Autore: Patrick Modiano
Anno di Pubblicazione: 1990
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin
Ritorneranno ancorale giornate estive, ma il caldo non sarò mai cos’ opprimente, né le strade così deserte come quel martedì di Milano. Era il giorno dopo ferragosto. Avevo lasciato la valigia al deposito bagagli e uscendo dalla stazione avevo esitato un momento; non si poteva camminare in città sotto quella cappa di piombo.
Avevo già letto un romanzo di Modiano, Bijeaux, ed ero rimasta in dubbio: la storia sembrava sospesa, la protagonista sfuggente, la scrittura scorreva rapida pagina dopo pagina, avevo l’impressione di andare alla ricerca di un significato che sembrava sempre promesso e mai mantenuto.
Probabilmente quello sarebbe stato l’unico romanzo di Modiano nella mia libreria, salvo regali imprevisti, se non fosse che a Modiano era appena stato conferito il Premio Nobel e a un Premio Nobel, per prudenza, si offre una seconda opportunità. Così ho preso Viaggio di Nozze.
Il titolo potrebbe trarre in inganno e indurre a pensare che si tratti di una storia sentimentale, niente di più lontano da ciò che il romanzo tratta.
A dire il vero non è facile spiegare l’argomento del romanzo. Il protagonista, un esploratore francese di mezza età, decide di scomparire per qualche tempo e, nelle settimane che trascorre lontano dalla sua vita ordinaria, rievoca la storia di una donna incontrata anni prima, morta suicida.
Come per il primo libro che ho citato, anche questo romanzo lascia un segno contraddittorio: la piacevolezza della lettura, che non ha nulla di superficiale e scontato, non offre un significato, se non quello integrato dal lettore.
Così, da lettore, ho cercato di capire, perché c’è un che di perturbante nel libro che non può lasciare indifferente. E, sia detto per inciso, il libro ha riscosso un grande successo di pubblico, il che per un Premio Nobel è ancora più difficile da spiegare dell’attribuzione del Premio stesso.
Alla fine sono giunta a questa conclusione: leggevo Modiano e cercavo Sartre. Sono andata a cercare qualche critica e in effetti Modiano viene indicato come un esistenzialista.
Allora il punto è qui. Che Sartre scriveva in un certo periodo storico: aveva un pubblico che lo seguiva per le sue idee più che per i suoi romanzi, aveva una formazione umanistica che implicava il costante confronto con la filosofia, portava avanti un impegno politico per cui il disagio del singolo aveva senso solo se interpretato in una dimensione sociale.
Modiano sbatte in faccia l’ovvio: i tempi sono cambiati. Per questo motivo il suo protagonista sembra fluttuare nella trama senza prenderne possesso, perché l’uomo della fine del Novecento è fuori dal suo tempo storico; Jean è un soggetto la cui storia non ha nessun significato collettivo, perché nella segmentazione attuale è la storia singola che assume importanza; per questo un ricordo evanescente può sembrare un mistero da risolvere, quando tutto è importante, nulla è importante. Il giudizio del singolo assurge a giudizio universale.
Ben si spiega il consenso di pubblico avuto dal romanzo e anche forse il Premio Nobel, se l’Autore è riuscito a intuire e interpretare il dissolversi dell’esistenzialismo in soggettivismo. E’ quasi un peccato che sia così ben scritto, così piacevole da leggere, così voluttuoso nella sua fragilità narrativa. E’ un peccato che tanta bellezza nasconda tanta disperazione, ma in fondo questo è il compito dei grandi scrittori: gettare un mantello di ermellino sullo scheletro dell’umanità.
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