giovedì 1 gennaio 2015

Il Nome della Rosa


Titolo: Il Nome della Rosa
 
Autore: Umberto Eco
 
Anno di pubblicazione: 1980
 
Genere: Romano
 
Per tutti coloro che vogliono leggere un buon libro

 

«Lascio questa scrittura, non so pe chi, non so più intorno a che cosa: sta rosa pristina nomine, nomi nuda tenemus (la rosa, che era, ora esiste solo nel nome, noi possediamo solo nomi nudi)».

Credo di aver intrattenuto molti amici parlando di questo libro e ogni volta che lo leggevo tornavo a parlarne. Perché questo libro è perfetto. Anzi, è un esempio di perfezione, un vero exemplum. Lo è per due ragioni. 

E’ un esempio per la sua genesi: Umberto Eco sostiene che chiunque, dotato di informazioni di base, possa scrivere un libro perfetto. E’ un’antica disputa tra Scrittori per vocazione e Scrittori per mestiere. E’ un vero scrittore solo colui che scrive per talento o lo può essere anche colui che scrivere per tecnica? Eco dimostra che si può scrivere un libro eccellente solo con la tecnica. 

 Ma questo libro è un caso anche per la sua storia editoriale: un best seller, un successo che ancora perdura. E questo è un caso per il valore del libro. E’ possibile, Eco lo ha dimostrato, scrivere un best seller di alta qualità.

 Il successo di questo libro è probabilmente dovuto alla poliedricità delle sue trame, perché non ce n’è una sola, ma tante, al contempo distinte e intrecciate.

 Il Nome della Rosa è un giallo: in un’abbazia medievale si succedono una serie di omicidi, perpetrati con diabolica crudeltà e sofisticata intelligenza. Sta a Guglielmo da Baskerville, seguace del metodo deduttivo, il compito di scoprire il colpevole.

 Il Nome della Rosa è un romanzo storico: in un’abbazia medievale, luogo di conservazione e di produzione di cultura, si svolge una disputa tra i sostenitori dell’ortodossia cristiana e gli eretici; all’interno dell’ortodossia: tra i benedettini e i francescani; all’esterno dell’ortodossia: tra potere ecclesiastico e potere politico e all’interno di quest’ultimo tra potere religioso e potere secolare.

 «I semplici pagano sempre per tutti, anche per coloro che parlano in loro favore.» 

 Il Nome della Rosa è un romanzo filosofico: in un’abbazia medievale, in cui sono conservati manoscritti di immenso valore culturale, coloro che detengono il potere deliberano quale sapere buono sia da conservare e quale sapere cattivo debba andare perduto; si discute dell’accesso alla cultura, chi debba o possa sapere cosa, quali libri vadano studiati e quali debbano rimanere una conoscenza di pochi. 

 “Quindi non avrete una sola risposta alle vostre domande?”

“Adso, se l’avessi insegnerei teologia a Parigi”

“A Parigi hanno sempre la risposta vera?”

“Mai - disse Guglielmo - ma sono molti sicuri dei loro errori”

 Il Nome della Rosa è un romanzo politico: in un’abbazia medievale, in cui una rigida gerarchia definisce i ruoli di ogni membro, si innescano meccanismi di messa in discussione del potere. L’ingenuità di alcuni pretenderebbe una divisione più equa del potere, ma la reazione a queste velleitarie richieste di partecipazione porterà prima a immense crudeltà, poi all’implosione del sistema.

 «Anche una guerra santa è una guerra. Per questo forse non dovrebbero esserci guerre sante».

 Il Nome della Rosa è un romanzo sulla comunicazione: in un’abbazia medievale, in cui si copiano manoscritti di grande importanza per conservarli e diffonderli, l’accesso alla lingua, ovvero il grado di conoscenza della lingua, definisce le relazioni di potere. Ci sono i semplici, che non sanno né leggere, né scrivere; ci sono coloro che sanno scrivere, ma non sanno leggere; vi sono coloro che sanno sia leggere, sia scrivere; ci sono coloro che sanno leggere e scrivere in più lingue. La conoscenza è potere.

 «Non tutte le verrà sono per tutte le orecchie, non tutte le menzogne possono essere riconosciute come tali da un animo pio».

Il Nome della Rosa è un romanzo di semiotica: in un’abbazia medievale, baluardo e scrigno della conoscenza, accadono fatti inspiegabili. Si comprende, nella lettura, che nulla è inspiegabile, ma l’attribuzione di significati alle parole, ai gesti, alle forme e quindi ai fatti, è compito difficile. L’incapacità di attribuire significati corretti crea ulteriori drammi, ulteriori ingiustizie, ulteriori crudeltà. Solo la comprensione corretta dei fatti potrà portare chiarezza, ma questa chiarezza non corrisponde al lieto fine.

 Il Nome della Rosa è un romanzo metaforico: in un’abbazia medievale, che potrebbe essere un’accademia contemporanea, si dibatte di idee, di verità, di falsità, di mistificazione. Coloro i quali si ritengono i detentori della verità si dimostrano indegni di essa, anzi si dimostrano falsificatori; coloro i quali sostengono di cercare la verità, vorrebbero imporre la propria; coloro i quali si rimettono alle verità altrui, considerandosi incapaci di esprimerne una propria, ne saranno fagocitati; coloro i quali si batteranno per una varietà alternativa, saranno spazzati via. E’ la lezione della storia, è la lezione di ogni rivoluzione culturale, la lezione del ’68.

 «La bellezza del cosmo è data non solo dall’unità nella verità, ma anche dalla varietà nell’unità».

Il Nome della Rosa non è un capolavoro della Letteratura, perché, come Eco ha sempre affermato, non è prodotto del genio, ma della competenza. E nonostante questo, è un libro di eccezionale valore.

Il profondo amore che l’autore ha per la cultura, per le parole, per la libertà sono lì, per tutti. Per tutti, perché, a differenza di quanto blaterano i dei cattivi maestri, che nemmeno vorremmo per mediocri supplenti, è possibile fare cultura per tutti, perché la bellezza è per tutti.

 La volgarità, la banalità, il normale assurto a ideale, possono anche essere per tutti, ma non sono bellezza, tanto meno cultura. Ed è certo: tutti ne possiamo fare a meno.

«Sono solo gli uomini piccoli che sembrano normali».

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero