giovedì 2 aprile 2015

Aspettando Godot


Titolo: Aspettando Godot
 
 
Anno di pubblicazione: 1952
 
Genere: Teatro
 
Perché abbiamo tutti un Godot da aspettare
 

 
Estragone: siamo contenti (Silenzio). E che facciamo, ora che siamo contenti?
Vladimiro: Aspettiamo Godot.
Estragone: Già, è vero.

Prima recensione di un testo teatrale: non è così semplice commentare un testo che, pur potendolo leggere come racconto, per sua stessa natura sarebbe da veder rappresentato dal vivo.

Quindi, per prudenza, ho scelto di iniziare da Aspettando Godot del premio Nobel per la Letteratura, Samuel Beckett. Per prudenza nel senso che se mi provassi in una ermeneutica del testo, vale a dire in una traduzione del significato, sarei quantomeno al riparo da eventuali contestazioni.

Mi sentirei libera di parlare del tema dell’attesa o del tema dell’oggetto dell’attesa, che è, come già il titolo annuncia, l’aspetto fondamentale.

La trama, poi, è piuttosto semplice: due personaggi si trovano di sera su una panchina ad aspettare un misterioso Godot. Si comprende, direttamente nella lettura, dal cambiamento scenico in teatro, che l’attesa sarà piuttosto lunga e che di fatto non si concluderà.

Il motivo per cui questi due personaggi siano in attesa non è rilevante ai fini della trama, è chiaro che l’entità Godot, il suo arrivo, è fondamentale per loro.

L’Autore non spiega chi sia Godot e quindi il lettore o lo spettatore possono pensare ciò che vogliono. Godot potrebbe essere un dio, come il suo nome sembrerebbe evocare; potrebbe essere una guida spirituale; potrebbe essere un salvatore. Tutte queste interpretazioni sarebbero valide. Ma proprio questa molteplicità di ipotesi valide deve insospettire.

Forse Beckett intendeva scrivere proprio di questo? Forse Beckett alludeva all’inevitabile appiattimento delle idee, che deriva dalla validità che tutte hanno? Crollo delle ideologie, frammentazione del sentire comune e quant’altro? O forse, più prosaicamente, intendeva beffarsi dell’atteggiamento attendista dell’uomo che rimanda la risoluzione dei propri mali a un ente terzo salvifico?

Ma questa sarebbe l’interpretazione dell’interpretazione e la strada si fa perigliosa: meglio tornare, per prudenza, al testo.

Non accade nulla, nessuno arriva, nessuno se ne va, è terribile.

In fondo Beckett scrive questo testo subito dopo la guerra: le aspettative sociali erano elevate. Tutti avevano qualcosa o qualcuno da aspettare, anche perché abituati, nel bene o nel male, a demandare le soluzioni. 

Certo questo non spiega perché, a tutt’oggi, dal testo se ne trae l’impressione che sia stato appena scritto, che contenga un messaggio del tutto contemporaneo, anzi direi persino personale, perché è lo sviluppo della vicenda che pare domandare: quale Godot tu, proprio tu, stai aspettando?

Sei in cerca di un Messia? E’ Godot. 

Speri nell’illuminato economista che inventi la formula dell’equità sociale? E’ Godot. 

Cerchi conferme per la tua cinica disperazione? Sempre Godot.

A questo punto poi, si innesca la sensibilità personale: se sei un ottimista, l’attesa ha già ragione in se stessa; se sei un pessimista, l’attesa è compiutamente vana.

Strada di campagna, con albero.
E’ sera.
Estragone, seduto per terra, sta cercando di togliersi una scarpa. Vi si accanisce con entrambe le mani, sbuffando. Si ferma stremato, riprende fiato, comincia da capo.
Entra Vladimiro.
Estragone (dandosi per vinto): Niente da fare
Vladimiro (avvicinandosi a passettini rigidi e gambe divaricate): Comincio a crederlo anche io.

Benvenuto nel Teatrodell’Assurdo, che, non essendo mai stato teorizzato con un manifesto, con un proclama di intenti, per la Storia della Letteratura neppure esiste. Il genere no, ma il libro sì: benvenuto due volte nell’assurdo.

Il significato non è presente, ma ciascuno può darne uno. Benvenuto allora forse in un’esperienza straniante eppure familiare, perché via via si precisano elementi conosciuti.

Questo assurdo che si ricrea inizia ad assomigliare sempre più all’esistenza e l’esistenza stessa dei personaggi in scena si conclude con la decisione di andarsene, restando immobili.

Questo decidere negando è quindi assurdo? Oppure è da intendere come trasmissione perpetua, di generazione in generazione, dell’attesa di un senso ultimo?

Forse Godot è già arrivato e nessuno se ne è accorto? Godot è tutto questo?

Sarebbe poi così assurdo?

La mia risposta è sì: sarebbe assurdo, altrimenti io per prima avrei le risposte che da sempre l’Uomo si pone e questo sarebbe davvero assurdo.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero