giovedì 20 agosto 2015

UN OSPITE d'ONORE


Titolo: Un Ospite d’Onore

Anno di Pubblicazione: 1970

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin



Ricordo ancora i coccodrilli e i servizi sulla Gordimer subito dopo la sua morte. Il solito imbarazzante profluvio di elogi, il solito trafelato interesse tardivo, il solito deprimente abbuffarsi dei meriti dei morti: sciacalli che affollano un preda ancora calda per accaparrarsi il pezzo più grosso della fama altrui.

Difficile credere che un personaggio come la Gordimer potesse stare comoda da qualche parte, se non dalla propria. Si torna sempre a questo punto: gli intellettuali hanno il privilegio di stare scomodi ovunque, anche in quelle parti che, magari dopo lunga riflessione, magari con zelo, sicuramente con prudenza, sono disposti a supportare. La verità è che il mondo che un intellettuale abbraccia è troppo vasto per avere un’appartenenza. Si comprende subito leggendo questo ricchissimo romanzo.

La trama narra le vicende di un uomo inglese che era vissuto in Sudafrica durante il colonialismo e che, già al tempo, simpatizzava per i movimenti di emancipazione nera. Rientrato in patria, segue gli eventi da lontano, ma, con sua sorpresa e piacere, al momento dell’indipendenza viene richiamato dal Neo-Presidente per contribuire allo sviluppo di questa nuova nazione. 

Gli eventi che seguono al suo ritorno in Sudafrica e alla sua permanenza, sono l’occasione che costruisce l’Autrice per compiere un’analisi complessa.

Gli argomenti che vengono trattati sono così numerosi e profondi che in un piccolo saggio introduttivo come questo si possono solo citare, perché il tentare di esaminarli sarebbe un vilipendio.

C’è un aspetto fondamentale che è quello dell’identità che il protagonista è costretto ad affrontare con se stesso, smarrendosi in tempi e circostanze mutate.

C’è il tema della ricerca di un’identità nazionale, di una nazione che non solo non è mai stata tale, ma che neanche sembra sapere cosa voglia diventare.

C’è il tema del razzismo, che assume un volto diverso dal querulo discutere delle parti, ma  come un disperato strumento per definire la propria appartenenza: io sono ciò che tu non sei. 

C’è poi la geografia, che non è solo quella politica di un confine, ma che diventa una distanza che separa: la città dal bush, i quartieri uno dall’altro, le aree industriali da quelle agricole.

E c’è un amore viscerale per la natura, che non ha nulla dell’ambientalismo a la page, ma è il saper trasmettere, in un’ operazione di ricerca e traduzione, l’esperienza e la conoscenza. Si legge questo libro e si percepisce il clima torrido, i profumi del bush, la polvere arida e la luce violenta e seppure si vive a migliaia di chilometri si è aggrediti da questa suggestione.

Quando un romanzo offre una sinfonia di significati, ciascuno con una sfumatura particolare. La bellezza è nell’armonia che la Scrittrice riesce a ricreare. Il rammarico è non avere gli strumenti per fare altrettanto. Il dispiacere è vederne stracciati gli spartiti.


Si dovrebbe, quando queste persone scompaiono, avere il decoro di tacere sulle loro biografie e riflettere su ciò che loro hanno lasciato, perché le loro idee continuano a sussurrarci di essere prudenti.


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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero