Titolo: Amori Ridicoli
Autore: Milan Kundera
Anno di Pubblicazione:
Genere: Racconti
Recensione di: Chiara Bortolin
Se un uomo fosse responsabile solo di ciò di cui è cosciente, gli idioti sarebbero assolti in anticipo da qualsiasi colpa.
Leggi Kundera e ti viene voglia di mettere ordine nei tuoi pensieri e nei tuoi sentimenti, magari proprio mentre, con una certa riprovazione per te stesso, ti scopri a riordinare la libreria, cercando una ratio tra pile dimenticate di libri. Questo apparirebbe sicuramente ridicolo. Prima di tutto perché cercare nell’ordine materiale la soluzione al disordine interiore non sortisce effetto; in seconda battuta perché vedere se stessi al di fuori di sé appare sempre un’esperienza straniante, che è meglio risolvere nel sorriso, piuttosto che nel rammarico.
Di conseguenza, la soluzione migliore è che, chiuso Amori Ridicoli, tu ti prenda del tempo per far decantare le idee e poi, in un secondo momento, faccia le tue riflessioni. Scrivo, le tue, perché un cantore della letteratura come Kundera si ingegna non poco per ammaliarti e farsi assecondare.
Voleva che lui le appartenesse interamente e voleva appartenere interamente a lui, ma più si sforzava di dargli tutto, più gli sembrava di negargli qualcosa: appunto ciò che viene dato da un amore superficiale e poco profondo, ciò che viene detto un flirt. La tormentava l’idea di non saper possedere, accanto alla serietà, anche la frivolezza.
Ti consiglio di iniziare dai fatti: esiste il mondo reale, concreto e chiaro ed esiste un mondo fantastico che immagini; puoi anche pensare che siano possibili varianti del medesimo mondo che non si sono mai realizzate e che forse mai si realizzeranno. Fin qui non ci sono problemi: la Letteratura, grande e piccola, campa su questo.
Ma Kundera va oltre: prende il mondo reale e lo fa a pezzi: un pezzo per ogni protagonista. E ciascun Io di questi racconti è assolutamente convinto di avere una chiara posizione nella propria realtà, mentre invece ogni Io, come un elettrone in uno sciame di elettroni, in orbita attorno al medesimo nucleo instabile, giungerà inevitabilmente allo scontro e al riposizionamento.
Il primo conflitto infatti è con se stesso: la vita cambia, le persone invecchiano, i fatti interferiscono e pare che questi personaggi rimangano abbarbicati alla propria granitica opinione di sé e del mondo, fino a quando una qualche illuminazione li costringe a prendere atto di essere custodi di un pensiero di sabbia.
Il secondo scontro è chiaramente contro la realtà altrui, che subisce le stesse usure e gli stessi disvelamenti: dramma nel dramma. Il collasso è inevitabile.
Per rendere il significato più chiaro, Kundera sfrutta inoltre un argomento che tutti conoscono: l’amore. L’amore che per antonomasia rappresenta l’assoluto, l’unicità di concetto che viene percepita come fatto incrollabile, anche da chi non la esperisce; oppure la giustificazione morale alle peggiori nefandezze,l’amore si rivela comunque poco più di un’impressione, per lo più inesatta, sotto la penna maliziosa di questo Autore.
In questa chiave, le tematiche di Kundera, che certo non posso esaurire in queste poche righe, potrebbero sembrare piuttosto ostiche, d’altronde Kundera le aveva già ampiamente racchiuse nel titolo del suo più celebre romanzo, L’Insostenibile Leggerezza dell’Essere.
Ciò che rende leggera e piacevole questa raccolta è il ricorso costante dell’Autore all’ironia. Kundera sorride di tutti i suoi personaggi, li canzona, li prende a ridere. I drammi individuali, gli inevitabili fraintendimenti che ne conseguono, la frantumazione di mondi estranei si sciolgono nell’ilarità.
E qui è necessario fare attenzione, perché proprio mentre il sorriso ti si allarga sulle labbra, il dubbio sorge alle tue spalle: può essere che l’Autore si stia burlando anche del suo lettore? Forse può accadere che i mondi possibili si concretizzino e la realtà si dissolva? Può essere che il tempo ti abbia già raggirato e tu sia già altro da te? Forse. A te la riflessione, ora, scusa, vado a riordinare la libreria, ripensando alla scritta kunderiana che lessi su un banco di Palazzo Nuovo: Milan – Kundera: 4 – 0
L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Può al massimo immaginare e tentare di indovinare ciò che sta vivendo. Solo più tardi gli viene tolto il fazzoletto agli occhi e lui, gettato uno sguardo al passato,si accorge di che cosa ha realmente vissuto e ne capisce il senso.