Titolo: The Waste Land - La Terra Desolata
Anno di pubblicazione: 1922
Genere: Saggio
Recensione di: Chiara Bortolin
Anch’io ero in attesa dell’ospite atteso.
Ed ecco arriva il giovanotto foruncoloso,
Impiegato d’una piccola agenzia di locazione, sguardo ardito,
Uno di bassa estrazione a cui la sicurezza
S’addice come un cilindro a un cafone rifatto.
Ora il momento è favorevole, come bene indovina,
Il pasto è ormai finito, e lei è annoiata e stanca,
Lui cerca d’ impegnarla alle carezze
Che non sono respinte, anche se non desiderate.
Eccitato e deciso, ecco immediatamente l’assale;
Le sue mani esploranti non incontrano difesa;
La sua vanità non pretende che vi sia un’intesa, ritiene
L’indifferenza gradita accettazione.
Immagina un assolato mattino di maggio, a un mese dalla
maturità, la Prof di Inglese che scandisce devuoesssssssssstllllannnnnnddddd
e accompagna la pronuncia con un gesto della mano che sta a significare che
le lettere si devono sciogliere lentamente: Se
non capite la pronuncia, vuol dire che non avete capito un accidente del
significato poetico.
E in effetti io non avevo capito un fico secco del contenuto
dei brani letti, anche se per imitazione, come una scimmia, avevo imparato la
pronuncia, ma siccome alla maturità mi chiese Wordsworth ana Coleridge, rimandai il problema.
Per l’esame di Letteratura Norda Americana lo rilessi, nella
versione del 1922, quella data alle stampe dopo le sforbiciate di Puond, con le
note critiche che, bontà sua, Eliot stesso scrisse, e con tanto di altre note
esplicative a piè di pagina.
So che ne è stata edita anche la versione originale di Eliot,
lunga quasi il doppio, ma, dicono i maligni, senza valere il doppio.
D'altronde, Ezra Pound di poesia ne capiva e se ha messo mano allo scritto di
Eliot e questo ha dato il suo assenso alla versione rivista, dico, a buon
senso, un motivo ci sarà.
La mia conclusione è questa: The Waste Land, preso sul serio, è incomprensibile. Per avere una
possibilità di capirlo, bisogna sedersi a un tavolo, con un blocco degli
appunti vicino, prendere verso per verso, andare a vedere se esiste un
precedente, capire a chi appartenga la citazione e cercare di rimettere insieme
i pezzi.
Eliot in questo poemetto mette di tutto e tu ti trovi ad
annaspare tra un rimando a Dante e una distorsione di Shakespeare, se va bene!
Quando inciampi nell’antropologia della ritualistica, beh lì ti arrendi e ti dedichi
ad altro.
Esiste però un altro modo di leggere The Waste Land, del tutto non ortodosso, vale a dire leggerlo e
basta. Lasciare che scorra, giù tutto d’un fiato, come si beve la tequila, alla
goccia. Quello che resta, chiaramente, non è comprensione, ma una vaga idea,
come il ricordo di un sogno, familiare anche se non ben definito.
E pensare che la desolazione è un fenomeno piuttosto
ricorrente. Per esempio: vai a una riunione di lavoro, in cui speri vengano
affrontate tematiche cruciali, invece ti rendi conto che ci si perde in
chiacchiere a cui tutti attribuiscono un gran significato, tranne te. Questo
senso di disagio è desolazione.
Rivedi dei cugini dopo tanto tempo, ti rechi all'incontro con
allegria perché credi che sarà piacevole, invece trovi persone della tua età
che sembrano invecchiati di botto, che ti rovesciano addosso tutte le loro
disgrazie, con una dovizia di particolari. Questo senso di noia è desolazione.
Incontri per strada la tua vicina di banco alle Superiori,
che detestavi cordialmente perché oltre a essere bella era anche intelligente e
simpatica: scopri che fa un lavoro qualunque, che ha sposato un bastardo
qualunque e che non si è nemmeno laureata. Questo senso di sconfitta è
desolazione.
Eliot racconta esattamente questo: che la desolazione esiste,
non solo dopo la Prima Guerra mondiale, quando Lui scrive; non solo nella
malattia mentale, che forse lo ispira; ma nei secoli, negli uomini. Solo che Lui
crea una sorta di contraltare tra la mediocrità massificata e alcuni episodi di
eccellenza dell’ingegno umana.
Il risultato di questo eccentrico poemetto è che fa sentire
un po’ meno soli, un po’ meno esclusi, un po’ meno rari nella diversità. E
offre anche un’eccellente via di fuga quando, all'ennesimo discorso straniante
ti viene chiesto Tu cosa ne dici?
Aria seria, sguardo profondo da chi la sa lunga: devuoesssssssssstllllannnnnnddddd.
Ricordati di accompagnare la pronuncia con il gesto della mano, prima di levare
i tacchi, restituendo al tuo interlocutore la sua desolazione.
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