giovedì 28 gennaio 2016

Se Questo è un Uomo


Autore: Primo Lvei

Titolo: Se Questo è un Uomo

Anno di Pubblicazione: 1947

Tipologia: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin



Se Questo è un Uomo è probabilmente il libro più conosciuto sulla tematica dei campi di concentramento, uno dei più tradotti, uno dei più assegnati come lettura a scuola.

L’esperienza che l’Autore narra si articola in brevi episodi che, nella loro sequenzialità, descrivono le fasi della detenzione: la deportazione, l’arrivo al campo, la vita quotidiana, l’attesa della liberazione. Nella loro singolarità, i capitoli restituiscono al lettore un significato più specifico e più profondo, che sembra sollevarsi al di sopra dei fatti e assumere una dimensione molto più ampia: la difficoltà di comunicazione, il timore dell’incredulità, l’estraniazione dal mondo, la conservazione di una propria identità.

Questa molteplicità di concetti, ciascuno dei quali meriterebbe un seminario all’Università e ancora non sarebbe esaurito, trova la sua chiave di interpretazione nel titolo, la cui chiarificazione segue nella poesia che prelude alla prosa.

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

La domanda è lapidaria. La risposta verrebbe di getto e sarebbe inevitabilmente sbagliata. Perché la domanda contiene in sé altre domande. Dobbiamo chiederci se i detenuti di un campo di concentramento, spogliati di ogni appartenenza, sono ancora uomini o dovremmo chiederci se coloro i quali li hanno spogliati sono ancora uomini? Dovremmo chiederci se chi ha ideato tutto questo è un uomo o se lo è chi ha collaborato, chi ha taciuto pur sapendo, chi avrebbe potuto fare e non ha fatto, chi avrebbe voluto e non ha potuto? Di chi dovremmo chiederci realmente se è un uomo?

Questo quesito fondante esula dal contesto, dalla contingenza del racconto in sé e assume un valore che è sempre contemporaneo al lettore: chi è un uomo?

Questo libro non si intitola, faccio per dire, Memorie di un sopravvissuto o Vita ad Auschwitz: si intitola Se Questo è un Uomo. Questo non è solo un libro autobiografico e mi addolora, lo dico con tutta l’onestà intellettuale di cui sono capace, che venga indicato come il libro per antonomasia sui campi di concentramento. Se si ridimensiona il suo valore alla descrizione accorata di un’esperienza personale, si compie una barbarie culturale, si tradisce il senso che l’Autore voleva dare, si mente.

Questo non è un libro di memorie ed è una fortuna, perché la memoria è sempre destinata al logorio del tempo e non basterà tutta la retorica di questo mondo a conservarla. Ma il monito, la domanda fondamentale, che guarda è il caso è di una semplicità disarmante, quella resta: considerate se questo è un uomo.

Consideriamo se ogni volta che esprimiamo un’idea, dettiamo un giudizio, esercitiamo il diritto di voto, siamo degni di essere un uomo. Consideriamo se le conseguenze delle nostre scelte consentono a chi ne subirà le conseguenze di continuare a essere un uomo. Consideriamo se la nostra idea di essere un uomo consenta a un altro essere umano di esserlo. Consideriamo che abbiamo, ognuno nel proprio piccolo, una responsabilità. Sia mai che questa si riveli una colpa. Consideriamo se siamo noi per primi degni di definirci uomini.


Se questo è un Uomo è un libro per tutti: a prescindere dall’età, dalla preparazione culturale, dalla adesione politica o religiosa o ideologica. Se questo è un uomo è un libro per gli uomini, per permettere loro di provare a essere tali. E’ un libro che non appartiene a nessuno: capirlo è una responsabilità di tutti.

venerdì 22 gennaio 2016

I Versi Satanici

Titolo: I Versi Satanici

Autore: Samuel Rushdle

Anno di pubblicazione: 1988

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin

«Per rinascere» cantò Gibreel Farishta, precipitando dai cieli, «devi prima morire. Ho-ji! Ho ji! Per scendere sulla terra rotonda, bisogna prima volare. Tat-taa! Taka-thun! Come puoi ancora sorridere, se prima non avrai pianto? Come conquisti il cuore del tuo amore, signore, senza un sospiro? Baba, se tu vuoi rinascere...» Poco prima dell'alba di un mattino d'inverno, il giorno di Capodanno o pressappoco, due uomini, reali, adulti e vivi, cadevano da grande altezza, seimila metri, verso la Manica, senza l'ausilio di paracadute o di ali, da un cielo limpido.

Leggo la prima pagina, poi chiudo il libro e mi fermo a pensare. Devo decidere se sono veramente disposta a leggere le altre mal contate cinquecento pagine. So che è sbagliato, ma io non mollo mai un libro, se lo inizio lo finisco, quindi devo decidere in fretta se andare avanti o meno.

Che questo Autore sappia il fatto suo lo si capisce subito. Molti Autori agganciano il lettore con un incipit accattivante, che non sempre è coerente con ciò che segue. Rushdle ha una strategia diversa, più brutale, ma anche più onesta: detta le regole subito. 

Se vuoi leggere questo libro: 1) ti devi affidare all’Autore; 2) devi prestare attenzione; 3) devi usare intelligenza; 4) devi aprire i tuoi orizzonti. Se cerchi un romanzo ludico, lascia perdere; se cerchi un romanzo semplice, lascia perdere. Molto corretto. Quando riapro il libro, l’Autore e io abbiamo accettato un patto: io rispetto le sue condizioni, adesso tocca a Lui mantenere la promessa!

E la promessa è mantenuta! Pagina dopo pagina, questo romanzo si rivela in tutta la sua ricchezza. La trama: un intreccio di storie che si incontrano, si allontanano, si congiungono. E dentro la trama delle altre storie, incastonate, come preziose gemme in un gioiello, che alla fine si rivelano parte integrante della narrazione, cioè del gioiello. Un vicenda surreale, che assume un connotato reale nel significato.

Una scrittura particolarissima: frasi lunghe inframmezzate da battute di spirito; un Autore apparentemente oggettivo, ma che fa capolino, quando meno te lo aspetti, alla maniera della commedia antica; un uso spregiudicato delle parole, che sottende la finezza delle sfumature di significato.

La costruzione dei personaggi: a parte i due protagonisti,  di solidità granitica, ogni personaggio ha spessore, non ci sono bozzetti, non tratteggiature, ma anime.

E poi, i contenuti. Questo è un libro che va riletto, per essere capito, perché ci sono così tanti concetti su cui ragionare che una prima lettura può solo comprenderne la profondità, ma non guardarvi dentro.

La varietà dell’animo umano viene presentata in tantissime sfaccettature del suo essere. Penso per esempio al concetto di identità: i personaggi vengono da Paesi diversi e la loro identità si plasma tra la percezione che hanno di sé e la visione dagli altri e, in questa commistione di attribuzioni reciproche, si apre un arcobaleno di possibilità che vanno dalla ricerca sfrenata dell’omologazione all'isolamento totale. 

Questo tema ha il suo contraltare nella percezione del diverso che va dall'accoglienza entusiastica al rifiuto aprioristico. Rushdle non parla mai di integrazione, ma spiega che una parola da sola non può essere esaustiva.

Un altro tema affrontato con straordinaria efficacia è l’amore, che è anch’esso mutevole, contraddittorio, poliedrico. Gli uomini sono forieri di emozioni e di sentimenti, le cui genesi sono meno superficiali di quanto siamo disposti ad ammettere.

Ci sarebbero moltissimi altri aspetti di cui fare cenno, ma mi soffermo solo su uno, non se non altro perché il titolo lo richiama inequivocabilmente. Il libro tratta di religione, nello specifico di religione islamica. Ci tengo a precisare che Rushdle tratta di islamismo come un qualunque scrittore di origine europea potrebbe trattare di cristianesimo: è un sostrato culturale. Detto questo, la religione viene sviscerata dal suo significato antropologico di anelito verso l’infinito, al becero adeguamento alle pratiche sociali, dall'adesione consapevole ed equilibrata all'ottusità più triviale, dal conformismo al rifiuto. 


Questo libro non è per tutti, ma a tutti i suoi lettori offre una rara occasione di comprensione, non dell’animo umano, che non potrà mai essere completamente spiegato, ma della sua complessità. Nella quotidianità molto si appiattisce in categorie che assomigliano più spesso alla categoria del pre-giudizio che non alla categoria del pensiero e Rushdle ce lo ricorda, con straordinaria bravura.

giovedì 14 gennaio 2016

Contro la Flessibilità

Titolo: Contro la Flessibilità

Autore: Luciano Gallino

Anno di Pubblicazione: 2007

Genere: Saggio

Recensione di: Chiara Bortolin

Nel nostro Paese come in altri dell’Unione Europea, Francia e Germania in testa, organizzazioni e personaggi autorevoli chiedono ogni giorno, ormai da alcuni lustri, che sia accresciuta la “flessibilità del lavoro”.

Devo essere sincera: io non avrei comprato questo libro. Se lo avessi visto esposto in una scaffalatura in libreria, il mio sguardo sarebbe corso oltre. L’ho letto perché era nel programma di un esame universitario e, sempre in totale sincerità, mi sono accinta a leggerlo senza nessun entusiasmo. 

Se ora ne scrivo e ne consiglio la lettura è perché ci sono delle ragioni valide e ora provo a elencarne alcune. La prima è che è scritto molto bene. Non è un fatto da dare per scontato: ci sono saggi molto importanti dal punto di vista dei contenuti la cui scrittura è talmente farraginosa da comportare più impegno nella comprensione delle frasi che non nella comprensione dei concetti. 

Questo saggio è scritto così bene da consentire immediatamente la concentrazione sui concetti. E qui arrivo alla seconda ragione: i concetti sono esposti in modo ordinato, come se fossero dei mattoni che l’Autore fornisce al Lettore affinché possa man mano costruire il pensiero. 

Non c’è nulla che venga dato per scontato e questo è un altro merito: il saggio, pur veicolando concetti che richiedono dei dati tecnici, è fruibile a chiunque sia  interessato all’argomento, ovvero al tema della flessibilità sul lavoro, anche senza vere alcuna preparazione di carattere economico, giuridico o sociologico.

L’argomento è oggi assai quotato: se ne parla per ogni dove,  al bar sotto casa, a cena con gli amici, nei talk show di tutti i canali possibili e immaginabili. Tutti hanno un’opinione, pro o contro. E’ evidente che l’Autore ha un’opinione, la dichiara immediatamente nel titolo, ma nella lettura ci si rende conto che c’è modo e modo di argomentare un’opinione e che non è vero che tutte le opinioni sono uguali, perché qualcuno ha più ragione di esprimerle di altri.

Lavoro e consumo, cultura e intrattenimento, esercizio sportivo e rapporti con l’amministrazione pubblica: tutto è possibile per tutti 24 ore su 24, 7 giorni au 7. Inoltre, sia per questo motivo, sia perché le imprestare prime sono diventate flessibili, nella società flessibile ciascuno ha la possibilità di adattare le proprie condizioni e tempi di lavoro alle sue esigenze e responsabilità familiari. 

L’Autore definisce prima di tutto il concetto di flessibilità, poi definisce il contesto in cui esso è emerso, come si è evoluto nel tempo e come è stato interpretato dai diversi soggetti che ne hanno guidato l’attuazione. Successivamente, l’Autore esplora le conseguenze dell’attuazione sotto diversi punti di vista: politico, economico, sociale, individuale. In ultimo, il Prof. Gallino trae le proprie conclusioni e offre la sua soluzione, che evidentemente va in una direzione diversa dall’attuale.

Personalmente non mi sento di condividere alcune considerazioni presentate, ma sono a posteriori molto contenta di aver letto questo saggio. Non solo ho acquisito nuove informazioni e nozioni, ma ho dovuto confrontare la mia opinione epidermica, mediatica, quotidiana, con delle riflessioni approfondite. Questo mi ha spinta a modificare alcune posizioni personali e a rendermi più prudente su altre.

E’ questo che io mi aspetto da chi insegna o da chi fa informazione o da chi pretende di fare cultura: non l’erogazione di opinioni preconfezionate, ma lo stimolo a fare altre domande; non la pretesa di forgiare posizioni, ma la spinta a rivedere le proprie; non semplificazione che porta a demistificazione, ma complessità che richiede attenzione.

E poi infondo, ci si annoia a sentire opinioni contrastanti  tra loro ma sempre uguali a se stesse: a volte si trova più soddisfazione nell’ascoltare chi non solo la pensa diversamente, ma la pensa anche meglio e obbliga al piccolo sforzo del ragionare. 

Il Prof. Gallino è mancato qualche settimana fa; non ho fatto in tempo a scriverGli per ringraziarlo, ma le idee hanno questo di meraviglioso: che sopravvivono a chi le mette in circolo, hanno una vita propria, che diventa un patrimonio di tutti, rimanendo merito di uno.


giovedì 7 gennaio 2016

Il Profumo


Titolo: Il Profumo

Autore: Patrick Suskind

Anno di Pubblicazione: 1985

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin


Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia.

Leggi le prime righe e hai già un’idea precisa di ciò che troverai nelle pagine successive. Sai fin da subito che il protagonista è un eroe negativo, sai che la storia è ambientata nella Francia immaginifica del Settecento, è sai che verrà descritta una vicenda molto particolare.

Ma Il Profumo non è solo un romanzo di straordinaria bellezza, dalla lettura avvincente e dalla trama mozzafiato: Il Profumo è un’esperienza. Leggi questo libro e modifichi la tua percezione del mondo e, di conseguenza, il tuo modo di comprendere la realtà.

Gli scienziati cognitivisti stanno affrontando da anni il tema relativo al modo di come la mente umana decodifichi le informazioni per elaborare un’immagine del mondo. Nei secoli passati i filosofi stessi elaborarono sistemi complessissimi di pensiero per spiegare l’essenza, la differenza tra percepire e comprendere il mondo: l’essenza dell’uomo.

La parola essenza  assume in questo romanzo tutta l’estensione del significato che va dall’essenza, intesa come purezza di un odore, all’essenza come cardine dell’individuo. L’odore diventa, nel romanzo, la chiave di definizione della realtà, degli oggetti, degli uomini, del mondo.

Impossibile riassumere la trama senza tradire la narrativa eccezionale dell’Autore. Basti sapere che tutte le vicende che trascinano il lettore in una corsa a perdifiato da una pagina all’altra sono volte alla ricerca dell’essenza perfetta, dell’essenza che esprime il massimo amore dell’uomo, fino alla sua sublimazione nell’efferatezza.

Centinaia di migliaia di odori sembravano non valere più nulla di fronte a quest’unico odore. Questo solo era il principio superiore secondo il quale si dovevano classificare gli altri profumi. Era pura bellezza.

In questo senso, si potrebbe dire che Suskind compia una straordinaria alfabetizzazione olfattiva. Si potrebbe dire che Suskind scrive un romanzo di formazione e lo strumento attraverso cui il protagonista forma se stesso è la capacità di riconoscere gli odori. 

Tutti gli episodi che questo affascinante e terribile protagonista compie per catturare l’essenza della vita, fisica e metaforica, sono descritti attraverso una innumerevole elencazione di odori, profumi, fetori. Un mondo descritto attraverso un senso reso vividissimo dalla straordinaria abilità di questo autore.

Leggi Il Profumo  e scopri te stesso ad annusare l’aria, gli steli d’erba, gli sconosciuti, il cibo, come se annusassi per la prima volta. Leggi Suskind e ti rendi conto di come la Letteratura non solo inventi mondi ma amplifichi quelli che si conoscono. Leggi una storia eccezionale che rende eccezionale anche la tua realtà.  


Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell’apparenza, del sentimento, della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l’aria che respiriamo penetra nei polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c’è modo di opporvisi.

Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero