giovedì 21 aprile 2016

IL DESERTO DEI TARTARI

Titolo: Il Deserto dei Tartari

Autore: Dino Buzzati

Anno di pubblicazione: 1940

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin

Così una pagina lentamente si volta e si distende dalla parte opposta, aggiungendosi alle altre già finite, per ora è solamente uno strato sottile, quelle che rimangono da leggere sono in confronto un mucchio inesauribile. Ma è pur sempre un’altra pagina consumata, signor tenente, una porzione di vita.

A volte il successo beffa gli Autori: divenuti famosi per un testo o un modo di dire, ne vengono privati e il significato che essi avevano attribuito non appartiene più loro. Privati del loro tutore intellettuale, questi significanti possono assumere qualsiasi significato e addirittura confermare un successo con il nuovo erroneo concetto.

Capita così alla locuzione il deserto dei tartari, oggi per lo più usato per descrivere un luogo sperduto e solitario. il buffo è che viene considerata una citazione colta, una frase raffinata, mentre in questa accezione non può che rappresentare l’evidente desertificazione culturale di chi la pronuncia.

E’ il 1940 quando Buzzati pubblica il romanzo, nello stesso anno si imbarca come corrispondente di guerra, per interrompere quella desolante routine che gli aveva suggerito l’idea del romanzo. Il Deserto dei Tartari narra le vicende, o meglio, le mancate vicende, di Giovanni Drogo, un militare che consuma la propria vita in un avamposto ai confini dello Stato, in attesa di un fantomatico attacco da parte dello Stato vicino. Il militare non vedrà mai l’attacco, che pure ci sarà, mentre lui troppo vecchio e malato viene allontanato e lasciato morire altrove.

E’ vero che l’ambientazione della narrazione è una regione  isolata e sperduta, d’altronde i luoghi comuni hanno presa perché hanno un sostrato di veridicità, eppure il vero deserto dei tartari non è un luogo, ma un tempo.  

Il protagonista è un uomo intrappolato nel tempo dall’attesa: che capiti qualcosa, che ci sia una svolta, che accada un fatto terribile grandioso, come una guerra, per attribuire un significato alla sua vita. Nel frattempo, il quotidiano viene scandito dalla rigida routine militare, dai comportamenti previsti e inappellabili che danno una confortante certezza, anche quando del tutto sciocchi.

In questo concetto si riconosce la straordinaria attualità del romanzo. Basta gettare uno sguardo fuori da noi stessi: negli atti di criminalità improvvisata, nel desiderio di imporre un credo a suon di attentati, nella vanesia rivalsa di chi froda invece che meritare. In queste vite, che si trascinano nella vacuità è il deserto dei tartari.

Nella necessità del successo, della botta di fortuna, di un nuovo pettegolezzo da raccontare, lì è il deserto dei tartari. Ovvero, dentro le persone, non fuori di esse. Il deserto dei tartari è quel vuoto che ogni essere umano, degno di questa definizione, porta dentro di sé, con cui cerca di convivere, un dubbio che non trova risposta se non transitoria. 

Alla fin fine ci si arriva, con dolorosa consapevolezza: il deserto dei tartari è il senso della vita, per questo non può essere un luogo, un hic et nunc, ma può solo essere un tempo, la propria esistenza. Il protagonista del romanzo arriva a comprenderlo, in extremis, trovando requie. 

La soluzione proposta da Buzzati non è chiaramente universale. Non tutti trovano la soluzione, molti hanno soluzioni diverse per diverse epoche, molti altri non la trovano mai. D’altronde da che l’uomo esiste, con un briciolo di capacità cognitiva, si è sempre posta questa domanda. Se migliaia di anni di filosofia, di religione e di ideologie non hanno saputo dare risposte è perché, tutto sommato, la risposta non è così semplice.

A voler speculare si potrebbe persino dire che la risposta alla domanda sia la domanda stessa, il porsela, per proclamarsi vivi. Il deserto dei tartari è un orizzonte verso cui l’uomo tende, un infinito da cogliere, un desiderio da colmare. 

L’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno.Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita. 

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero