giovedì 12 febbraio 2015

Per Chi Suona La Campana


Autore: Ernst Hemingway
 
Titolo: Per Chi Suona la Campana
 
Anno di Pubblicazione: 1940
 
Genere: Romanzo
 
Per chi ancora si incanta guardando le bolle di sapone
 
Recensione di: Chiara Bortolin
 
 
 
 
 
 
Ogni morte d'uomo mi diminuisce
perché io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
essa suona per te.
 
Dopo l’ultima pagina, ti rendi conto di non aver letto questo romanzo per il contenuto: questo è immediatamente annunciato, fin dal frontespizio. Ti torna l’eco di ciò che hai compreso sin dall’inizio, che fra l’altro non è neppure di Ernest Hemingway, ma di John Donne.

Ti accorgi che questo romanzo non lo hai letto neanche per la trama, che non prevede particolari elementi di innovazione o di originalità. Il protagonista deve compiere un atto di sabotaggio per conto di un gruppo di partigiani, la storia è tutta qui.

Riconosci che nel libro ci sono incontri interessanti, è naturale. Che c’è una storia d’amore, benissimo. Che ci sono riflessioni sul senso della vita. Persino che è presente una critica alla religione e alle ideologie. Ma tu non ha finito il libro per queste ragioni.

«Che strana faccenda la bigotteria. Per essere bigotti bisogna essere assolutamente certi che si ha ragione, e non c'è niente come la continenza che dia quella sicurezza e quel senso d'infallibilità. La continenza è il nemico dell'eresia»

C’è la descrizione di un contesto bellico, un anelito di libertà, un odore di guerra. Ma neppure questo è il motivo della tua tenace lettura.

«In una rivoluzione non si può consentire ad estranei di aiutarvi, né a chiunque altro di sapere più di quel che deve sapere. Egli aveva imparato questo: se una cosa è giusta nella sostanza, le menzogne di contorno non contano. C'erano però una quantità di menzogne. In principio, quel mentire non gli piaceva. L'odiava. Poi, più tardi, gli era perfino piaciuto. Era inevitabile, quando uno si trovava al centro delle cose, ma era una faccenda che corrompeva»

No, il punto è che, anche a volerla cercare, una ragione oggettiva per portare a termine il libro non appare proprio esserci. Sono consapevole che esistano metri cubi di carta critica che illustrano il perché e il per come, i significati profondi, che disputano su ciò che Hemingway non ha inteso affermare. Questo è il lavoro dei critici!

Il punto è che leggendo Hemingway sei da solo con lui. Ci siete soltanto voi due. E tu non puoi che ammettere, in fondo, che Hemingway è una bugia che tu stesso hai desiderato ascoltare. 

Leggere Hemingway è questo: è come credere che la vita non possa mai finire davvero. E’ come descrivere un viaggio che non hai fatto e che non farai. E’ come vedere il miraggio di un lago dove pensavi ci fosse soltanto deserto.

Leggi Hemingway per bisogno, il bisogno di vedere le farfalle invece della neve che cade, la primavera dove c’è l’inverno. Ma se la bellezza di questa riscrittura del mondo diventa immaginazione feconda, allora sì che Ernest può cambiare davvero un pezzetto di realtà.

Hemingway non dimostra di voler comunicare qualcosa, ma questo nulla è così bello e fruttuoso che gliene sei grato. Come l’arcobaleno miracoloso si tende sulla bolla di sapone, che un bambino sorpreso lascia volare in cielo dalle proprie dita. Per un momento magari, per un solo attimo, ma quella bolla sospesa può insegnare il volo, può indicare i colori, può davvero far comprendere che la pentola d’oro non è al fondo dell’arcobaleno, ma è l’arcobaleno stesso.

Come questo romanzo, come ogni romanzo scritto da Hemingway.

«Morire era niente e El Sordo non aveva dentro di sé una visione chiara della morte né la temeva. Ma vivere era l'immagine di un campo di grano che ondeggia al vento sul fianco di una collina. Vivere era un falco nel cielo. Vivere era una giara di terra piena d'acqua nella polvere della trebbiatura, col grano lanciato in aria e la pula che vola. Vivere era un cavallo tra le cosce e un fucile sotto una gamba e una collina e una valle e un fiume fiancheggiato d'alberi sulle rive, e l'estremo della valle e le colline al di là.»

 

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero