venerdì 7 novembre 2014

La Banalità del male



Titolo: La Banalità del Male

Autore: Hannah Arendt

Prima edizione: 1963

Genere: Saggio

 Questo libro non può mancare nella biblioteca di chi, anche solo per curiosità, si interessi di storia contemporanea.

Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità) e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a diventare uno dei più grandi criminali di quel periodo. E anche questo è banale e grottesco.
 
La banalità del male è il reportage del processo a carico di Adolf Eichmann, svoltosi a Gerusalemme nel 1960 e conclusosi nel 1961 con l’esecuzione della sentenza di condanna a morte per impiccagione.

Adolf Eichmann si era occupato della questione ebraica dal punto di vista logistico: il suo compito era organizzare il trasferimento della popolazione ebraica fuori dai confini tedeschi, compito che svolse prima a Berlino e poi, a seguito all’ampliamento dei territori assoggettati al Governo dei Reich, in Austria, in Polonia e in Ungheria. Quando per la questione ebraica venne attuata la soluzione finale, Eichmann si occupò dei trasferimenti degli ebrei presso i campi di concentramento.

In questi termini il libro potrebbe apparire un testo rilevante dal punto di vista storico, ma poco interessante per il grande pubblico, a cui tutto sommato può anche non importare più di tanto il triste epilogo di un uomo che probabilmente solo la famiglia rimpiangerà.

Se fosse solo questo, ma non lo è. Non lo è perché la Arendt offre un’analisi di tutti i soggetti coinvolti, non solo dell’imputato, che lascia senza fiato. Come un agguato, il testo ti coglie alla sprovvista e ti obbliga, mentre stai leggendo di cose spaventose, che qualcun altro ha perpetrato e qualcun altro ha subito, a chiederti da che parte stai e scopri, con orrore, che da qualunque parte tu stia, probabilmente, ci sei dentro fino al collo.

E non era né uno Iago, né un Macbeth e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che “fare il cattivo” – come Riccardo III – per la sua determinazione, eccezion fatta per la sua eccezionale diligenza nel pensare alla propria carriera, egli non aveva motivi per essere crudele, e anche quella diligenza non era, in sé, criminosa; è certo che non avrebbe mai ucciso il suo superiore per ereditarne il posto.

La Arendt restituisce l’immagine di questo soggetto come di un uomo assolutamente normale, come altri personaggi di quel calibro che hanno tanto nociuto.

Quando guardiamo le foto o rivediamo vecchi filmati cerchiamo, nel volto di queste persone, i tratti del male. Forse siamo tutti lombrosiani senza saperlo: vorremmo vedere la faccia del cattivo. Riconoscerla. Stamparcela bene in mente. Puntare il dito e dire: ecco come è fatto un cattivo.

Sarebbe anche molto rassicurante: se riconoscessimo il volto del cattivo, avremmo la certezza di non esserlo noi. Perché noi, come Eichmann, siamo sicuri di non essere il cattivo.

La Arendt ci smonta e in qualche modo lascia a ciascuno di noi il compito di rimettere assieme i pezzi. Non esistono i tratti del cattivo. Non esistono i cattivi assoluti. Non esiste il Male assoluto. Esiste il male, come esiste il bene. Sono i due volti di ogni uomo. La scelta che il fatto stesso di essere un uomo implica.

Non sono banali gli atti efferati che sono stati commessi. Non sono banali i crimini di guerra. Non è banale la conseguenza del male. E’ banale ciò che li provoca: il fatto ineludibile che noi, tutti noi, siamo potenzialmente buoni, ma anche potenzialmente cattivi.

Persone come Eichmann non sono diverse da noi: hanno svolto un lavoro, avevano una famiglia, amavano i loro figli, rispettavano le regole, erano, agli occhi di tutti, e prima ancora di se stessi, delle persone per bene.

Queste persone, questi che abbiamo considerato iconograficamente, cattive, il male personificato, non avrebbero mai commesso atti delinquenziali di matrice personale. Non avrebbero mai picchiato la moglie. Non avrebbero abusato di un bambino. Non avrebbero scippato una vecchietta. Non sarebbero mai finiti in un articolo di cronaca nera.

Queste persone agivano nel rispetto della legge. Amavano il loro Paese, lo servivano con diligenza. La maggior parte di loro ha avuto come unica difesa, già perdente in partenza date le circostanze, Ho fatto quello che era mio dovere fare.

Non c’era nessun sadismo, nessuna crudeltà deliberata, nessuna frustrazione da risolvere. Mancava forse un po’ di profondità, ma forse che tutti abbiamo profondità d’animo e di pensiero? La vacanze di idee è piuttosto diffusa.

Riguarda ognuno di noi: questa latitanza della realtà e questa mancanza di idee possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo.

Bisogna guardarsi nell’animo e avere il coraggio di essere spietati con se stessi. Bisogna avere il coraggio di non fidarsi di se stessi. Bisogna avere il coraggio di ammettere che, potenzialmente, il cattivo potremmo essere noi. Questa potrebbe essere una prima idea.

 Imparare la lezione una buona volta: la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.

...ché quando io parlo della banalità del male, lo faccio su un piano quanto mai concreto.

Marito e padre amorevole, impiegato modello, lontano dalle frivolezze che altri nella sua posizione si sarebbero concessi, Eichmann si rese responsabile, corresponsabile, della privazione della libertà, dell’identità e della vita di una quantità spaventosa di persone.

E non smise mai, anche sotto processo, di ritenersi una brava persona: Ho fatto il mio dovere.

 

 

2 commenti:

  1. Non ho mai letto questo libro, ma dalla tua recensione mi pare di capire una cosa, una cosa che forse è difficile da digerire: molti di noi al posto di Eichmann avrebbero compiuto le stesse scelte. Forse per mancanza di idee, forse per paura, forse per adeguarsi o forse perchè convinte davvero di ciò che la propaganda di allora sosteneva.

    "Non si può giudicare una persona senza aver camminato almeno un miglio nelle sue scarpe" recita un vecchio detto. Forse è così anche in questo caso. Oggi sappiamo quanto fosse sbagliato (nonostante nel mondo continuino ad esserci crudeltà nei confronti di minoranze sociali, discrimanzioni e razzismo) ma in quel periodo opporsi era molto difficile.

    A mio avviso hai centrato il punto: non esiste il Malvagio o il Buono. Esistono le scelte delle persone. Esistono le persone. Esiste il nostro riflesso allo specchio che dobbiamo avere il coraggio di guardare negli occhi ogni sera convinti di aver fatto del bene.

    Jack

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    1. non so se al posto di Eichmann avremmo fatto le stesse scelte, dico che è pericoloso dare per scontato che non le avremmo fatte...

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero