Autore: Emile Zola
Titolo: L’Assommoir
Anno di Pubblicazione: 1876
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin
Gervaise aveva aspettato alla finestra Lantier fino alle due del mattino. Poi, tremante di freddo, per essere rimasta in camicia all’aria pungente della finestra, s’era gettata di traverso sul letto e si era assopita, febbricitante, con le guance umide di pianto.
Gervaise è una lavandaia immigrata dalla campagna alla città in cerca di una vita migliore. A Parigi Gervaise conosce la miseria, se ne solleva, diventa benestante. Ma proprio il successo sarà la causa della sua rovina, in un’alternanza di vicende economiche e sentimentali che chiudono il tutto nella solitudine, nella povertà e nella degradazione.
L’Assommoir è il primo di un ciclo di romanzi che Zola dedica al tema della povertà, in tutte le sue sfaccettature: economica, culturale e umana. Il materiale su cui si basano i ritratti viene da Zola cercato con gran cura: l’Autore indaga nella realtà parigina con la stessa scientifica attenzione di un ricercatore moderno, in un laboratorio sociale che è il ceto proletario.
L’approccio di Zola è simile a quello di altri Realisti che ora si ricordano come grandi scrittori, Verga, Huysman, Gogol, ma ai suoi tempi Zola dovette lottare per emergere. Non solo dovette sempre lavorare per mantenersi, poiché non veniva da un famiglia ricca, ma le sue idee non vennero accolte con immediato entusiasmo.
In un contesto storico in cui la parola d’ordine era progresso, in cui l’innovazione scientifica diventava immediatamente innovazione industriale, in cui l’espansione delle ferrovie espandeva i mondi, le voci che denunciavano i costi del progresso o i lati oscuri di esso, non potevano certo trovare consensi.
Anche nel panorama culturale, in cui più facilmente Zola avrebbe potuto trovare appoggio, ebbe difficoltà. Se unanime era il riconoscimento circa la sua straordinaria capacità letteraria, molto meno condivise erano le sue analisi. Zola scrive le storie di personaggi in miseria, lontano della decadenza elegante e ricercata di uno Huysman; scrive di sommersi, senza una rivendicazione marxista; scrive di perdenti senza gloria, più vicino al determinismo sociale che al positivismo che si stava aprendo la strada. Troppo contemporaneo in un mondo culturale che voleva inventare il futuro.
Oggi restano i suoi meravigliosi romanzi, di cui l’Assommoir è certo uno dei migliori; ci resta un immaginario, di un artista che aveva per amici Moupassant e Cezanne e per nemici Wilde e Gilde e che viveva in una delle città più vivaci e stimolanti dell’Ottocento: ci resta l’icona dello scrittore dalla burrascosa vita sentimentale, dal grande impegno, dalla fuga rocambolesca a Londra e la morte sospetta.
Storicamente l’immaginario non è corretto, probabilmente è una mistificazione. Ma la Letteratura, per quanto realista, non pretende di essere vera: al più onesta. Da questo punto di vista allora forse anche ciò potrebbe essere un merito dei grandi scrittori: dare bellezza alla realtà, trasformare la cronaca in poesia e regalare ai fatti la possibilità dell’immaginazione.