sabato 12 novembre 2016

Elogio della fuga

Titolo: Elogio della fuga
Autore: Henri Laborit
Anno di Pubblicazione: 1976
Genere: Saggio
Recensione di: Chiara Bortolin


Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si  chiama desiderio.

Nonostante diverse persone me ne avessero suggerito la lettura e una si fosse anche presa la briga di regalarmelo, per anni questo libro è rimasto nella mia colonna di libri che forse un giorno leggerò. Il motivo è semplice: provo un’immediata antipatia alla parola fuga.
Devo ammettere che questa avversione è del tutto personale e nasce da un’associazione tra la parola fuga e un suo significato parziale ovvero a un atteggiamento di codardia che spinge l’individuo a sottrarsi a doveri o a  responsabilità. Ho scritto parziale perché a voler essere onesta, il significato della parola fuga non contiene in sé nessun connotato morale e la realtà insegna che a volte la fuga è non solo legittima, ma necessaria.
Nel testo di Laborit la parola fuga assume un significato positivo in quanto si riferisce all’allontanarsi dall’infelicità. La tesi sostenuta dallo scienziato francese è che ogni uomo sia profondamente infelice e la causa di questa condizione è che nessuno può soddisfare i propri bisogni, materiali o emotivi, così come questi si manifestano.
La soddisfazione di una necessità avviene sempre mediante una rinuncia a qualche altro aspetto. Per la propria sicurezza l’uomo ha imparato a essere socievole, per la propria sopravvivenza ha accettato di condividere le risorse e per migliorare la propria condizione si è piegato a faticare.
La maggior parte degli uomini, sia chiaro, non si pone alcun problema; altri si adattano più o meno benevolmente; una ristretta minoranza tenta di evadere. Laborit identifica, nella storia dell’umanità, tre via di fuga: la creatività, la follia, la dipendenza. Da questo punto di vista il pensiero non è particolarmente originale, dal momento che già in tempi più remoti si era vista nella produzione artistica, nella psicopatologia o nel vizio una sorta di elusione della sofferenza umana.
Originale è l’analisi che l’Autore presenta nell’applicare un metodo e delle competenze scientifiche a un campo tradizionalmente riservato alle materie umanistiche. Il testo viene elaborato sezionando diversi ambiti della vita quotidiana - il lavoro, l’amore, la cultura - ed evidenziando per ciascuno quali elementi renderebbero l’uomo felice, quali costrizioni vengono messe in atto e come i danni che vengono arrecati.
In questa chiave di lettura dell’esistenza, la fuga appare una scelta legittima, una logica conseguenza, che l’autore perora fin dal titolo.

Sebbene il testo, dal punto di vista scientifico, patisca l’usura delle scoperte che si sono succedute nei decenni e che inevitabilmente hanno portato a una riconsiderazione dell’esistenza anche sotto il profilo biologico, Elogio della fuga resta un saggio interessante e provocatorio, molto ben organizzato e con una scrittura scorrevole. Resta a monito che talvolta sarebbe meglio rifuggire dal proprio pregiudizio, che anche una mente sedicente illuminata si porta appresso come una copertina di Linus, più che dalle idee altrui, che possono essere condivise o meno, ma restano una via di fuga dai propri limitati orizzonti.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero