giovedì 12 maggio 2016

Mastro Don Gesualdo

Titolo: Mastro Don Gesualdo

Autore: Giovanni Verga

Anno di Pubblicazione: 1889

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin

Suonava la messa dell'alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt'a un tratto, nel silenzio, si udí un rovinio, la campanella squillante di Sant'Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando: "Terremoto! San Gregorio Magno

Mastro Don Gesualdo é un capolavoro della Letteratura e questa definizione da manuale è uno dei motivi della sua sfortuna attuale. Causa di afflizione pomeridiana di liceali annoiati, ricordo infausto di trentenni nostalgici, forse solo per i cinquantenni e più è ancora simbolo di una cultura di valore.

Eppure questo romanzo è davvero un capolavoro della Letteratura, perché fuori da ogni retorica celebrativa, narra una storia del tutto attuale. Si potrebbe prendere la vicenda del protagonista e portarla ai giorni nostri, potrebbe essere un esercizio divertente e utile.

Mastro Gesualdo è un muratore, che viene da una famiglia di muratori e che investe tutte le sue energie per raggiungere un solo scopo: diventare ricco. Con intelligenza e fatica, con merito va detto, ottiene questo risultato, ma si accorge che non è sufficiente: la ricchezza non ha portato con sé la giusta considerazione sociale. Non gli resta che comprare la rispettabilità sposando una donna aristocratica, che, ormai priva di denari, porta come unica dote il suo lignaggio e una figlia concepita con un altro uomo.

Mastro Don Gesualdo ora dovrebbe avere tutto ciò che desidera, per cui ha tanto faticato e per cui ha fatto grandi sacrifici, ma il lettore comprende la situazione reale. Tutti disprezzano colui che è e resta un povero muratore:  i suoi parenti, che lo invidiano e lo depauperano; la famiglia acquisita, che lo disprezza per le sue origini salvo sciuparne le ricchezze; la moglie, che lo sposa per necessità; la figlia, che allevata da signora, ha un animo meschino.

Gesualdo non è l'unico infelice, l'unico vinto: lo sono tutti i personaggi perché ciascuno cerca di mantenere il proprio piccolo vantaggio, la propria piccola convenienza, in ultimo la propria solitudine. 

Il mondo andava ancora pel suo verso, mentre non c'era più speranza per lui, roso dal baco al pari di una mela fradicia che deve cascare dal ramo, senza forza di muovere un passo sulla sua terra, senza voglia di mandar giù un uovo. Allora, disperato di dover morire, si mise a bastonare anatre e tacchini, a strappar gemme e sementi. Avrebbe voluto distruggere d'un colpo tutto quel ben di Dio che aveva accumulato a poco a poco. Voleva che la sua roba se ne andasse con lui, disperata come lui. Mastro Nardo e il garzone dovettero portarlo di nuovo in paese, più morto che vivo. 

La vicenda è ambientata nella prima meta dell'Ottocento in Sicilia ma il contesto della narrazione non è che la giusta cornice di un quadro di valore. La scelta dell'Autore di annullare se stesso con un punto di vista oggettivo consente al lettore di farsi una propria idea, di non essere distratto da giudizi, e quindi di poter carpire l'essenza, come la Letteratura Verista si proponeva.

Se poi in preda a una vergognosa curiosità, si rispolverasse un manuale di storia della letteratura,  si potrebbe ricordare la critica sociale, il senso di immobilismo, la denuncia di un fallimento da parte degli Scrittori Veristi. Magari ci si scoprirebbe a ragionare che nello stesso anno in cui veniva pubblicato in volume questo romanzo, Gabriele D'Annunzio, epigone del novecento, dava alle stampe un altro capolavoro, Il Piacere. Curiosa contraddizione, una sorta di muro a muro. Il pensiero ottocentesco sta ancora ardendo e già pare oscurato daila folgorante vitalità del primo Novecento.

I Grandi sono sono sempre in anticipo sui loro tempi, i Grandissimi sono in anticipo su tutti i tempi, per questo sono sempre moderni. Si legge Mastro Don Gesualdo, ma l'immaginazione attribuisce volti, nomi e infelicità che ci sono prossime. Verga non esprime alcun giudizio, ci espone dei fatti, ma nessun lettore può esimersi dal prendere le distanze. Ricco o no, nessuno vuol essere Gesualdo.










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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero