Titolo: Insciallah
Anno di pubblicazione: 1980
Genere: romanzo
Recensione di: C. Bortolin
Per chi è alla ricerca della formula della vita
Cara, per
raccontare gli uomini, questi bizzarri animali che fanno ridere e piangere,
bastano due sentimenti che in fondo sono due ragionamenti: la pietà e l’ironia.
In parole diverse, basta avere il sorriso sulle labbra e le lacrime agli occhi
Ed è proprio così in questo libro. Perché i fatti che accadono nel corso dei tre mesi libanesi del contingente italiano sono narrati con una profonda pietà e un’affilata ironia.
Insciallah è
un romanzo che devi leggere con calma, anche se vorresti leggerlo d’un fiato,
perché la scrittura veloce e incalzante, il susseguirsi dei fatti, ti tengono
sotto pressione. Vuoi sapere, sapere come andrà a finire, questa faccenda della
guerra. Invece dovresti essere saggio e leggerlo piano, assaporarlo, capirlo.
1983: in
Italia sono i ruggenti anni 80, in Libano no. In Libano contingenti di diverse
nazionalità tentano di garantire la stabilità politica di una città divisa,
Beirut. Divisa per quartieri, che identificano poteri, che si legittimano con
la religione.
Unica
certezza, lo capisci subito, l’unico sentimento condiviso che unisca tutti i
quartieri, è che nessuno vuole gli stranieri. Non che gli stranieri, i soldati,
abbiano tanta voglia di essere lì, a Beirut. Anche i più convinti in partenza
comprendono rapidamente che la loro presenza è inutile.
La guerra
non serve a nulla, diceva, non risolve nulla. Appena una guerra finisce ti
accorgi che i motivi per cui era scoppiata non sono scomparsi, o che se ne sono
aggiunti di nuovi in seguito ai quali ne scoppierà un’altra dove gli ex nemici
saranno gli amici e gli ex amici i nemici.
E la guerra
in cui i protagonisti del romanzo si dibattono è ancora più infingarda e più
subdola di una vera guerra, perché non è una battaglia aperta, ma un continuo
vivere nella tensione: è successo qualcosa, succederà di nuovo, può succedere
in ogni istante.
Questo senso
di sospensione, di incertezza, provoca in ogni personaggio, in ogni uomo,
sensazioni diverse. Ma nel comune smarrimento si insinua la domanda
fondamentale: qual’è la formula della vita?
La vita non
è un problema da risolvere, è un mistero da vivere. Lo è, caro amico, lo è.
Credo che nessuno possa sostenere il contrario. Quindi la formula esiste. Sta
in una parola. Una semplice parola che qui si pronuncia a ogni pretesto, che
non promette nulla, che spiega tutto, e che in ogni caso aiuta; Insciallah,
come Dio vuole, come a Dio piace. Insciallah!
Questa la
spiegazione, non la verità, perché la verità della formula della vita ogni
personaggio se la trova da sé, nel suo coraggio e nella sua paura, in fondo
all’anima che scopre di avere. C’è chi ama la guerra, perché la paura, il
soffio della morte, per un istante, accende la scintilla della vita. C’è chi
odia la guerra, perché si sente defraudato della propria giovinezza. C’è chi
cerca la gloria, chi crede ancora nell’amore, chi si aggrappa all’amicizia o si
getta nello squallore.
E’ un
grande esame la guerra. E’ il più straordinario banco di prova cui un uomo
possa ricorrere per misurarsi con la paura e scoprire di che cosa sia capace
nel momento della verità.
Ti potrebbe
sembrare strano, ma proprio in questa tensione verso la morte, contro la morte,
la Fallaci urla da ogni riga il profondo amore per la vita. Il tentativo di
trovarne la formula.
Non era una
profetessa, la Fallaci, no, non fosse altro che gli intellettuali che hanno
provato a fare i profeti hanno sempre sbagliato. No, semplicemente aveva
imparato una lezione:
…che dietro
ogni bagno di sangue chiamato rivoluzione c’è un libro, dietro ogni insania
costituzionalizzata c’è un libro, dietro ogni violenza collettiva c’è un libro,
e dietro ogni genocidio, c’è un Main Kampf!
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