiscono un gran significato, tranne te. Questo senso di disagio è desolazione.

Rivedi dei cugini dopo tanto tempo, ti rechi all'incontro con allegria perché credi che sarà piacevole, invece trovi persone della tua età che sembrano invecchiati di botto, che ti rovesciano addosso tutte le loro disgrazie, con una dovizia di particolari. Questo senso di noia è desolazione.

Incontri per strada la tua vicina di banco alle Superiori, che detestavi cordialmente perché oltre a essere bella era anche intelligente e simpatica: scopri che fa un lavoro qualunque, che ha sposato un bastardo qualunque e che non si è nemmeno laureata. Questo senso di sconfitta è desolazione.

Eliot racconta esattamente questo: che la desolazione esiste, non solo dopo la Prima Guerra mondiale, quando Lui scrive; non solo nella malattia mentale, che forse lo ispira; ma nei secoli, negli uomini. Solo che Lui crea una sorta di contraltare tra la mediocrità massificata e alcuni episodi di eccellenza dell’ingegno umana.

Il risultato di questo eccentrico poemetto è che fa sentire un po’ meno soli, un po’ meno esclusi, un po’ meno rari nella diversità. E offre anche un’eccellente via di fuga quando, all'ennesimo discorso straniante ti viene chiesto Tu cosa ne dici?


Aria seria, sguardo profondo da chi la sa lunga: devuoesssssssssstllllannnnnnddddd. Ricordati di accompagnare la pronuncia con il gesto della mano, prima di levare i tacchi, restituendo al tuo interlocutore la sua desolazione.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero