Autore: George Orwell
Titolo: 1984
Anno di Pubblicazione 1948
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin
Tu sei sicuro di non essere il Grande Fratello?
Ci sono le utopie e ci
sono le distopie, poi c’è l’immondezzaio dell’umanità che di immenso ha solo la
dimensione.
Intendo dire: per
immaginare un mondo perfetto ci va una certa immotivata fiducia negli uomini;
per immaginare una distopia, l’esperienza ha già notevolmente aiutato; ma per
realizzare che un concetto come quello di Grande Fratello si riducesse a
essere lo spioncino degli annoiati sulla vita degli incapaci, era necessaria
una crudele realtà.
D’altra parte non
nutrivano per gli eventi pubblici neanche quell’interesse minimo per capire che
cosa stava accadendo. L’incapacità di comprendere salvaguardava la loro
integrità mentale. Ignoravano tutto, senza batter ciglio, e ciò che ingoiavano
non le faceva soffrire perché non lasciava traccia alunna, allo stesso modo in
cui un chicco di grano passa indigerito attraverso il corpo di un uccello.
Ecco qui il futuro che
George Orwell, nel 1948, intuisce, piuttosto prossimo: il 1984. Appena fuori
dall’esperienza totalitaria, l’Autore immagina una società sottoposta a
omologazione, succube del potere, instupidita dal quotidiano: un nuovo
totalitarismo che, non troppo diverso dal vecchio, si fonda sulla mancanza di
consapevolezza.
Il Grande Fratello
detiene il controllo attraverso un mezzo tecnologico innovativo: le telecamere.
Tutti sono spiati, sempre, ovunque, con chiunque.
Chiaramente il potere
si esercita in molti altri modi, come la storia, e non la creatività, ci hanno
insegnato, per esempio con la manipolazione della cultura, con la distribuzione
delle risorse economiche o con il terrore.
Ma come in tutti i totalitarismi, come in tutte le utopie, che una volta realizzate non possono che diventare l’incubo di se sesse, c’è sempre qualcuno che esce dagli schemi.
Era un solitario
fantasma che proclamava una verità che nessuno avrebbe mai udita. Ma per tutto
il tempo impiegato a proclamarla, in un qualche misterioso modo la continuità
non sarebbe stata interrotta. Non era con il farsi udire, ma con il resistere
alla stupidità che si sarebbe potuta portare innanzi la propria eredità d0uomo.
Winston, il
protagonista, integrato nel sistema, assorbito da esso, si accorge, pian piano,
confutando se stesso, di non essere libero. Gli accade ciò che solo a un uomo
può accadere: si innamora. E l’amore, che in questo contesto non ha nulla di
romantico o di patinato, è il propellente per diventare consapevole.
Questa sarà la sua
condanna. Ovvio. Ma questa è la vera utopia che si nasconde nella distopia di
Orwell: che ci sia sempre un uomo, un Uomo, consapevole.
C’è qualcosa di
beffardo nella storia del Grande Fratello. L’innovazione che Orwell introduce,
l’uso di telecamere diffuse in ogni strada, in ogni luogo di lavoro, è davvero
fantascienza nel 1948. Per questo il Grande Fratello sembra così
terribile, perché non esiste. Una specie di Uomo Nero per gli adulti.
Trent’anni dopo l’anno
di ambientazione del romanzo: telecamere di sorveglianza in casa, al
supermercato, in banca; Google Earth Google Street; satelliti per lo
spionaggio internazionale; ma ancora di più nei nostri pc, nei nostri telefoni,
nei nostri appartamenti. E tutto questo non ci fa più paura. Anzi: ci piace
parlare con nostro zio in Australia e guardare fuori dalla sua finestra; ci
piace condividere il panorama mozzafiato della scalata che abbiamo appena
compiuto; e come rinunciare a un selfie con la migliore amica nel camerino di
un negozio d’abbigliamento?!
Non ci sarebbe mai
arrivato, Orwell, con tutta la sua sfiduciata fantasia. Non avrebbe creduto che
noi posteri avremmo amato il Grande Fratello, che ne saremmo anzi stati
accalorati sostenitori, impagabili fagocitatori della nostra privacy. Non
sarebbe mai arrivato a pensare che noi saremmo
stati il Grande Fratello.
Il Grande Fratello Vi
guarda. Il
monito che appariva ovunque per ricordare ai concittadini di Winston di essere
sotto controllo.
Non ci sarebbe mai
arrivato Orwell a pensare che noi avremmo inocato con i nostri commenti su
Facebook, con le nostre condivisioni su TripAdvisor, con i nostri
geolocalizzatori, Grande Fratello, ti prego, guardami.
Non avrebbe mai
immaginato, Orwell, che il Grande Fratello potesse esistere sul serio,
pronto a rubarci i dati delle carte di credito, a sottrarci informazioni
personali mentre facciamo un quiz, a rubarci l’identità con un clic.
Potremmo però noi
immaginare una nuova utopia e sperare che il Grande Fratello sia un
fratello maggiore, che ci protegge, nelle camere di ospedale, in un incidente
stradale, durante un’aggressione e non un fratellastro che ci tradisce,
infettandoci con un virus, privandoci dei nostri segreti, intercettando la
nostra posizione per derubarci nell’androne di casa.
O forse, forse dovremmo
iniziare a pensare che il Grande Fratello non sia un ente esterno a noi, ma la
somma di noi tutti. Osservati e osservanti che compongono un unico sistema che
si auto-alimenta e si auto-condiziona.
Se così fosse, chi
potrebbe mai diventare, nella realtà altrettanto inquietante, il controllo del
romanzo di Orwell? Non sia mai l’uomo il quale, per scelta o per necessità,
risulti esterno al sistema stesso.
Non devi neanche
pensare, Winston, che i posteri ti renderanno giustizia. I posteri non sapranno
mai nulla di te. Tu sarai cancellato totalmente dal corso della storia (…) Di
te non resterà nulla, né il nome in qualche archivio, né il ricordo nella mente
di qualche essere vivente. Tu sarai annientato, sia nel passato, sia nel
futuro.
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