giovedì 19 febbraio 2015

Eveline

Titolo Racconto: Eveline
 
Titolo Opera: Gente di Dublino
 
Autore: James Joyce
 
Anno di Pubblicazione: 1914
 
Genere: Racconti brevi
 
Recensione di: Chiara Bortolin
 
 
Sedeva alla finestra osservando la sera invadere il viale. Teneva la testa appoggiata alle tende e nelle narici aveva l'odore della cretonne polverosa. Era stanca.
 
Tre frasi. In tre frasi James Joyce ha già introdotto e rappresentato molto del personaggio. Bisogna essere acuti e spietati, per riuscire così, con un tratto di penna, a illuminare uno stato d’animo tanto profondo, in maniera così semplice.
 
Eveline è seduta. E’ seduta e guarda fuori dalla finestra. L’esistenza di Eveline è tutta qui: guadare la vita degli altri dalla finestra.
 
Tu leggi queste righe e ti senti sperare, lungo tutte le altre righe: speri che Eveline si alzi.
 
Cercò di ponderare ogni aspetto della questione. A casa aveva comunque tetto e cibo; aveva intorno tutti quelli che aveva conosciuto tutta la vita.
 
Eveline non è un personaggio verista o neorealista di un racconto qualunque: è una rappresentazione iconica. Joyce tratteggia un fenomeno, che lui definiva concettualmente paralisi, che è una sorta di stagnazione non solo privata ma collettiva, una confusa incapacità a reagire, una rassegnazione sociale della Dublino a lui contemporanea.
 
Era un duro lavoro, una vita dura, ma ora che stava per lasciarla non la trovava una vita del tutto indesiderabile.
 
Eveline è una persona media, che conduce una vita mediocre. Non è una situazione drammatica quella che vive, piuttosto una infelicità costante, delimitata e chiara. Eveline ha però un’opportunità, che potrebbe cambiare la sua condizione, che le offrire la possibilità, non la certezza, di essere felice. Ma non ha il coraggio di rischiare.
 
Di fronte alla scelta tra un’infelicità certa, familiare e per questo rassicurante e una felicità rischiosa, sì, ma possibile, lei sceglie la prima.
 
Joyce è talmente certo che Eveline non riuscirà a uscire dalla sua dimensione quotidiana che nemmeno scrive di quando Eveline si alza dalla poltrona. Lo comprendi leggendo che ha fatto i bagagli, che è andata al porto e che è a un passo dalla fuga.
 
Se andava, domani sarebbe stata sul mare con Frank, diretta a tutto vapore verso Buenos Aires.
 
Non scrive nemmeno, Joyce, che Eveline tornerà a sedersi, ancora più stanca, su quella poltrona, continuando a guardare le vite degli altri dalla finestra, forse rimpiangendo ciò che avrebbe potuto essere e non è stato o forse così frustrata da nemmeno conservarne il rimpianto.
 
Tutti i mari del mondo le si rovesciarono intorno al cuore. La stava attirando verso di essi: l’avrebbe affogata.
 
Eveline è il ritratto dei rassegnati senza coraggio, degli infelici senza qualità, degli impassibili spettatori della propria esistenza. 
 
Joyce non spiega il motivo. Non offre una filosofica visione della Nolontà tanta cara a Shopenauer. Non accondiscende a una psicologica interpretazione d’infanzia deprivata. Tanto meno ammicca a una comprensiva mancanza di costruzione del sé. Nemmeno si intravede una predestinazione religiosa o fatalistica. 
 
Al lettore spetta capirne il motivo. Al lettore l’introspezione, se ne ha il coraggio. Anche al lettore di oggi.
 
Perché questo racconto è straordinariamente attuale, se si pensa che i sociologi hanno coniato la locuzione neet generation per descrivere, oltre cent’anni dopo, senza poesia e senza slanci, le migliaia di Eveline che rinunciano.
 
Altre persone, altre Eveline, non rientrano nemmeno nella definizione di neet generation. Ma restano, ancora più confuse, sprofondate nel divano dei nipoti di Freud, avvinghiate come edera in smodate confidenze agli estranei sui bus o dilaganti nei social network, mentre praticano un’autodafé smaniosa, tenacemente sedute sulla propria ombra.
 
Si aggrappò con entrambe le mani alla ringhiera di ferro (…) I suoi occhi non gli diedero nessun segno di amore o di addio o di riconoscimento.

3 commenti:

  1. Un altro libro da leggere, oltretutto in tema con le nostre ultime chiaccherate.

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  2. Ogni volta che un dubbio mi assale guardo la libreria. È consolante sapere che non c'è nulla che non sia già stato vissuto, descritto, vivisezionato dalla letteratura. Se non trovo risposte dai grandi del pensiero significa semlicemente che ho sbagliato la domanda.

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  3. Eveline non vuol partire, non vuol cambiare, pur essendo conscia del suo essere infelice. Non ha il coraggio di andare oltre al presente perché non ha la visione del futuro.
    Sono gli anni dei grandi cambiamenti e di grandi fermenti sociali, il futuro non è povero di promesse o di aspettative che la cultura del tempo invita a cogliere e a non essere "Eveline". Trovo nel personaggio di Eveline una certa somiglianza con i personaggi del Romanzo "Il castello del cappellaio" di Cronin.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero