Titolo: Il PCI ai Giovani
Anno di Pubblicazione: 1968
Genere: Lettera aperta
Recensione di: Chiara Bortolin
Il 1° marzo 1968 è ricordato come il girono dei fatti di Valle Giulia: un violento
scontro tra gli studenti universitari, che volevano rioccupare la sede della
Facoltà di Architettura a Roma, e le Forza dell’Ordine che da giorni
presidiavano il sito, dopo uno sgombero forzato.
L’episodio fece grande scalpore, ma ancora più scalpore fece
il commento che scrisse Pasolini il giorno dopo. Una sorta di lettera aperta
contro i manifestanti, con il tono di una reprimenda.
Nessuno si sarebbe mai aspettato una presa di posizione in
questo senso: gli schieramenti sembravano così chiari! Gli studenti reclamavano
Tutto Subito; le Forze dell’Ordine
erano considerate il braccio armato dello
Stato; c’erano i borghesi conservatori e i proletari progressisti; c’era la
destra autoritaria e la sinistra libertaria. Che Pasolini facesse dei distinguo
sembrava impossibile. Se speculi stai dalla parte del nemico.
Ora io vorrei proprio evitare i soliti pettegolezzi, svenduti
come storia un tanto a banalità, buon peso per tutti i democratici della
domenica.
E vorrei anche evitare, con buona pace degli esaltatori
postumi di Pasolini, un’apologia del suo defunto idealismo.
Vorrei invece soffermarmi su due aspetti diversi ma integrati
di questo Autore: il primo è la penna, il secondo è il rigore.
La penna: leggi questo articolo ed è chiaro, cristallino,
ineccepibile. Tanto semplici le parole quanto profondi i significati. Sfido
chiunque a non comprendere il senso di questo articolo. Non c’è bisogno di aver
vissuto il Sessantotto, di aver letto Marx, di avere coscienza politica. Scrivere
così, saper rendere la complessità nella semplicità, non è roba da tutti. Prova
ne è che persino Nietzsche con ironia sottolineava come gli intellettuali
tendano curiosamente a confondere il profondo con l’oscuro. Pasolini scrive per
tutti, in questa occasione, e il risultato è un’infilata di parole, una dietro
l’altra, che non si può smettere di leggere. E’ commovente l’amore di Pasolini
per le parole.
Poi, il rigore: che emerge dalla punteggiatura, durissima,
per esprimere contenuti durissimi. Questa è l’onestà intellettuale, questo è il
rigore morale, questo è assumersi la responsabilità di essere un intellettuale.
Dire sempre ciò che si pensa. Dire apertamente a chi si sostiene altrettanto
apertamente: no, non sto dalla tua parte. Avere il coraggio di stare da una
parte che è sempre la propria, senza cercare il consenso.
Questa la ragione per cui ho scelto questo brano di Pasolini:
non si può leggere Teorema se non si
ha in mente la straordinaria personalità di questo Autore; non si può leggere
nemmeno l’Empirismo Eretico, se non si ha
in mente il vigore intellettuale, la ricchezza culturale, il costante impegno
per mantenere la propria intelligenza.
Lo dico molto francamente: mi disgusta lo scempio che viene a
tutt’oggi fatto di Pasolini. Pasolini, il poeta degli ultimi! Pasolini, il
cultore del Comunismo. Pasolini il guru del movimento di rinnovamento
culturale! Pasolini! Uh!
Pasolini li avrebbe mandati tutti al diavolo. Non aveva
ragione su tutto, anzi forse aveva molti torti, ciascuno ha una sua opinione,
ma certamente egli non apparteneva che a se stesso e questa sua conservazione
lo rendeva un vero intellettuale.
Il peso del proprio pensiero lo si legge nella scelta delle
parole, così accurate, così volute, nello scritto come nel parlato; nella
sintesi che non è demistificazione; nell’attesa che non è vanto.
Di Pasolini si è detto tutto e il contrario di tutto. Ogni
volta che leggo queste poche righe mi inchino, non per la poesia, non per i
film e nemmeno per i romanzi, ma perché leggo, assaporo e centellino le parole
di un uomo libero.
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