Autore: Israel J. Singer
Genere: Racconto
Anno di pubblicazione: 1937
Recensione di: Chiara Bortolin
Sender Prafer è un ristoratore quarantenne che ha condotto una vita libertina e godereccia. Da qualche tempo però l’inquietudine lo coglie, nelle notti solitarie, quando non riesce a prendere sonno, quando avverte un malessere diffuso, quando il whisky non si comporta da amico. E’ in uno di questi momenti che decide di dare una svolta alla sua vita.
Si reca dal Rabbino che, pur non essendo un bigotto, gli rappresenta da tempo tutte le pecche del suo stile di vita e gli rinnova l’invito a mettere su famiglia. Sender si rassegna e affida al religioso la scelta della sposa, per poi gettarsi a capofitto nella preparazione della sua nuova vita. I cambiamenti che appronta non sono vissuti con entusiasmo, ma l’angoscia per un futuro peggiore, il disgusto verso le persone che fino a quel momento lo hanno circondato e la convinzione di una seconda possibilità lo sostengono.
Finalmente arriva il giorno del matrimonio e Sender affronta l’ultima fatica, sopportare il disprezzo della famiglia della sposa che, pur ridotta in miseria e privata di alcun aiuto, appartiene a una genealogia di integralisti spocchiosi, per i quali il passato del ricco sposo rappresenta una macchia indelebile che permette loro di accoglierne con gioia solo il denaro.
Sender confida che la nuova vita ripagherà i suoi sforzi. Il crollo è totale quando scopre che la moglie non è quella casta sposina che gli era stata rappresentata. Umiliato davanti ai suoi amici, sconfitto dalla decadenza che lo circonda, Sender torna alla sue vecchie abitudini senza alcuna allegria, pervaso dalla delusione, ormai privo di ogni speranza.
In una delle notti di ubriachezza, mentre tenta di rifugiarsi in uno stanzino del locale, che da tempo preferisce alle mura domestiche, scivola dalle scale rimanendo paralizzato.
Il racconto termina poche righe dopo: lascio al mio lettore la possibilità di scoprire la sorte di Sender, tanto sorprendente quanto crudele.
Singer è uno scrittore ebreo polacco, trasferitosi in America a inizio secolo. Di tutte le barbarie che vennero perpetrate durante la guerra al popolo ebreo e a milioni di cittadini europei non seppe nulla, perché mori prima che certe verità potessero emergere.
Il mondo a cui si riferisce è un mondo in cui la realtà della miseria materiale si accompagna al diffuso senso di decadimento morale. Sono gli anni in cui alla dissolutezza delle classi agiate corrisponde il convincimento di un destino ineludibile e drammatico degli intellettuali. Sono i primi anni di quel Novecento che ha cambiato troppe storie troppo rapidamente, quasi fosse capitombolato da un decennio all’altro, dalla belle époque al conflitto, dalla prima alla seconda guerra mondiale e poi al boom economico e allo sviluppo incessante, che ancor prima di essere compreso si chiamava globalizzazione e lanciava verso un Duemila che di ruggente aveva solo la memoria.
E questa memoria è qui, che pesa, come un’eredità più rimpianta che desiderata, di cui si rammentano immaginari fasti, mentre si riparano vecchi pettineuse, di fronte a cui si sono specchiate ballerine di seconda fila, dal trucco scadente, che in nessun caso avremmo voluto per madre.