giovedì 14 aprile 2016

Canzoniere della Morte

Titolo: Il Canzoniere della Morte

Autore: Salvatore Toma

Anno di pubblicazione: 1999

Genere: Poesia


Salvatore Toma era un poeta salentino, edito da Einaudi, morto a trentacinque anni, probabilmente suicida per mezzo di alcol.

La sua opera più nota, che raccoglie il fiore della produzione, è Canzoniere della Morte, uscito postumo dopo ventidue anni. Ciò non stupisce, per tre ragioni: la diarrea di parole pubblicate giornalmente (il logorroico è etimologicamente ricondotto al suddetto imbarazzo intestinale) produce in Italia il più basso tasso di lettori d’Europa. La seconda ragione invece è che la poesia, in sé, non vende, perché la poesia è Pascoli. O almeno questo rimane nei prigionieripolitici della maturità, indultati di riforma in riforma cui è soggetta la scuola. Infine il tema, che pervade le poesie di Toma, è definibile come l’autentico tabù contemporaneo per l’Occidente: la morte.

Mani in alto potrei gridare, perché alla sola parola, chi detiene i requisiti giusti, provvede a tastarne la consistenza. Mani in alto invece, in questo caso, è da intendersi come l’annuncio di una rapina. Sì, perché Toma, in maniera consapevole, tenta un furto, il furto di un rimandismo da Ministero di Grazia e Giustizia che, con perseveranza, pospone sino a vanificare il pensiero sulla fine dei giorni a disposizione. Se poi la morte è autoinflitta…

Il suicidio è in noi
fa parte della nostra pelle
in essa vibra respira si esalta
appartiene alla nostra vita
plana sui nostri pensieri
spesso senza motivo:
a volte l’idea sola
ci conforta ci basta
l’effetto al momento è identico
ci pare di rinascere
una nuova forza stordente
per un poco ci possiede
ci fa sentire immortali.
Perciò io ho rispetto
di chi muore così
di chi così si lascia andare
perché solo chi si nega la vita
sa cosa significa vivere.
L’assuefazione il contagio
il tirare avanti
la sopravvivenza son solo cose
per chi ha paura di frugare
e di guardarsi dentro.

Nel mondo occidentale infatti, pervaso da cultura e da tradizioni ebraico-cristiane, la vita resta interpretata (anche dagli atei) come un dono che non si può rifiutare, e neppure accettare con riserva di valutazione. Fuori dall’Occidente, o spostandosi nel tempo, allo stesso modo il suicidio non gode di particolari riguardi, perché anche i teorici più estremi del nichilismo non arrivano a suggerirlo come rimedio alla vita.

L’aspetto che umanamente, ma anche liricamente, destabilizza della poesia di Toma infine è l’inaccettabilità, tout court, della vita. Non si tratta qui di sofferenza, di difficoltà nello stare al mondo, ma di una autentica e compiuta consapevolezza della propria condizione, che il fare poesia aggrava.

Perché la poesia non conduce ad acuminare il pensiero, generando pensieri grevi, ma chi ha già una spontanea inclinazione a spingere nel profondo i sentimenti e la ragione, si avvicina alla scrivere poesia. Con esiti, in verità, qualitativamente diversi.

Toma in ciò, a prescindere dalle valutazioni critiche, è un autentico poeta, perché dal profondo Sud del Bel Paese, tutto sole, cuore e amore, inchioda con chiodi di feretro la leggerezza e l’ironia scaramantica dei più, che già un altro grande poeta, Giuseppe Ungaretti, aveva dileggiato: 

Col mare mi sono fatto una bara di freschezza

Un ulteriore e ricorrente aspetto della poesia di Toma è l’insistente, ai limiti dell’ossessivo, richiamo agli animali, alle piante e al mondo naturale in genere, che se da un lato contiene elementi di cruda e feroce brutalità, dall’altra pone l’io lirico in una sorta di comunione. In questo emerge la differenza che l’autore fa fra vita ed esistenza.

Chi muore
lentamente in fondo al lago
fra l’azzurro e i canneti
non muore soffocato
ma lievita piano in profondità.
Avrà sul capo una foglia
e su di essa un ranocchio
a conferma dell’eternità.

L’eternità. Quella ce l’abbiamo tutti, sin da ora. Perché in effetti la materia di cui noi siamo composti non è stata creata nel ventre materno, ma è esistita per sempre, prima che noi nascessimo. E rimarrà anche dopo la nostra fine, trasformandosi magari nella fibra di una foglia, su cui siede un ranocchio.

Questo pensiero non è consolazione, ma un dato oggettivo. Allora cosa resta da dire? L’anomalia è la vita, sembrano dirci i versi di Toma, perché l’autentico dramma è quando queste fibre, casualmente aggregate nella forma del nostro corpo, iniziano ad avere consapevolezza di sé.

Ma mentre siamo noi, resta nostra e solo nostra la scelta: possiamo eludere o accettare il pensiero della morte, ma  sarebbe umano evitare di censurare quella nostra particella di angoscia, che in altri si aggrega in un rifiuto sofferto.

Il maiale 
era lì che mi guardava.
Il macellaio
faceva finta di niente
e gli girava intorno indeciso
col coltello allucinato.
Voltai l’angolo
il maiale pareva
implorami di restare
posando alla catena
come un lupo in olfatto.
Così rimasto incantato
non sentì il coltello
forargli la gola
e non vide il sangue
colargli a dirotto.
Era tutto concentrato
a rivedermi apparire.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero