mercoledì 25 maggio 2016

Soldati di Salamina

Titolo: Soldati di Salamina
Autore: Javier Cercas
Anno di Pubblicazione:2001
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin
La battaglia di Salamina è uno di quegli eventi storici che piace: i Greci, in evidente inferiorità numerica, usciti sconfitti da una precedente battaglia, con i Persiani già su suolo ellenico, inflissero ai nemici una devastante sconfitta, costringendoli a un precipitoso rientro in patria. Il debole che vince sul forte, la strategia che sbaraglia l'irruenza, la perseveranza che batte la sicurezza: il più debole che vince piace sempre! Di rado si rammenta che il brillante condottiero greco che ottenne questa vittoria venne, qualche anno dopo, condannato a morte, sentenza a cui sfuggì riparando proprio nel regno persiano, accolto dal figlio del condottiero da lui sconfitto. Anche in questa storia si potrebbe trarre una morale, ma siccome piace meno, la si studia per dimenticarla.


Il romanzo di Cercas tuttavia non tratta di questo fatto storico, ma di un episodio marginale della guerra civile spagnola. Non solo: il romanzo non comprende un grande condottiero, ma un mediocre poeta. Il rimando non è ovviamente casuale e se avrai voglia di leggere questo originale romanzo, ti sarà chiarissimo. Ciò è un primo punto a favore del libro: che il suo significato si trova oltre le pagine scritte dall'Autore.

Il secondo punto viene segnato da Cercas riuscendo a fare quello che tecnicamente si chiama metaletteratura, già il nome dovrebbe incutere un briciolo di timor reverenziale, con una disinvoltura narrativa spiazzante. Cercas scrive un  racconto attraverso la storia della sua genesi.
Punto numero tre: l'elaborazione del racconto non è una pedante descrizione della filologica ricostruzione dei fatti, ma una deliziosa avventura personale che, oltre a divertire il lettore, ne appaga il recondito voyeurismo, senza scadere in un biografismo da rotocalco.
Il tutto è esposto con una narrazione frizzante, con un li linguaggio comune, ma non per questo sciatto e con quel pizzico di malizia che fa di un tecnico uno scrittore. I personaggi poi godono di solidità perché sono verosimili ma non veri e questo consente una gradevole mediazione tra Storia e Letteratura. Troverai un giornalista che nega di essere uno scrittore, un eroe della patria (noto codardo) e un povero soldato senza riconoscimenti, ma con una ignota gloria.
E se poi, oltre a cercare su wikipedia "Battaglia di Salamina", riaprirai un manuale di storia contemporanea per ripassare il Franchismo, io credo che l'Autore possa aver ottenuto la sua personale vittoria.
Questo libro non cambierà la Storia, ma ti regalerà una lettura piacevole, qualche spunto di riflessione e un argomento nuovo di conversazione. Tutto questo è molto di più di quanto offra la maggior parte degli scrittori contemporanei a me noti. Per dire: non è che io non legga Autori contemporanei e fugga in una torre eburnea del classico, è solo che tra gli Autori contemporanei si trovano pochi Scrittori.

giovedì 19 maggio 2016

Invisible Monsters

Titolo: Invisible Monsters
Autore: Chuck Palanhiuk
Anno di Pubblicazione:1999
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin
Ecco dove dovresti essere, a un grande ricevimento di nozze in una enorme villa di West Hills, composizioni floreali e funghi farciti sparsi per tutta la casa. Questa si chiama ambientazione di scena: dove ci sono tutti, chi è vivo, chi è morto. Questo è il grande momento di Evie Cottrell al suo ricevimento nuziale. Evie è in piedi a metà della grande scalinata nell'atrio della villa, nuda dentro quel che rimane del suo vestito da sposa, col fucile ancora in mano.

Quanto a me, io sono in piedi, ma solo fisicamente, in fondo alle scale. La mia mente chissà dov'è.

Ogni volta che apri un libro, tu magari non ci fai neanche più caso, ma fai un patto con l’Autore. Tu accetti di credere a quanto Lui sta per raccontarti: che nei pressi di Como esistesse nel Seicento una coppia di ragazzi innamorati che volevano sposarsi; che Dante sia stato accompagnato da Virgilio a visitare l’Inferno; che l’universo sia stato colonizzato dagli uomini e che questi si spostino da un pianeta all’altro con astronavi potentissime. L’Autore, per parte sua, si impegna, nel momento preciso in cui stende le prime righe, a fare in modo che l’illusione che crea sia coerente.
Questo tacito accordo è stato concettualizzato da Samuel Coleridge come suspension of disbelief, sospensione dell’incredulità. E’ una cosa seria, davvero, perché se l’Autore ti presenta una storia poco coerente o un’ambientazione poco credibile o personaggi mal definiti, tu lettore ti senti tradito, il patto si infrange e il libro finisce in un angolo. Fine dell’incantesimo.
Quando si tratta di Palanhiuk, la sospensione dell’incredulità assomiglia a un abbandono, perché da vero illusionista, sposta la tua attenzione continuamente e tu ti trovi completamente avvolto da una trama di cui fai parte senza capire assolutamente niente fino a quando non arrivi alla fine. A quel punto però devi riconoscere che la magia è riuscita: puoi goderti lo stupore e fare un applauso.

È perché siamo intrappolati nella nostra cultura, nel fatto che siamo esseri umani su questo pianeta con i cervelli che abbiamo, e due braccia e due gambe come tutti. Siamo così intrappolati che qualsiasi via d'uscita riusciamo a immaginare è solo un'altra parte della trappola. Qualsiasi cosa vogliamo, siamo ammaestrati a volerla.
Invisible Monsters è la storia di Shannon, una modella, che un tempo era stata bellissima, ma che non lo è più e non per colpa della vecchiaia. Non posso dirti alto, per non sciuparti la sensazione travolgente di questo romanzo. Posso dirti che i temi sono quelli soliti di Palanhiuk: una critica feroce alla società americana, all’ipocrisia, all’impossibilità di essere se stessi. 
Posso anche dirti che la sua scrittura, rapidissima e magnetica, porta sempre con sé un cinismo ghignante, talmente duro da far sorridere, salvo poi scoprire, con orrore, che ha un fondo di verità.
Posso dirti che questo libro precede Fight Club come origine, ma che l’Autore non riuscì a pubblicarlo, se non dopo l’enorme successo del film tratto da Fight Club. Il successo, anche se in scala minore, arriva anche per questo libro, in America. In questo bisogna riconoscere che la cultura americana, la mentalità americana, per quanto ipocrita, riesce sempre a emendarsi. Il diritto di opinione, il diritto di espressione di se stessi, il diritto di perseguire la felicità sono capisaldi della cultura americana e quindi anche un autore poco garbato, poco politically correct, come Palanhiuk trova spazio e apprezzamento.
In Italia non è così. Questo libro, che pure si trova facilmente in libreria, è considerato di nicchia, un modo elegante per dire che lo leggono in pochi. Qualcuno potrebbe dire che la causa è proprio nell’originalità della narrazione, che chiede un po’ di sforzo al lettore medio abituato a Era una notte buia e tempestosa. Forse c’è anche questo, ma il libro, per leggerlo, bisogna prima averlo in mano.
Io credo piuttosto che questo libro, come altri, non si legga perché non se ne parla e non se parla perché il suo contenuto è scomodo. Se Palanhiuk lamenta il perbenismo americano, il bigottismo della società italiana potrebbe sorprenderlo. Permeati come siamo culturalmente da una religione più declamata che praticata, da un macismo condannato in tv e sostenuto nelle mura domestiche, convinti che a fare opinione siano i comici, nella latitanza degli intellettuali, la vera sospensione dell’incredulità sarebbe aprire gli occhi. 
Quello che grida Palanhiuk dalle sua pagine è che ogni persona, di qualsiasi genere sia o si senta di essere, ha il diritto di provare a essere se stesso, ha il diritto di considerare se stesso oltre il proprio corpo, ha il diritto di avere rispetto di sé senza che gli altri la reputino un mostro.
La vera sospensione dell’incredulità è capire che nel quotidiano, come in un romanzo, l’idea che hai del mondo potrebbe essere sbagliata e potresti capire, a un tratto, di aver preso una cantonata perché la realtà di ogni singolo uomo è sempre molto più complessa di quanto possa apparire. 
E se qualcuno ancora persevera nel raccontare ai bambini o agli adulti che esistono i mostri, io credo sia ora di raccontare che i mostri, quelli veri, sono dentro di noi, si chiamano luoghi comuni, e si possono sconfiggere.   
    Non importa con quanto scrupolo seguirai le indicazioni: avrai sempre l'impressione di aver perso qualcosa, la sensazione sprofondata sotto la tua pelle di non aver vissuto tutto. C'è quel sentimento di caduta nel cuore, per essere andato troppo in fretta nei momenti in cui avresti dovuto fare attenzione. Be', abituati a quella sensazione. È così che un giorno sentirai tutta la tua vita. È solo questione di abitudine. Niente di tutto ciò ha importanza. Ci stiamo solo scaldando.

giovedì 12 maggio 2016

Mastro Don Gesualdo

Titolo: Mastro Don Gesualdo

Autore: Giovanni Verga

Anno di Pubblicazione: 1889

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin

Suonava la messa dell'alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt'a un tratto, nel silenzio, si udí un rovinio, la campanella squillante di Sant'Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando: "Terremoto! San Gregorio Magno

Mastro Don Gesualdo é un capolavoro della Letteratura e questa definizione da manuale è uno dei motivi della sua sfortuna attuale. Causa di afflizione pomeridiana di liceali annoiati, ricordo infausto di trentenni nostalgici, forse solo per i cinquantenni e più è ancora simbolo di una cultura di valore.

Eppure questo romanzo è davvero un capolavoro della Letteratura, perché fuori da ogni retorica celebrativa, narra una storia del tutto attuale. Si potrebbe prendere la vicenda del protagonista e portarla ai giorni nostri, potrebbe essere un esercizio divertente e utile.

Mastro Gesualdo è un muratore, che viene da una famiglia di muratori e che investe tutte le sue energie per raggiungere un solo scopo: diventare ricco. Con intelligenza e fatica, con merito va detto, ottiene questo risultato, ma si accorge che non è sufficiente: la ricchezza non ha portato con sé la giusta considerazione sociale. Non gli resta che comprare la rispettabilità sposando una donna aristocratica, che, ormai priva di denari, porta come unica dote il suo lignaggio e una figlia concepita con un altro uomo.

Mastro Don Gesualdo ora dovrebbe avere tutto ciò che desidera, per cui ha tanto faticato e per cui ha fatto grandi sacrifici, ma il lettore comprende la situazione reale. Tutti disprezzano colui che è e resta un povero muratore:  i suoi parenti, che lo invidiano e lo depauperano; la famiglia acquisita, che lo disprezza per le sue origini salvo sciuparne le ricchezze; la moglie, che lo sposa per necessità; la figlia, che allevata da signora, ha un animo meschino.

Gesualdo non è l'unico infelice, l'unico vinto: lo sono tutti i personaggi perché ciascuno cerca di mantenere il proprio piccolo vantaggio, la propria piccola convenienza, in ultimo la propria solitudine. 

Il mondo andava ancora pel suo verso, mentre non c'era più speranza per lui, roso dal baco al pari di una mela fradicia che deve cascare dal ramo, senza forza di muovere un passo sulla sua terra, senza voglia di mandar giù un uovo. Allora, disperato di dover morire, si mise a bastonare anatre e tacchini, a strappar gemme e sementi. Avrebbe voluto distruggere d'un colpo tutto quel ben di Dio che aveva accumulato a poco a poco. Voleva che la sua roba se ne andasse con lui, disperata come lui. Mastro Nardo e il garzone dovettero portarlo di nuovo in paese, più morto che vivo. 

La vicenda è ambientata nella prima meta dell'Ottocento in Sicilia ma il contesto della narrazione non è che la giusta cornice di un quadro di valore. La scelta dell'Autore di annullare se stesso con un punto di vista oggettivo consente al lettore di farsi una propria idea, di non essere distratto da giudizi, e quindi di poter carpire l'essenza, come la Letteratura Verista si proponeva.

Se poi in preda a una vergognosa curiosità, si rispolverasse un manuale di storia della letteratura,  si potrebbe ricordare la critica sociale, il senso di immobilismo, la denuncia di un fallimento da parte degli Scrittori Veristi. Magari ci si scoprirebbe a ragionare che nello stesso anno in cui veniva pubblicato in volume questo romanzo, Gabriele D'Annunzio, epigone del novecento, dava alle stampe un altro capolavoro, Il Piacere. Curiosa contraddizione, una sorta di muro a muro. Il pensiero ottocentesco sta ancora ardendo e già pare oscurato daila folgorante vitalità del primo Novecento.

I Grandi sono sono sempre in anticipo sui loro tempi, i Grandissimi sono in anticipo su tutti i tempi, per questo sono sempre moderni. Si legge Mastro Don Gesualdo, ma l'immaginazione attribuisce volti, nomi e infelicità che ci sono prossime. Verga non esprime alcun giudizio, ci espone dei fatti, ma nessun lettore può esimersi dal prendere le distanze. Ricco o no, nessuno vuol essere Gesualdo.










giovedì 5 maggio 2016

La Peste

Titolo: La Peste

Autore: Albert Camus

Anno di publicazione: 1947

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin

I singolari avvenimenti che dànno materia a questa cronaca si sono verificati nel 194... a Orano; per opinione generale, non vi erano al loro posto, uscendo un po' dall'ordinario: a prima vista, infatti, Orano è una città delle solite, null'altro che una prefettura francese della costa algerina.
La città in se stessa, bisogna riconoscerlo, è brutta. Di aspetto tranquillo, occorre qualche tempo per accorgersi di quello che la fa diversa da tante altre città mercantili, sotto tutte le latitudini.

A volte capitano delle circostanze curiose anche nella storia della Letteratura. Per esempio che tre autori vogliano dare lo stesso titolo al proprio romanzo, La Peste. Malaparte e Sartre cedettero il passo a Camus, il che, se ci si vuole attenere ai fatti, accadde per questioni pratiche, ovvero Camus li batté sul tempo. A voler attribuire un significato più profondo, del tutto arbitrario,il romanzo di Camus aveva più ragione di ricorrere a una parola così universale nel suo orrore metaforico.

In fondo, Malaparte ne La Pelle aveva descritto il degrado di Napoli dopo la guerra, il che ne fa un racconto geograficamente e storicamente circostanziato; Sartre aveva descritto  con  La Nausea l'incapacità di attribuire significato alla vita di un individuo e questa è l'apoteosi del soggettivismo. Camus tratta del Male, del male assoluto, se mai esistesse un concetto tanto astruso, come l'assoluto del male o l'assoluto del bene.

La Peste è un romanzo che narra di un'epidemia che si diffonde in una immaginaria cittadina algerina negli anni Quaranta. La trama in sé non rivela particolare originalità: un medico di grande statura morale si batte prima per allertare del pericolo, poi per curare le persone, infine per mettere in guardia da future pestilenze; il suo impegno non si ferma davanti a nulla: ignora la superficialità dannosa dei politici, rinuncia a seguire la moglie malata in cura altrove; sopravvive psicologicamente alla morte degli amici. Il protagonista è il buono.

La parte del cattivo è più distribuita: tocca in parti diverse agli altri cittadini, in una straordinaria e inquietante sfilata di miserie, meschinità e insensatezze. Altri buoni si accodano al dottore, non tutti certo ricevendo il giusto compenso per i loro sacrifici.

Quando scoppia una guerra, la gente dice: "Non durerà, è cosa troppo stupida". E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare.

È chiaro che la trama non giustifica la fama del romanzo! La narrazione, seppur di altissimo livello,  da sola non sarebbe valsa il nobel. No, ciò che rende La Peste un romanzo di immenso valore è il suo significato metaforico: l'aver spiegato con una storia di fantasia ciò che era accaduto nel mondo reale ovvero il dilagare dell'ideologia fascista. Le vicende dei personaggi descrivono tutte le sfaccettature dei comportamenti umani, dallo strenuo rifiuto del male alla totale negazione delle sue conseguenze.

Solo Hanna Arendt seppe fare di meglio sotto un profilo analitico, con la triste conseguenza che accade agli intellettuali: essere ignorati dai più. Il romanzo di Camus ebbe invece il privilegio di enorme e duraturo successo editoriale, che ancora fa sperare che la Letteratura possa essere per molti.

E davvero sarebbe utile riprendere in mano questo romanzo, dai critici definito un caposaldo della Letteratura dell'Assurdo, se si guardano le statistiche dello stato dell'istruzione e della cultura ai tempi nostri. A fronte di un sempre maggior numero di laureati, di masterizzati e dottorati, non solo cresce paurosamente l'analfabetismo di ritorno, ma pure l'analfabetismo culturale degli ipertitolati che non sanno per esempio quando Cristoforo Colombo abbia messo piede su suolo americano, quando sia stata sganciata la prima bomba atomica o, più banalmente, la differenza tra omosessuale ed eterosessuale.

Camus ha già fatto tutto ciò che poteva per metterci in guardia dalla peste che lui aveva conosciuto e da quelle che non conosceva e che pure temeva. Dalla peste odierna, leggasi ignoranza, ci dobbiamo curare noi: leggere La Peste potrebbe essere un buon vaccino. 



Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero