Titolo: La Banalità del Male
Autore: Hannah Arendt
Prima
edizione: 1963
Genere:
Saggio
Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità) e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a diventare uno dei più grandi criminali di quel periodo. E anche questo è banale e grottesco.
La banalità del male è il reportage del processo a carico di Adolf Eichmann, svoltosi a Gerusalemme nel 1960 e conclusosi nel 1961 con l’esecuzione della sentenza di condanna a morte per impiccagione.
Adolf Eichmann si era occupato della questione ebraica dal punto di vista logistico: il suo compito era
organizzare il trasferimento della popolazione ebraica fuori dai confini
tedeschi, compito che svolse prima a Berlino e poi, a seguito all’ampliamento
dei territori assoggettati al Governo dei Reich, in Austria, in Polonia e in
Ungheria. Quando per la questione ebraica
venne attuata la soluzione finale,
Eichmann si occupò dei trasferimenti degli ebrei presso i campi di
concentramento.
In questi termini il libro potrebbe apparire un testo
rilevante dal punto di vista storico, ma poco interessante per il grande
pubblico, a cui tutto sommato può anche non importare più di tanto il triste
epilogo di un uomo che probabilmente solo la famiglia rimpiangerà.
Se fosse solo questo, ma non lo è. Non lo è perché la Arendt offre
un’analisi di tutti i soggetti coinvolti, non solo dell’imputato, che lascia
senza fiato. Come un agguato, il testo ti coglie alla sprovvista e ti obbliga,
mentre stai leggendo di cose spaventose, che qualcun altro ha perpetrato e
qualcun altro ha subito, a chiederti da che parte stai e scopri, con orrore,
che da qualunque parte tu stia, probabilmente, ci sei dentro fino al collo.
E non era né uno Iago,
né un Macbeth e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che “fare
il cattivo” – come Riccardo III – per la sua determinazione, eccezion fatta per
la sua eccezionale diligenza nel pensare alla propria carriera, egli non aveva
motivi per essere crudele, e anche quella diligenza non era, in sé, criminosa;
è certo che non avrebbe mai ucciso il suo superiore per ereditarne il posto.
La Arendt restituisce l’immagine di questo soggetto come di
un uomo assolutamente normale, come altri personaggi di quel calibro che hanno
tanto nociuto.
Quando guardiamo le foto o rivediamo vecchi filmati
cerchiamo, nel volto di queste persone, i tratti del male. Forse siamo tutti
lombrosiani senza saperlo: vorremmo vedere la faccia del cattivo. Riconoscerla.
Stamparcela bene in mente. Puntare il dito e dire: ecco come è fatto un
cattivo.
Sarebbe anche molto rassicurante: se riconoscessimo il volto
del cattivo, avremmo la certezza di non esserlo noi. Perché noi, come Eichmann,
siamo sicuri di non essere il cattivo.
La Arendt ci smonta e in qualche modo lascia a ciascuno di
noi il compito di rimettere assieme i pezzi. Non esistono i tratti del cattivo.
Non esistono i cattivi assoluti. Non esiste il Male assoluto. Esiste il male,
come esiste il bene. Sono i due volti di ogni uomo. La scelta che il fatto
stesso di essere un uomo implica.
Non sono banali gli atti efferati che sono stati commessi.
Non sono banali i crimini di guerra. Non è banale la conseguenza del male. E’
banale ciò che li provoca: il fatto ineludibile che noi, tutti noi, siamo
potenzialmente buoni, ma anche potenzialmente cattivi.
Persone come Eichmann non sono diverse da noi: hanno svolto
un lavoro, avevano una famiglia, amavano i loro figli, rispettavano le regole,
erano, agli occhi di tutti, e prima ancora di se stessi, delle persone per
bene.
Queste persone, questi che abbiamo considerato
iconograficamente, cattive, il male personificato, non avrebbero mai commesso
atti delinquenziali di matrice personale. Non avrebbero mai picchiato la
moglie. Non avrebbero abusato di un bambino. Non avrebbero scippato una
vecchietta. Non sarebbero mai finiti in un articolo di cronaca nera.
Queste persone agivano nel rispetto della legge. Amavano il
loro Paese, lo servivano con diligenza. La maggior parte di loro ha avuto come
unica difesa, già perdente in partenza date le circostanze, Ho fatto quello che era mio dovere fare.
Non c’era nessun sadismo, nessuna crudeltà deliberata, nessuna
frustrazione da risolvere. Mancava forse un po’ di profondità, ma forse che
tutti abbiamo profondità d’animo e di pensiero? La vacanze di idee è piuttosto
diffusa.
Riguarda ognuno di noi: questa
latitanza della realtà e questa mancanza di idee possono essere molto più
pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo.
Bisogna guardarsi nell’animo e avere il coraggio di essere
spietati con se stessi. Bisogna avere il coraggio di non fidarsi di se stessi.
Bisogna avere il coraggio di ammettere che, potenzialmente, il cattivo potremmo
essere noi. Questa potrebbe essere una prima idea.
Imparare la lezione
una buona volta: la lezione della
spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.
...ché quando io parlo
della banalità del male, lo faccio su un piano quanto mai concreto.
Marito e padre amorevole, impiegato modello, lontano dalle
frivolezze che altri nella sua posizione si sarebbero concessi, Eichmann si rese
responsabile, corresponsabile, della privazione della libertà, dell’identità e
della vita di una quantità spaventosa di persone.
E non smise mai, anche sotto processo, di ritenersi una brava
persona: Ho fatto il mio dovere.
Non ho mai letto questo libro, ma dalla tua recensione mi pare di capire una cosa, una cosa che forse è difficile da digerire: molti di noi al posto di Eichmann avrebbero compiuto le stesse scelte. Forse per mancanza di idee, forse per paura, forse per adeguarsi o forse perchè convinte davvero di ciò che la propaganda di allora sosteneva.
RispondiElimina"Non si può giudicare una persona senza aver camminato almeno un miglio nelle sue scarpe" recita un vecchio detto. Forse è così anche in questo caso. Oggi sappiamo quanto fosse sbagliato (nonostante nel mondo continuino ad esserci crudeltà nei confronti di minoranze sociali, discrimanzioni e razzismo) ma in quel periodo opporsi era molto difficile.
A mio avviso hai centrato il punto: non esiste il Malvagio o il Buono. Esistono le scelte delle persone. Esistono le persone. Esiste il nostro riflesso allo specchio che dobbiamo avere il coraggio di guardare negli occhi ogni sera convinti di aver fatto del bene.
Jack
non so se al posto di Eichmann avremmo fatto le stesse scelte, dico che è pericoloso dare per scontato che non le avremmo fatte...
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