venerdì 25 settembre 2015

Rimbaud: genio e bellezza



Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino, in cui si aprivano
tutti i cuori, tutti i vini scorrevano. 
  Una sera, ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia. - E l'ho
trovata amara. - E l'ho insultata. 


Quando penso a Rimbaud, penso alla bellezza. Tutta la sua poetica è una
ricerca dell’essenza della poesia, che altro non può essere che l’essenza
della bellezza. 
Il metodo attraverso cui Rimbaud persegue il suo fine è l’esperienza di vita
e qui nasce il fraintendimento: il Poeta maledetto, genio e sregolatezza e
tutte quelle vacuità da soap-opera che trasformano una delle menti più
brillanti dell’Ottocento in una rockstar ante litteram.

Voglio essere poeta, e lavoro a rendermi Veggente: 
lei non ci capirà niente, e io quasi non saprei spiegarle. 
Si tratta di arrivare all'ignoto mediante 
la sregolatezza di tutti i sensi. 
Le sofferenze sono enormi, ma bisogna essere forti, 
essere nati poeti, e io mi sono riconosciuto poeta. 


Per Rimbaud la poesia si può raggiungere solo attraverso l’esperienza
diretta: il poeta è una sorta di cavia, un oggetto di studio, un uomo votato
al sacrificio di se stesso, per un fine più alto. Il poeta non è più un
uomo, ma cerca l’essenza dell’umanità dentro se stesso per poi ricavarne la
bellezza.
E’ necessario che il poeta vada fino in fondo, vada a fondo, perché se la
bellezza esiste davvero, la si può trovare solo eliminando tutto il resto:
la bellezza, la poesia, è l’essenza dell’umanità. Tutto il resto è
contingente.
Per questo Rimbaud si dedica con generosa passione a infrangere ogni sorta
di barriera. Per questo si può dire che lo avrebbe fatto in ogni caso, non
c’era nessun desiderio di gloria, nessuna ricerca del successo, che infatti
non ebbe, nessuna patetica scusa.

A volte parlava, con uno strano dialetto addolcito, della morte che fa
pentire, degli infelici che certamente esistono, dei lavori penosi, delle
partenza che straziano il cuore. Nelle bettole in cui ci ubriacavamo,
piangeva considerando quelli che ci stavano intorno bestie da miseria.
Rialzava gli ubriachi nei vicoli oscuri. Aveva la pietà di una cattiva madre
con i suoi bambini piccoli, aveva la grazia di una fanciulla che va al
catechismo. Si fingeva esperto di tutto commercio, arte, medicina. E io lo
seguivo, dovevo.


Paul Verlaine, che pure apparteneva a un’altra classe e a un’altra scuola,
aveva colto la profondità di Rimbaud, l’innovazione che la sua poetica
aveva, il vitalismo che occorreva a una cultura ormai asfittica e
manierista. Chiamò Rimbaud a Parigi, lo ospitò, lo introdusse nei circoli
degli intellettuali. Ma non era il tempo di Rimbaud, troppo anticipatore,
quasi profetico: la Storia li travolse. 
Alcolista, oppiomane, pederasta, anticonformista e, detto inter nos, anche
un po’ cafone, la ricerca di Rimbaud della bellezza lo condusse di eccesso
in eccesso, di sofferenza in sofferenza, a una giovane e involontaria morte,
per cancro, unica esperienza che non avrebbe cercato. Ma oramai aveva
trovato la bellezza, l’aveva regalata all’umanità sotto forma di poesia,
aveva raggiunto il cuore dell’Uomo.
Nonostante i tentativi della famiglia di riabilitare il proprio nome
nell’oblio delle gesta, nonostante i detrattori contemporanei e i
pettegolezzi successivi, la poesia sopravvisse.
Ci hanno promesso di seppellire nell'ombra l'albero del bene e del male, di
deportare le onestà tiranniche, affinché potessimo condurre il nostro più
puro amore. Tutto cominciò con un certo disgusto e tutto finì, – non potendo
noi impadronirci subito di quell’eternità, – tutto finì con un effluvio di
profumi.x

venerdì 18 settembre 2015

La Capanna dello Zio Tom



Autrice: Harret Becker Stowe

Anno di pubblicazione: 1853

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin


Un mia cara amica mi aveva chiesto, qualche tempo fa, di suggerirle un bel romanzo. “Potresti leggere La Capanna dello Zio Tom, è bellissimo”. La mia amica, un po’ offesa, mi rispose “Ma è un libro per bambini”.

Era una giornata freddissima del mese di febbraio, e nella città di P., nel Kentucky ad ora già avanzata due gentlemen, seduti col bicchiere in mano in una ricca sala da pranzo, liberi dall'incomoda presenza dei servi, discorrevano con molto calore sopra un argomento di alta importanza. Abbiamo detto due gentlemen, ma per modo di dire; perché uno di essi, attentamente osservato, a tutto rigore non appariva tale.

Questo non è un libro per bambini. E’ un fatto anzi curioso: molta parte della Letteratura anglosassone dell’Ottocento è stata considerata per molta parte del Novecento, e forse lo è tuttora, letteratura per l’infanzia. E’ capitato ai libri di Dickens, di Melville, di Twain. Eppure non erano stati scritti per i bambini, tutt’altro. La maggior parte di questi romanzi venivano in prima istanza pubblicati a puntate su riviste non solo rivolte a un pubblico adulto, ma anche acculturato.

Il motivo per cui successivamente siano finiti nelle biblioteche per ragazzi, francamente non lo so. Ci sono diverse teorie in proposito, non è un fenomeno trascurato dagli storici della letteratura. Alcuni sostengono che il motivo stia nel fatto che sono romanzi ad alto contenuto educativo perché contengono una morale di fondo, come le fiabe classiche. Altri sostengono che il motivo sia la struttura dei personaggi è piuttosto semplice: buono e cattivo, eroe e antieroe, furbo e sciocco. Un’altra corrente ancora, molto più raffinata, ovviamente, sostiene che questo fenomeno sia attribuibile a una sorta di infantilismo della cultura anglosassone rispetto alla maturità della cultura europea; tesi che però non spiega perché questo infantilismo della cultura americana, dovrebbe coinvolgere anche quella inglese, che, per età e profondità, se non per geografia, risulta ancora di natura europea.

La mia personalissima, e quindi probabilmente sbagliata, tasi è anche molto meno elegante: semplicemente, per molto tempo i genitori hanno dato da leggere ai figli quello che avevano letto loro, certi che il contenuto fosse adatto. D’altronde le vere e proprie narrazioni per ragazzi sono una trovata editoriale piuttosto recente.

Potremmo poi discutere sulla crudeltà degli educatori nel riempire i pomeriggi dei loro figli di bambini orfani, matrigne cattive e orfanotrofi terribili, ma queste sono faccende private!

Sempre per rimanere in ambito privato, la mia cara amica, un po’ storcendo il naso, lesse La Capanna dello Zio Tom e ne fu, ammise dopo, contenta.

Ah, come sono vere le grandi, le eterne parole: "Non potrà conservarsi libera nessuna nazione in cui la libertà è un privilegio e non un principio"! 

Il romanzo è ambientato in America nel periodo precedente la guerra civile tra nordisti e sudisti. Il protagonista è Tom, uno schiavo di colore, di animo buono, che, nonostante molte vicissitudini, rimane fedele a se stesso. La storia di Tom si articola in molti incontri, cambiando di padrone in padrone per tutta la vita, e questi incontri sono il pretesto, per l’Autrice, per esprimere le diverse posizioni rispetto al tema della schiavitù.

Oltre a un intreccio avvincente, il romanzo ha il pregio di essere scritto con garbo, se non proprio con raffinatezza, scorrevole senza essere banale, complesso senza essere difficile. Mi sento anche di dire, con una punta di malizia, che, nonostante l’Autrice tratti di nobili sentimenti ed elevati ideali, non aggrava il testo di toni melodrammatici, di scialbi piagnistei e sentimentalismi da donnicciole.

Giovanni van Trompe era stato in altri tempi ricco proprietario di terre e di schiavi del Kentucky. Essendo stato dotato da madre natura d'un cuore grande, giusto, leale, non aveva potuto reggere al sistema schiavistico che vigeva nel paese. Un bel giorno, il suo grande cuore si rifiutò di continuare in quel sistema. Ammassò tutto il denaro che poté e, passato nello stato dell'Ohio, dove non c'era schiavitù, comperò un buon appezzamento di terreno, liberò tutti i suoi schiavi e li mandò laggiù, che ciascuno provvedesse a fare la sua fortuna. Per sé, risalì il fiume e si andò a stabilire in quella remota e solitaria fattoria, per vivere in pace con la propria coscienza.

La Capanna dello Zio Tom non è un pilastro della Letteratura, ma è credo che abbia diritto a un piccolo posto nella libreria di casa perché fu, alla sua uscita, fonte di grande dibattito e svegliò qualche coscienza assopita. Un merito questo che temo pochi best seller, per bambini o meno, oggi possano vantare!

E un altro piccolo merito va al fatto che, nella sua dolcezza e nella sua leggerezza, è un libro per tutti: grandi e piccini, colti e illetterati, giovani e vecchi. Alla resa dei conti, questo non capolavoro della letteratura, che mi diedero da leggere da bambina e che rilessi con piacere da adulta, continua a essere un libro a cui affezionarsi.

giovedì 10 settembre 2015

Le Parole Sono Importanti


Titolo: Le Parole Sono Importanti

Autore; Gianluca Giansante

Anno di Pubblicazione: 2011

Genere: Saggio

Recensione di Chiara Bortolin

Lo dico con profondo rammarico: si è in un contesto in cui Le parole non valgono niente. E’ evidente, se si presta attenzione alle conversazioni altrui che disgraziatamente intralciano lo scorrere dei propri pensieri: la gente esprime opinioni su tutto, con la presunzione di un esperto, fatto salvo che di esperti, in ogni campo, ce ne sono pochi e occorre di rado che si incontrino nei salotti delle parrucchiere, alla fermata del bus o in coda al supermercato.

Lo dico con profonda indignazione che Le parole non valgono niente e vorrei che si apprezzasse lo sforzo profuso nell’allenarmi a questo sguardo socchiuso sul un mondo di noia, l’impegno richiesto per far roteare la penna con lentezza mentre faccio sgocciolare parole e soprattutto vorrai che si apprezzasse il dispendio economico che comporta il logorare una giacca di Missoni al solo fine di potersi dichiarare un intellettuale.

Fatta questa doverosa e reciproca premessa, posso affermare che in effetti una certa svalutazione del significato delle parole, non delle parole, si percepisce. Il problema, poi, non è neppure questo, ma piuttosto che la decadenza del significato comporta e corrisponde alla decadenza dei concetti.

Corollario di questa inflazione non è solo che tutti hanno un’opinione su tutto, immigrazione, surriscaldamento climatico, energia nucleare o collocamento dei bigodini, ma che, peggio che peggio, si accettano con profondo senso democratico tutte le opinioni in pari misura. O almeno lo si dichiara, chè, all’atto pratico, se si è colti da infarto si è ben disposti a rinunciare all’opinione del vicino di casa preferendo, a buon diritto, la competenza del cardiochirurgo.

In questa congerie di luoghi comuni, si attribuisce la stessa insufficienza di concetti e di significati anche alla classe politica, senza troppi distinguo. Le parole sono importanti smentisce questa frettolosa e confortante idea di una classe politica tutta propensa a parlare come pensa, cioè approssimativamente.

Il saggio presenta l’analisi delle strategie di comunicazione che sono state adottate dai partiti politici italiani, con particolare riferimento ai loro esponenti di spicco. Bisogna riconoscere all’Autore il merito di avere scritto un saggio ben strutturato, ordinato, intuitivo, in cui a ogni partito viene attribuito un capitolo suddiviso in paragrafi con singoli micro-argomenti.

Altro merito è aver compiuto un’analisi sufficientemente precisa da non essere superficiale, senza cedere alle velleità di pedanteria che sovente, chi tratta di materie tecniche, confonde per precisione.

Questo libro è stato pubblicato nel 2011, quindi non sono considerate figure passate di recente alla ribalta come Monti, Renzi o Salvini, ma è in ogni caso interessante applicare il metodo che viene utilizzato dall’Autore in due aspetti: in primo luogo è possibile verificare il percorso fatto da alcune personalità citate e ancora presenti sulla scena politica come Bersani, Berlusconi e Grillo; in secondo luogo è interessate creare un confronto autonomo tra gli esponenti esaminati e i nuovi Leader: Bersani e Renzi, Bossi e Salvini, Grillo e i Cittadini del Movimento Conque Stelle.

L’analisi dell’autore prende in considerazione diversi mezzi di comunicazione e le modalità con cui questi vengono sfruttati dai politici. Questo è un ulteriore spunto per prestare più attenzione a come ciascuno decodifica le informazioni che riceve attraverso i mezzi di comunicazione.

Le parole sono importanti e i politici lo sanno bene, sicuramente meglio di quanto si pensi comunemente. Diceva Woody Allen: E' un vero peccato che tutte le persone che sanno come far funzionare il paese siano troppo occupate a guidare taxi o a tagliare capelli. Verrebbe da aggiungere che forse, allora, chi sa usare le parole può dedicarsi ad altro, magari alla politica.

 

giovedì 3 settembre 2015

Il filosofo in edicola


Autore: Roberto Radice

Titolo: Platone

Anno di Pubblicazione: 2014

Genere: Saggio

Recensione di: Chiara Bortolin


Tranquillo, questa non è l’ora di filosofia! Non voglio proprio fare una di quelle pedanti dissertazioni sul sic et non dell’essere. Vorrei anzi presentarti questo libro, questa breve introduzione al filosofo Platone, per dimostrati, carta alla mano, che ci sono molti modi per ampliare i propri orizzonti.

Questo saggio tratta elementi essenziali: il contesto storico e culturale in cui si sviluppa il pensiero platonico, la biografia del personaggio, il suo pensiero, diviso per argomenti e alcuni brevi estratti dei testi più rilevanti. In poco più di cento pagine, si trovano spiegate le informazioni fondamentali, ben circostanziate e ben scritte.

Questo volumetto fa parte di una collana di monografie di filosofi che è stata venduta in edicola l’anno scorso insieme a un quotidiano. Un prodotto editoriale di buona fattura, di rilevanza culturale e di costo ridotto.

Voglio scrivere di questo compendio per sfatare alcune affermazioni diffuse che, nel godere di un ampio consenso, non fanno che alimentare convinzioni errate e dunque perpetrare ignoranza.

Punto numero uno: la cultura è per pochi addetti ai lavori. Sbagliato: lo studio è per pochi addetti ai lavori, la cultura è per tutti. Sapere chi è Platone è cultura, studiare Platone è un lavoro. Chiunque può sapere chi è Platone, quali sono state le sue idee e perché è stato così importante per lo sviluppo del pensiero occidentale.

Punto numero due: le materie umanistiche non servono a niente. Tutto ciò che ci circonda, dallo strumento che sto utilizzando per scrivere, al mio diritto di esprimere un voto in una società democratica, è il risultato di menti brillanti che secolo dopo secolo hanno fatto progredire l’umanità. Se vorrai leggere questo volume o altri del genere, di filosofia o di storia, di letteratura o di arte, ti sorprenderai nel comprendere la contiguità che c’è tra pensiero e azione.

Punto numero tre: la cultura costa. E’ vero, a volte e in certi contesti, ma ci sono prodotti come questi che costano meno di un best seller che tratta di sfumature non cromatiche e hanno un valore immenso. I primi numeri di queste pubblicazioni, poi, sono praticamente regalati: vale la pena leggerne uno e capire se può interessare. In edicola si trovano collane di tanti argomenti: storia, filosofia, arte, letteratura. Un caffè per sapere chi è Platone! si può fare, no?

Punto numero quattro: ho già studiato abbastanza, ho già abbastanza pensieri, con tute le cose serie che ci sono! Sarò laconica: chi smette di imparare, smette di vivere. Se smetti di essere curioso, di chiederti perché, di considerare ciò che sarebbe bello sapere, sei un vecchio anche se hai diciotto anni. Non lo dico io, lo dimostra il fatto che Platone ha qualche secolo sulle spalle ed è ancora in splendida forma, mentre la folla di visi da foto lapidaria va diventando un esercito!


Poche pagine per ricordarsi o per scoprire che Platone ci ha regalato il concetto di anima, che Rousseau ha inventato il concetto di infanzia, che Popper ha inventato il metodo scientifico di falsificazione! Poche pagine per ricordarci che l’umanità a cui ispirarsi non è quella che ci è simile, ma quella che ci è migliore.

Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero