Titolo: Antologia di Spon River
Anno di Pubblicazione: 1914
Genere: Poesia
Recensione di: Chiara Bortolin
Avrai sicuramente sentito parlare di Spoon River: un libro cult, un libro di controcultura, un libro di nicchia. Insomma, un libro famoso, ma non da accademia, non da Nobel, non da premi prestigiosi. E, verrebbe da dire, con buone ragioni.
A voler trovare una dicitura elegante, che tanto piace agli amici strutturalisti, ti direi che Spoon River è un libro che ha maggior valore per il contenuto extradiegetico, piuttosto che per il contenuto dietetico. Vale a dire che è più rilevante per ciò che sta fuori da libro che ciò che sta dentro.
Il libro si fonda su un’idea indubbiamente originale: l’Autore immagina di visitare un cimitero e di ritrovare sulle tombe epigrafi che svelano le storie dei trapassati. Alcune storie si intersecano, altre no; alcune storie riguardano persone vissute in un lontano passato, altre di tempi più recenti; uomini, donne, bambini; vittime e assassini; persone sfortunate o felici. Le storie rispecchiano le vite di molti, raccontate dal punto di vista dei protagonisti che ora, da morti, possono dire ciò che vogliono.
Un’idea originale, indubbiamente. Lo stile non fa certo gridare alla genialità: semplice, lineare, con qualche rara pennellata di poesia, più velleitaria che voluta. Tant’è che viene definito un libro di poesia, per convenzione, più per l’estetica dell’andare a capo che per la complessità che la poesia con la P maiuscola offre.
Si legge bene, via. In questo senso è un libro generoso: regala la sensazione di una lettura complessa, con l’agilità di farsi leggere sul bus, mentre si aspetta un amico o prima di dormire. I Poeti di solito sono più esigenti!
Fu però subito un grande successo, che un po’ illuse anche il suo Autore che si ostinò a voler scrivere, sulle tovagliette delle trattorie in cui trascorreva la pausa pranzo, sperando in un altro best seller che non arrivò mai, per sua fortuna senza abbandonare la sua carriera di avvocato.
Ebbe fortuna per l’idea, ma soprattutto per ciò che implicitamente trasmetteva: da morti si può dire la verità o mentire impuniti, in ogni caso i morti sono liberi. Una chiara critica alla società conformista, ipocrita, borghese, il discorso lo puoi intuire.
In Italia poi questo libro si legò ad altre storie, di vivi, almeno all’epoca. Il testo di Spoon River, nell’edizione americana, era nella biblioteca di Pavese, che lo diede a Fernanda Pivano affinché comprendesse la differenza tra la letteratura inglese e la letteratura americana. La Pivano, oltre a capire quello che deve capire, traduce. Traduce con prudenza perché in quegli anni, un libro così, avrebbe potuto incontrare delle difficoltà. Un libro contro il conformismo, direttamente o indirettamente, sta dalla parte del pensiero libero, non rispecchiava certamente i desiderata del regime fascista. Ciò nonostante Pavese convince Einaudi a pubblicarlo e, con un piccolo inganno, il testo passa la censura del Ministero della Cultura. Ovviamente il sotterfugio venne scoperto e la Piavno finì in carcere. Io trovo che questa storia sia bellissima, un bellissimo canto di amore per la libertà, per il pensiero e per la letteratura.
Ma la poesia, la poesia vera, venne infusa anni dopo, in queste storie, quando Fabrizio De André le riscrisse, migliorandole, facendone un concept album Non al denaro non all’amore né al cielo, uscito nel 1971, e alla cui pubblicazione partecipò anche la Pivano. Come dire che la storia non si chiude con la fine del libro.
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