venerdì 28 novembre 2014

Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale


Titolo: Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale
Autore: Erich Maria Remarque
Prima Edizione: 1929
Genere: Romanzo
Per tutti coloro che, come me, non sanno cosa sia la guerra
Quando ero ragazzina, mentre il nonno riordinava la libreria mi faceva l’elenco dei classici che si devono leggere. Da adolescente, se i vecchi ti consigliano una lettura è garantito che la rifiuterai. Con una spocchia pseudointelletttuale vogliono forgiare la mia mente, ma io non lo permetterò, ti costruisci la tua libreria in cui ti muovi con la disinvoltura di un somaro in smoking.

Su questa dinamica, concordo con Massimo Cacciari: se volessimo far leggere gli adolescenti, dovremmo renderle la letteratura illegale! 

Ne ho sentito parlare in seguito da amici politicamente impegnati, quelli, per intenderci, che si autodefiniscono di controcultura, contro poi cosa, eviti di chiederlo. il manifesto dell’anitimilitarismo, il manifesto del pacifismo. Siccome a me tutti gli –ismi danno un senso di miasma da concetto disintegrato, l’ho sempre lasciato da parte.

A casa però ci è arrivato: era in offerta al supermercato, l’adesivo del prezzo scontato ancora ne deturpa il retro. L’ho comprato e l’ho messo lì, tra i libri da leggere, la seconda pila però, quelli che mi regalano, quelli che mi consigliano, quelli che so già che difficilmente leggerò.

Niente di nuovo sul fronte occidentale è un romanzo sulla Prima Guerra Mondiale. Se sei passato da Addio alle armi e dal Voyage hai già letto tutto! Un romanzo autobiografico per di più: come se le storie personali potessero assurgere a rilevanza storica! Un romanzo di guerra: ci sono più conflitti che libri sui conflitti e più libri di guerra che guerre di cui tu sia a conoscenza!

Una sera però, mi cade in mano, mentre sto combattendo con volumi ribelli che palesano la mia sindrome da accumulo. Lo sfoglio con superficialità e leggo a caso.

Un tempo ci sedevamo qui, chissà da quanto: da questo ponte si respirava l’odore di fresco e un po’ di putrido dell’acqua ingorgata: ci si chinava sopra la corrente…

Non è male. Torno all’incipit. Lo leggo, in piedi davanti alla libreria. Quando sento il formicolio ai piedi, mi siedo sul divano e continuo a leggere. 

Adesso sono convinta, adesso lo dico anch’io: questo libro è da leggere. 

Questo libro è da leggere perché la nostra generazione di guerra non sa niente. La guerra ci confonde: non sappiamo neppure dove siano finiti sessanta milioni di concittadini che sostenevano il Regime; non siamo in grado di capire perché per noi la Prima Guerra Mondiale è del ’15-’18, mentre per il resto del mondo è iniziata un anno prima; non sappiamo capacitarci di come noi ogni guerra alla fine la vinciamo, anche se perdiamo.

Il punto è che noi di guerra non sappiamo niente, a differenza di chi l’ha vissuta e per cui era tutto ciò che non capiva a discapito della propria esistenza. Non lo sappiamo perché non ci appartiene, culturalmente è una fotografia in bianco e nero persa nel cassetto dei ricordi di famiglia.

Mi dirai che anche oggi ci sono guerre in ogni parte del mondo, che alcuni nostri coetanei sono impegnati in missioni di pace, che ogni sera i telegiornali, mentre giri gli spaghetti nel piatto, ti informano sull’ultima battaglia. E tu, che hai una profonda coscienza civile, ti fermi un momento a guardare la duna da cui sbuca la colonna di miliziani, il posto di blocco vicino al fiume gelato, il giornalista che commenta, mentre torni agli spaghetti.

Neanche Paul Bäumer, il protagonista del romanzo, che sul fronte ci va, sapeva niente di guerra. Si arruola con tutti i suoi compagni di classe, con l’entusiasmo dei giovani, con lo spirito tracotante dell’eroe in nuce, che ha però prodotto una miriade di metri cubi di carne macellata. 

 Ci andarono molti, con promesse di gloria dichiarate dai padri, dai padri della Patria, pari della cultura, dai padri e basta: vai, è un nostro chiodo fisso. Ma quattro chiodi fissi fanno una croce.

Mentre essi continuavano a scrivere e a parlare, noi vedevamo gli ospedali e i moribondi; mentre essi esaltavano la grandezza del servire lo Stato, noi sapevamo già che il terrore della morte è più forte.

Noi di guerra non possiamo saperne nulla, anche perché non è cosa da poter essere insegnata. Qualcosa in più forse sappiamo delle promesse mancate. Ma nessuno di noi ha avuto il dispiacere di incontrare se stesso un attimo prima di diventare un cadavere, giocando a dadi con la morte, nessuno di noi può sapere quanto in basso può arrivare per non lasciare la pelle nel fango.

Questo libro non è un classico in assoluto, ma è un classico del futuro, dal momento in cui è stato scritto in avanti; non è neppure un manifesto dell’antimilitarismo, che l’autore esprime in altri scritti; non è un elogio del pacifismo, perché traduce all’incredulo la logica dell’assassinio senza ragione.

Questo libro non vuole essere né un atto di accusa, né una confessione. Esso non è che un tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se è sfuggita alla morte – venne distrutta dalla guerra. 

Questo libro è un inno alla vita, con l’augurio di un’ignoranza sapiente.

venerdì 21 novembre 2014

Il Libretto Rosso


 
Titolo: Novelle
 
Genere: Racconti brevi
 
Recensione di: Chiara Bortolin
 
 
 
Capita, talvolta, di leggere un racconto attraversato da una scheggia di luce.

Può essere una riflessione, un concetto magari semplice, a cui non avevi mai pensato o a cui ti è occorso di pensare, senza però riuscire a esprimerlo.

Capita, più di rado, che il concetto sia anche espresso da una narrazione perfetta, in cui le parole tracciano una chioma luminosa di bellezza.

Quando questo accade, una sensazione di immeritata fortuna e soddisfazione ti pervade, come quando trovi per strada una moneta improvvisa.

Il libretto rosso di Luigi Pirandello è una di queste fortune, forse non abbastanza visibile nel cielo stellato della sua immensa produzione letteraria, che però è da indicare e ricordare, come una Stella Polare sui generis che può orientare il pensiero in direzione della terra.
 
Procediamo con ordine.
 
Il concetto è da subito chiaro, perché Pirandello è uno scrittore di precisione. Il racconto si apre con la descrizione rude, grottesca direbbe l’autore, del paese in cui si svolgono i fatti. 

Nisia. Grosso borgo affaccendato, su una striscia di spiaggia del mare africano.
Nascere in mal punto non è prerogativa soltanto degli uomini.

Capisci immediatamente: la faccenda non avrà un lieto fine. Ma intuisci anche che questo indugiare sui particolari non è casuale, perché non rappresenta una panoramica dell’ambiente in sé, ma la mappatura dell’animo umano. La descrizione corona il concetto, quello semplice, lampante e incisivo di cui scrivevo prima:
 
Molta indulgenza bisogna avere per gli abitanti di Nisia, perché non è molto facile essere onesti quando si sta male.

In due righe, con ovvia e rassegnata serenità, l’autore identifica come teatro di posa le millenarie filosofie del bene in sé, dell’amore discendente e dell’opposizione al male; ma poiché il racconto potrebbe lasciare una sensazione fuorviante, Pirandello da ultimo, con discrezione, in un inciso, riassume tutto: sorride tra le lagrime.
 
Tutto ciò attraverso la narrazione, che ha fatto scuola, che cercano di insegnarti nelle scuole: introduzione, svolgimento e conclusione.

Solo che quando lo fai tu, seduto al banco davanti alla lavagna, questi tre blocchi assumono quella forma rigida e peculiare di ogni metodo. Hanno un bel da dirti gli insegnanti il testo deve scorrere via, non può saltare così! Un avverbio, un aggettivo, un’interiezione deve proprio esserci. Le frasi devono susseguirsi! 

E’ frustrante, oltre che inutile, come ammaestrare il gatto ad abbaiare! Ci sarà un motivo se Luigi è un gigante della Letteratura, mentre tu te la cavi con un sei che ghigna al sette!

No, non lo risolvi con un sermone alla prima ora di italiano. La verità è che affinché tutto fili via liscio, come una melodia, come un Per Elisa, non ti basta il metodo. Devi possedere altro, oltre al concetto chiaro in testa e le parole nitide già dentro la penna. Ci vuole il genio, o almeno un raffinato talento truffaldino.

Ci vuole poesia. La poesia turpe dell’animo umano, quella che porta alla pietà, là dove altri definiscono solo un disprezzato interesse meschino.

La pietà, che non è propriamente quella forma di pubblica compassione riservata ai questuanti, di grazia, non quella! Ma la pietas latina, che permette a un poeta di vestire con bellezza la miseria, così da renderla tollerabile, conosciuta e addirittura comprensibile. Perché l’orrore in sé non lo sarebbe e ti troveresti a voltare lo sguardo verso la vetrina successiva di Yve Saint Laurent: Ci vuole un Pirandello che renda giustizia con la sua meditata tenerezza.
 
Il porcello lo sa, che ha avuto bisogno di latte anche lui, e n’ha avuto, oh! ne ha avuto tanto, perché la mamma sua, benché porca, notte e giorno gliene diede con tutto il cuore, finché ne volle.

Per Pirandello, persino la scrofa afferra che il suo porcellino deve essere nutrito, la scrofa, detta anche porca, che noi escludiamo dagli esempi di amore materno, la scrofa si prende cura del suo porcellino.

Le galline sono tanto stupide che covano anche le uova fetali da altre, e quando da queste uova non loro nascono i pulcini, normanno distinguerli da quelli nati dalle uova loro e li amano e li allevano con la stessa cura.

Le galline, proprio quelle che per antonomasia rendiamo metafora di inettitudine. Anche le galline sono in grado di allevare i propri pulcini.
 
La protagonista del racconto è una madre che ama unicamente la sua figlia biologica, diremo noi oggi, e non il bambino che ha adottato, per denaro. Non è che non provi un briciolo di angoscia, un tentennamento, un dubbio. Ma non è abbastanza e l’amore per la figlia diventa colpa verso un figlio di nessuno.

Eppure non è soltanto lei a essere colpevole, ma anche la ragazza e il suo fidanzato, il Maltese e il paese intero: tutto quel luogo degradato in cui vivono è colpevole.

A nessuno importa di un bambino dai vincoli familiari e sociali così allentanti, nonostante la Legge, a causa alla Legge. Morirà di fame, il bambino, di quella fame sconosciuta ai porcellini e ai pulcini che, per grazia di un bestiale senso materno, vengono accuditi.

Non c’è rancore nelle parole di Pirandello, ma questo lo intuisci già dall’inizio, anche se non gli è proprio possibile tacere la sua indulgente ironia:
 
Se vogliono respirare, debbono andare lassù; ci vanno da morti, e si figurano che, morti, respireranno.

È una bella consolazione.

Sì, è una bella consolazione che per mille atrocità piccole o per cento meschinità enormi ci sia un Pirandello a raccontarle così, oltre al teatro di posa, attraverso la poesia, con bellezza, al di là dell’animo umano, all’interno dell’animo umano, come una scheggia di luce che rischiara il libro delle nostre esistenze, in attesa dell’alba.

A che ora è la notte?

venerdì 14 novembre 2014

Regali di Natale



10 Buoni Libri per 10 Buoni Amici

 


Autore: Harper Lee

Prima Edizione: 1960

Genere: Romanzo

Orientamento: Per capire quando il pregiudizio sia inutile

Assaggio: A volte fa più male la Bibbia in mano a un uomo qualunque, che una bottiglia di whiskey in mano a... a tuo padre, per esempio.

 


Autore: Milan Kundera

Prima Edizione: 1970

Genere: Racconti

Orientamento: L’amore può non essere quello che si crede.

Assaggio: Ma vanno così le cose della vita: uno pensa di recitare la sua parte in uno spettacolo e nemmeno si immagina che sul palcoscenico nel frattempo, di soppiatto, hanno cambiato lo scenario e senza saperlo si ritrova nel bel mezzo di uno spettacolo completamente diverso

 

Titolo: Il profumo

Autore: Patrick Süskind

Prima Edizione: 1985

Genere: Romanzo

Orientamento: Tu che odore hai nel mondo?

Assaggio: Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l'aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c'è modo di opporvisi.

 

Titolo: La Chimera

Autore: Sebastiano Vassalli

Prima Edizione: 1990

Genere: Romanzo

Orientamento: E se la strega fossi tu?

Assaggio: È qui infatti, nelle liti di cortile, che l'odio umano si raffina e si esalta fino a raggiungere vette insuperabili, diventa un assoluto. È l'odio puro: astratto, disincantato, disinteressato; quello che muove l'universo, e che sopravvive a tutto.

 


Autore: Antonio Tabucchi

Prima Edizione: 1994

Genere: Romanzo

Orientamento: Se non ti interessa, diventerai responsabile.

Assaggio: La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro.

 

Titolo: Le Braci

Autore: Sandor Marai

Prima Edizione: 1942

Genere: Romanzo

Orientamento: Non sono le risposte giuste, ma le domande.

Assaggio: Non è vero che il destino si introduce alla cieca nella nostra vita: esso entra dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato, facendoci da parte per invitarlo ad entrare.

 


Autore: Leonardo Sciascia

Prima Edizione: 1961

Genere: Romanzo

Orientamento: Per capire che uomo sei

Assaggio: "Io" proseguì don Mariano "ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, chè mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono cioè i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre."

 


Autore: Maichail Bulgakov

Prima Edizione: 1966

Genere: Romanzo

Orientamento: Un immaginifico viaggio nella realtà dell’animo umano

Assaggio: Seguimi lettore! Chi ha detto che non c'è al mondo un amore vero, fedele, eterno? Gli taglino la lingua malefica a quel bugiardo! Seguimi lettore e io ti mostrerò un simile amore! No, si ingannava il maestro quando all'ospedale, verso mezzanotte diceva con amarezza a Ivanuska che essa l'aveva dimenticato. Questo non poteva accadere. Lei naturalmente non l'aveva dimenticato.

 


Autore: Oscar Wilde

Prima Edizione: 1891

Genere: Romanzo

Orientamento: Per evitare di restare giovani e cretini.

Assaggio; L'esperienza non aveva alcun valore etico, era semplicemente il nome che gli uomini davano ai loro errori. Di regola, i moralisti l'avevano ritenuta un avvertimento, avevano sostenuto che essa aveva una certa efficacia nella formazione del carattere, l'avevano esaltata come qualcosa che ci insegnava la via da seguire e ci mostrava quella da evitare. Ma nell'esperienza non c'è forza motrice. Come causa attiva aveva lo stesso infimo valore della coscienza. In realtà dimostrava solo che il nostro futuro sarà uguale al nostro passato e che il peccato che abbiamo commesso una volta, con disgusto, lo ripeteremo molte volte con gioia.

 


Autore: Nico Orengo

Prima Edizione: 1997

Genere: Racconto

Orientamento: Un curioso viaggio nella tradizione

Assaggio: Camminavano, s'arrampicavano impacciati mentre l'aria intorno cambiava sapore. Quando la vegetazione lo consentiva lanciavano lancia e freccia verso tordi, merli, pernici rosse e bianche, gracchi e poiane. Abbattevano cinghiali e marmotte, camosci e stambecchi. Quando non trovavano selvaggina si dividevano un pugno d'acciughe conservate sotto sale.

venerdì 7 novembre 2014

La Banalità del male



Titolo: La Banalità del Male

Autore: Hannah Arendt

Prima edizione: 1963

Genere: Saggio

 Questo libro non può mancare nella biblioteca di chi, anche solo per curiosità, si interessi di storia contemporanea.

Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità) e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a diventare uno dei più grandi criminali di quel periodo. E anche questo è banale e grottesco.
 
La banalità del male è il reportage del processo a carico di Adolf Eichmann, svoltosi a Gerusalemme nel 1960 e conclusosi nel 1961 con l’esecuzione della sentenza di condanna a morte per impiccagione.

Adolf Eichmann si era occupato della questione ebraica dal punto di vista logistico: il suo compito era organizzare il trasferimento della popolazione ebraica fuori dai confini tedeschi, compito che svolse prima a Berlino e poi, a seguito all’ampliamento dei territori assoggettati al Governo dei Reich, in Austria, in Polonia e in Ungheria. Quando per la questione ebraica venne attuata la soluzione finale, Eichmann si occupò dei trasferimenti degli ebrei presso i campi di concentramento.

In questi termini il libro potrebbe apparire un testo rilevante dal punto di vista storico, ma poco interessante per il grande pubblico, a cui tutto sommato può anche non importare più di tanto il triste epilogo di un uomo che probabilmente solo la famiglia rimpiangerà.

Se fosse solo questo, ma non lo è. Non lo è perché la Arendt offre un’analisi di tutti i soggetti coinvolti, non solo dell’imputato, che lascia senza fiato. Come un agguato, il testo ti coglie alla sprovvista e ti obbliga, mentre stai leggendo di cose spaventose, che qualcun altro ha perpetrato e qualcun altro ha subito, a chiederti da che parte stai e scopri, con orrore, che da qualunque parte tu stia, probabilmente, ci sei dentro fino al collo.

E non era né uno Iago, né un Macbeth e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che “fare il cattivo” – come Riccardo III – per la sua determinazione, eccezion fatta per la sua eccezionale diligenza nel pensare alla propria carriera, egli non aveva motivi per essere crudele, e anche quella diligenza non era, in sé, criminosa; è certo che non avrebbe mai ucciso il suo superiore per ereditarne il posto.

La Arendt restituisce l’immagine di questo soggetto come di un uomo assolutamente normale, come altri personaggi di quel calibro che hanno tanto nociuto.

Quando guardiamo le foto o rivediamo vecchi filmati cerchiamo, nel volto di queste persone, i tratti del male. Forse siamo tutti lombrosiani senza saperlo: vorremmo vedere la faccia del cattivo. Riconoscerla. Stamparcela bene in mente. Puntare il dito e dire: ecco come è fatto un cattivo.

Sarebbe anche molto rassicurante: se riconoscessimo il volto del cattivo, avremmo la certezza di non esserlo noi. Perché noi, come Eichmann, siamo sicuri di non essere il cattivo.

La Arendt ci smonta e in qualche modo lascia a ciascuno di noi il compito di rimettere assieme i pezzi. Non esistono i tratti del cattivo. Non esistono i cattivi assoluti. Non esiste il Male assoluto. Esiste il male, come esiste il bene. Sono i due volti di ogni uomo. La scelta che il fatto stesso di essere un uomo implica.

Non sono banali gli atti efferati che sono stati commessi. Non sono banali i crimini di guerra. Non è banale la conseguenza del male. E’ banale ciò che li provoca: il fatto ineludibile che noi, tutti noi, siamo potenzialmente buoni, ma anche potenzialmente cattivi.

Persone come Eichmann non sono diverse da noi: hanno svolto un lavoro, avevano una famiglia, amavano i loro figli, rispettavano le regole, erano, agli occhi di tutti, e prima ancora di se stessi, delle persone per bene.

Queste persone, questi che abbiamo considerato iconograficamente, cattive, il male personificato, non avrebbero mai commesso atti delinquenziali di matrice personale. Non avrebbero mai picchiato la moglie. Non avrebbero abusato di un bambino. Non avrebbero scippato una vecchietta. Non sarebbero mai finiti in un articolo di cronaca nera.

Queste persone agivano nel rispetto della legge. Amavano il loro Paese, lo servivano con diligenza. La maggior parte di loro ha avuto come unica difesa, già perdente in partenza date le circostanze, Ho fatto quello che era mio dovere fare.

Non c’era nessun sadismo, nessuna crudeltà deliberata, nessuna frustrazione da risolvere. Mancava forse un po’ di profondità, ma forse che tutti abbiamo profondità d’animo e di pensiero? La vacanze di idee è piuttosto diffusa.

Riguarda ognuno di noi: questa latitanza della realtà e questa mancanza di idee possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo.

Bisogna guardarsi nell’animo e avere il coraggio di essere spietati con se stessi. Bisogna avere il coraggio di non fidarsi di se stessi. Bisogna avere il coraggio di ammettere che, potenzialmente, il cattivo potremmo essere noi. Questa potrebbe essere una prima idea.

 Imparare la lezione una buona volta: la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.

...ché quando io parlo della banalità del male, lo faccio su un piano quanto mai concreto.

Marito e padre amorevole, impiegato modello, lontano dalle frivolezze che altri nella sua posizione si sarebbero concessi, Eichmann si rese responsabile, corresponsabile, della privazione della libertà, dell’identità e della vita di una quantità spaventosa di persone.

E non smise mai, anche sotto processo, di ritenersi una brava persona: Ho fatto il mio dovere.

 

 

Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero