sabato 28 gennaio 2017

Sender Prager

Titolo: Sender Prager
Autore: Israel J. Singer
Genere: Racconto
Anno di pubblicazione: 1937
Recensione di: Chiara Bortolin

Sender Prafer è un ristoratore quarantenne che ha condotto una vita libertina e godereccia. Da qualche tempo però l’inquietudine lo coglie, nelle notti solitarie, quando non riesce a prendere sonno, quando avverte un malessere diffuso, quando il whisky non si comporta da amico. E’ in uno di questi momenti che decide di dare una svolta alla sua vita. 
Si reca dal Rabbino che, pur non essendo un bigotto, gli rappresenta da tempo tutte le pecche del suo stile di vita e gli rinnova l’invito a mettere su famiglia. Sender si rassegna e affida al religioso la scelta della sposa, per poi gettarsi a capofitto nella preparazione della sua nuova vita. I cambiamenti che appronta non sono vissuti con entusiasmo, ma l’angoscia per un futuro peggiore, il disgusto verso le persone che fino a quel momento lo hanno circondato e la convinzione di una seconda possibilità lo sostengono. 
Finalmente arriva il giorno del matrimonio e Sender affronta l’ultima fatica, sopportare il disprezzo della famiglia della sposa che, pur ridotta in miseria e privata di alcun aiuto, appartiene a una genealogia di integralisti spocchiosi, per i quali il passato del ricco sposo rappresenta una macchia indelebile che permette loro di accoglierne con gioia solo il denaro.
Sender confida che la nuova vita ripagherà i suoi sforzi. Il crollo è totale quando scopre che la moglie non è quella casta sposina che gli era stata rappresentata. Umiliato davanti ai suoi amici, sconfitto dalla decadenza che lo circonda, Sender torna alla sue vecchie abitudini senza alcuna allegria, pervaso dalla delusione, ormai privo di ogni speranza. 
In una delle notti di ubriachezza, mentre tenta di rifugiarsi in uno stanzino del locale, che da tempo preferisce alle mura domestiche, scivola dalle scale rimanendo paralizzato. 
Il racconto termina poche righe dopo: lascio al mio lettore la possibilità di scoprire la sorte di Sender, tanto sorprendente quanto crudele.
Singer è uno scrittore ebreo polacco, trasferitosi in America a inizio secolo. Di tutte le barbarie che vennero perpetrate durante la guerra al popolo ebreo e a milioni di cittadini europei non seppe nulla, perché mori prima che certe verità potessero emergere. 
Il mondo a cui si riferisce è un mondo in cui la realtà della miseria materiale si accompagna al diffuso senso di decadimento morale. Sono gli anni in cui alla dissolutezza delle classi agiate corrisponde il convincimento di un destino ineludibile e drammatico degli intellettuali. Sono i primi anni di quel Novecento che ha cambiato troppe storie troppo rapidamente, quasi fosse capitombolato da un decennio all’altro, dalla belle époque al conflitto, dalla prima alla seconda guerra mondiale e poi al boom economico e allo sviluppo incessante, che ancor prima di essere compreso si chiamava globalizzazione e lanciava verso un Duemila che di ruggente aveva solo la memoria.

E questa memoria è qui, che pesa, come un’eredità più rimpianta che desiderata, di cui si rammentano immaginari fasti, mentre si riparano vecchi pettineuse, di fronte a cui si sono specchiate ballerine di seconda fila, dal trucco scadente, che in nessun caso avremmo voluto per madre.

sabato 21 gennaio 2017

Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Titolo: Ma gli Androidi sognano pecore elettriche?
Autore: Philip K. Dick
Anno di Pubblicazione: 1968
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin

Noi non nasciamo mica; noi cresciamo; nivee ce di morire di malattie o di vecchiaia, ci consumiamo come formiche. Sempre e formiche:ecco cosa siamo. Cioè non te. Voglio dire, io: chitinose dotate di riflessi che non sono veramente vive.

Tecnicamente questo libro rientra nella fantascienza, con grande disappunto degli appassionati del genere, che lo vorrebbero annoverato in un’altra categoria, come la fantapolitica.
Altrettanto tecnicamente questo libro non rientra nella Letteratura con la L maiuscola, perché la fantascienza, in cui la Letteratura annovera questo romanzo, non è un genere che sappia offrire grandi capolavori.
In comune le due fazioni portano la stessa motivazione, ma da punti di vista differenti. Il problema fondamentale è il tema. Da un lato si accusa che non sia ambientato nello spazio, con astronavi interstellari ed extraterrestri, dall’altro si ridicolizza un mondo impossibile senza sostanza narrativa.
Philip Dick immagina un mondo in un 1992 post nucleare, in cui l’umanità è stata decimata, insieme al mondo animale e vegetale e in cui una tecnologia avanzata sopperisce alle carenze vitali con macchine e alle carenze emotive con altri sistemi tecnologici. 
La Terra di Dick è un inferno tecnologico, reso con gran successo dal film The Blade Runner, in cui la maggioranza degli uomini si adegua al quotidiano e altri  cercano un’esistenza umana nell’unica dimensione che una macchina non potrà mai offrire, quella dei sentimenti.
Potrei ora fare una lunga e noiosa dissertatio per supportare la bontà degli argomenti trattati nel libro e spiegare le ragioni per cui si potrebbe affermare che la narrazione sia inferiore a essi, ma non sono questi gli aspetti che suscitano il mio entusiasmo.
Ciò che trovo interessante, in questo testo, come in generale nella fantascienza è il potere dell’immaginazione. La fantascienza ha le sue regole, tanto implicite, quanto inderogabili. La fantascienza può descrivere solo mondi irreali, di cui, fin dalle prime righe, si definiscono i punti cardine. E’ come se un Autore sussurrasse al lettore: se il mondo fosse così e così, allora potrebbe succedere questo. 
Questo è un esempio straordinario di immaginazione. E l’immaginazione è uno strumento straordinario. Imprescindibile per inventare altri mondi, per leggere questo mondo con occhi diversi, per capire il mondo che esiste, per intuire il mondo degli altri. Tutto questo si realizza con un costrutto sintattico, il periodo ipotetico, che a sua volta si basa su elementi grammaticali appresi alle elementari, i congiuntivi e i condizionali.
Sembra impossibile, ma è vero! A sei anni ripeti tabelle di verbi e a quaranta sei uno scrittore che immagina mondi o brevetta la cura per una malattia rara o inventa un materiale biodegradabile. Tutto questo perché hai in mente una particella invariabile del discorso, il se. 
Il problema è che se una regola vale in un senso, probabilmente vale anche nel suo contrario. Se l’immaginazione necessita dei congiuntivi, chi non li padroneggia è privo di immaginazione. Questo è un grande problema, questo è un problema democratico. 
Chi manca di immaginazione non solo non è in grado di immaginare un mondo orrendo in cui il post nucleare ha devastato il pianeta; chi non ha immaginazione non è in grado nemmeno di pensare come potrebbe essere questo mondo se si potesse agire meglio, come sarebbero le relazioni se si riuscisse a parlare meglio, ad ascoltare meglio, a pensare meglio.
Chi pensa solo all’indicativo, può solo pensare a un presente che è ed è immutabile, perché impossibilitato a chiedersi come sarebbe se; a un passato che è stato e non richiede ripensamenti perché incapace di chiedersi come sarebbe stato se; incapace di immaginare un futuro che non vada oltre a ciò che è ineludibile perché privo di immaginare come potrebbe essere il domani se.

Nel romanzo di Dick i personaggi sono costantemente alla ricerca di se stessi, nel tentativo di capire in ogni sguardo se davanti vi sia una macchina o un vero essere vivente. Sarebbe auspicabile, condizionale optativo o desiderativo, non doversi fare la stessa domanda incontrando persone in carne e ossa, ma con il senso del possibile inferiore a una macchina, perché, questo sì sarebbe un vero inferno.

venerdì 13 gennaio 2017

Contro il Fanatismo

Titolo: Contro il Fanatismo
Autore: Amos Oz
Anno di Pubblicazione: 2002
Genere: Saggio
Recensione di: Chiara Bortolin

(…) Sono un gran fautore del compromesso. So che questa parola gode di una pessima reputazione nei circoli idealistici d’Europa, in particolare tra i giovani. Il compromesso è considerato una mancanza di integrità, di dirittura morale, di consistenza, di onestà. Il compromesso puzza, è disonesto.
Non nel mio vocabolario. Nel mio mondo la parola compromesso è sinonimo di vita e dove c’è vita ci sono i compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, è morte. Sono sposato con la stessa donna da quarantadue anni: rivendico un briciolo di competenza, in fatto di compromessi. (…)

Chi conoscesse questo Autore per i suoi romanzi potrebbe sollevare un’obiezione di ordine letterario, perché questa è la prima recensione che dedico a Oz e, considerata la sua statura letteraria, considerate le sue ripetute candidature al Nobel, la mia scelta potrebbe apparire bizzarra.
La motivazione che posso addurre è naturalmente soggettiva ed è che un grande scrittore riesce a regalare  meraviglie anche in occasioni diverse dalla loro pratica quotidiana. Bisogna essere grati per questa generosa opera di diffusione di intelligenza.
Nel 2002 Oz tenne tre lezioni sul tema del fanatismo all’Università di Tubinga, a ben vedere non proprio un’Accademia secondaria, sul tema del fanatismo. Il saggio contiene la trascrizione di queste lectio magistrali.
Voglio essere molto chiara: questo saggio va letto. La si può pensare come si vuole sui molti temi che un argomento come il fanatismo richiama, penso all’integralismo, al terrorismo, alla religione, al conflitto tra israeliani e palestinesi. La si può pensare come si vuole, ma si potrebbe scoprire che il proprio pensiero sia   grossolano, dopo aver letto queste lezioni.
Il primo motivo per cui questo libro va letto è che è tanto semplice da leggere quanto complesso da rielaborare. E’ peculiarità delle menti brillanti saper illustrare in modo accessibile pensieri che solo loro sanno elaborare. Einstein che spiega il concetto di relatività, tanto per capire.
Tengo molto a questo aspetto: Oz è un donatore di pensieri, di idee, di concetti. Il fanatismo può essere combattuto solo dai moderati. Il fanatismo e il terrorismo sono due fenomeni attigui, ma non sono sinonimi né semanticamente né concettualmente. La pace e la fratellanza sono due concetti diversi, due fatti diversi, non necessariamente collegati. Il compromesso è l’unica, dolorosa via per un bene superiore, la pace. 
E di affermazioni così cristalline, così immediate, se ne trovano molte in queste poche pagine. Le argomentazioni a supporto scorrono altrettanto chiare, altrettanto evidenti. E qui vorrei sottolineare un altro aspetto: è una menzogna che la semplificazione sia inevitabile per rendere accessibili concetti complessi. La semplificazione presuppone la disistima del proprio pubblico, la demistificazione ne presuppone l’ignoranza. Un relatore adeguato fornisce gli strumenti per comprendere, non li omette.
Altro motivo per cui leggere questo saggio è la sua leggerezza. Oz riesce a essere brillante, a tratti divertente, ironico, pur trattando di temi così delicati. A dimostrazione che per essere seri non è necessario essere noiosi. A dimostrazione che chi ha confidenza con l’umanità preferisce un sorriso all’insulto.
Non ultimo, l’Autore è uno straordinario narratore e queste lezioni contengono tante storie, tanti aneddoti, tante deliziose curiosità, che di per se stesse valgono la lettura.

Sento sovente dire che non ci sono più intellettuali in giro, che non ci sono più personalità di riferimento culturali, al punto che a fare opinione sono rimasti i soliti buffoni di corte, che infarciscono i programmi satirici. Non è vero: gli intellettuali ci sono e parlano e scrivono, Amos Oz è uno di questi.

sabato 7 gennaio 2017

Viaggio di Nozze

Titolo: Viaggio di Nozze
Autore: Patrick Modiano
Anno di Pubblicazione: 1990
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin

Ritorneranno ancorale giornate estive, ma il caldo non sarò mai cos’ opprimente, né le strade così deserte come quel martedì di Milano. Era il giorno dopo ferragosto. Avevo lasciato la valigia al deposito bagagli e uscendo dalla stazione avevo esitato un momento; non si poteva camminare in città sotto quella cappa di piombo.

Avevo già letto un romanzo di Modiano, Bijeaux, ed ero rimasta in dubbio: la storia sembrava sospesa, la protagonista sfuggente, la scrittura scorreva rapida pagina dopo pagina, avevo l’impressione di andare alla ricerca di un significato che sembrava sempre promesso e mai mantenuto. 
Probabilmente quello sarebbe stato l’unico romanzo di Modiano nella mia libreria, salvo regali imprevisti, se non fosse che a Modiano era appena stato conferito il Premio Nobel e a un Premio Nobel, per prudenza, si offre una seconda opportunità. Così ho preso Viaggio di Nozze.
Il titolo potrebbe trarre in inganno e indurre a pensare che si tratti di una storia sentimentale, niente di più lontano da ciò che il romanzo tratta. 
A dire il vero non è facile spiegare l’argomento del romanzo. Il protagonista, un esploratore francese di mezza età, decide di scomparire per qualche tempo e, nelle settimane che trascorre lontano dalla sua vita ordinaria, rievoca la storia di una donna incontrata anni prima, morta suicida. 
Come per il primo libro che ho citato, anche questo romanzo lascia un segno contraddittorio: la piacevolezza della lettura, che non ha nulla di superficiale e scontato, non offre un significato, se non quello integrato dal lettore.
Così, da lettore, ho cercato di capire, perché c’è un che di perturbante nel libro che non può lasciare indifferente. E, sia detto per inciso, il libro ha riscosso un grande successo di pubblico, il che per un Premio Nobel è ancora più difficile da spiegare  dell’attribuzione del Premio stesso.
Alla fine sono giunta a questa conclusione: leggevo Modiano e cercavo Sartre. Sono andata a cercare qualche critica e in effetti Modiano viene indicato come un esistenzialista.
Allora il punto è qui. Che Sartre scriveva in un certo periodo storico: aveva un pubblico che lo seguiva per le sue idee più che per i suoi romanzi, aveva una formazione umanistica che implicava il costante confronto con la filosofia, portava avanti un impegno politico per cui il disagio del singolo aveva senso solo se interpretato in una dimensione sociale.
Modiano sbatte in faccia l’ovvio: i tempi sono cambiati. Per questo motivo il suo protagonista sembra fluttuare nella trama senza prenderne possesso, perché l’uomo della fine del Novecento è fuori dal suo tempo storico; Jean è un soggetto la cui storia non ha nessun significato collettivo, perché nella segmentazione attuale è la storia singola che assume importanza; per questo un ricordo evanescente può sembrare un mistero da risolvere, quando tutto è importante, nulla è importante. Il giudizio del singolo assurge a giudizio universale.

Ben si spiega il consenso di pubblico avuto dal romanzo e anche forse il Premio Nobel, se l’Autore è riuscito a intuire e interpretare il dissolversi dell’esistenzialismo in soggettivismo. E’ quasi un peccato che sia così ben scritto, così piacevole da leggere, così voluttuoso nella sua fragilità narrativa. E’ un peccato che tanta bellezza nasconda tanta disperazione, ma in fondo questo è il compito dei grandi scrittori: gettare un mantello di ermellino sullo scheletro dell’umanità.

Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero