sabato 26 novembre 2016

Firmino - Le avventure di un parassita metropolitano

Titolo: Firmino
Autore: Sam Savage
Anno di Pubblicazione: 2006
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin

Avevo sempre immaginato che la storia della mia vita, se un giorno l'avessi mai scritta, sarebbe cominciata con un capoverso memorabile: lirico come il «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi» di Nabokov o, se non altro, di grande respiro come il tolstojano: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». 

Firmino o Le avventure di un parassita metropolitano è l’autobiografia di un topo. La faccenda, lo so, si presenta assurda, ma se hai creduto che Biancaneve potesse vivere con sette nani, che a Pinocchio potesse crescere il naso e che Cenerentola sia stata salvata dal Principe Azzurro, leggere la storia di un ratto bibliofilo non dovrebbe esserti così estraneo.
La vicenda si svolge a Boston, in un quartiere, neanche a dirlo, in decadenza, in cui ancora sopravvive una libreria, una di quelle botteghe da rimpiangere, con un librario che legge e conosce i libri, che vende ciò che serve al cliente, che fa affari perché conosce il suo prodotto. Qui nasce questo brutto e goffo animaletto che, non si sa per quale motivo, ha un’intelligenza straordinaria, non solo per la sua specie.
Firmino si dibatte in questa contraddizione: un corpo da infestante urbano e una testa da umano, allontanato dalla famiglia dei topi perché stravagante, rifiutato dagli umani perché repellente.
Tutte le sue soddisfazioni sono racchiuse nei libri, di cui è un vorace divoratore, prima in senso letterale, poi in senso figurato. Nei libri Firmino trova non solo un’infinità di informazioni e conoscenze, ma anche la possibilità di immaginare e sognare un mondo migliore, trastullandosi nelle fantasie di umanizzazione e di accettazione.
Il romanzo può essere letto così: una malinconica, a tratti divertente, fiaba di un roditore che passa il tempo a sgraffignare avanzi di cibo, salvo poi immergersi nella cultura a tutto tondo.
Forse per questa sua leggerezza il romanzo ha avuto grande successo: perché si legge di gusto, con il trasporto emotivo che si riserva ai personaggi sfortunati o perché gli animali, anche i meno attraenti, se protagonisti di una situazione surreale ci stanno simpatici.
Questo però non spiega perché per farlo pubblicare, in prima edizione, l’Autore si sia dovuto rivolgere a un’associazione ne profit (sì, si dovrebbe dire così), da cui ottenne mille copie, rifiutato dalle case editrici importanti, quelle che, per intenderci, a successo garantito, ne comprarono i diritti.
E qui si entra nel campo delle congetture. Forse è che in fondo Firmino potrebbe essere un topo solo sulla carta, ma nella vita reale il personaggio potrebbe essere interpretato in altro modo. Per esempio: la metafora calza a pennello con tutti coloro che vivono degli avanzi altrui, sebbene di intelligenza superiore. Oppure si potrebbe pensare che chi si interessa di cultura sia destinato a risultare uno stravagante. Si potrebbe poi dare un’interpretazione in senso morale: sulla vacuità  della contrapposizione bellezza - bruttezza, sull’allontanare ciò che non ci piace senza nemmeno conoscerlo, sulla solitudine dell’individuo pur in presenza dei suoi simili.

Per correttezza, si dovrebbe poter interpellare l’Autore e chiedere direttamente quale significato volesse attribuire. In mancanza di questa possibilità, mi appello alle legge per cui ciò che viene scritto, una volta pubblicato, non appartiene più soltanto allo scrittore, ma diventa anche una proprietà del lettore, che con la propria intelligenza completa l’opera e contribuisce a inventare la storia di Firmino, il parassita metropolitano. 

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero