venerdì 8 maggio 2015

Trilogia sporca dell'Avana


Titolo: Trilogia Sporca dell'Avana



Anno di Pubblicazione: 2001

Genere: Racconto Lungo

Per conoscere Cuba



In quel periodo mi stavo allenando a non prendere niente sul serio. Un uomo può commettere tanti piccoli errori. E non importa. Ma se gli errori sono grandi e si ripercuotono sulla sua vita, l’unica cosa che può fare è non prendersi sul serio. Solo così evita di soffrire. La sofferenza prolungata può essere mortale.

L’isola di Cuba, per il sentire europeo, non è un territorio reale, così come per la maggior parte di coloro che ci vanno. Cuba è un immaginario condiviso, pieno di -ismi.

La Cuba contraffatta deve molto, dal punto di vista ideologico, a un socialismo reale che ha trovato una patria, almeno da parte di chi vive altrove e ridimensiona l’equanime distribuzione della povertà, preferendola all’iniqua distribuzione della ricchezza occidentale.

Cuba ancora, ma in maniera più triviale, evoca in certi smaniosi charteristi folle di nudi fantasmi femminili pronti a resuscitare le membra.

Come avrai capito, Cuba è un non-luogo mentale che provoca in me poco interesse antropologico, perché solitamente diviene, nelle fotografie dei turisti, un supermercato del divertimento, con scaffali, carrelli e prezzi uguali a ogni altro supermercato del mondo in cui si vendono vacanze.

Non ho quindi letto Pedro Juan Gutierrez per questa Cuba. Ho letto Gutierrez per Gutierrez. E un po’ perché lo consigliava Bukowski, in quanto il caro vecchio Hank, che a mio avviso ha sempre letto meglio di quanto non abbia mai scritto, sui libri difficilmente si sbaglia.

Veniamo tutti scaraventati nella giungla, così, a calci in culo. Si esce dalle gabbie ci si trova nel bel mezzo della lotta per la sopravvivenza, in piena giungla. Questo è il fatto. Usciamo dalle gabbie atrofizzati. Paurosi e sonnolenti. Senza la benché minima idea di come sia la lotta nella giungla. Ma tocca farlo lo stesso. Per trentacinque anni siamo rimasti chiusi nelle gabbie dello zoo. Ci passavano qualcosa da mangiare e un po’ di medicine, ma non avevamo la minima idea di come fosse il mondo al di là delle sbarre. 

Ecco, penso che questo possa dire molto a molti dei nostri.

Ti chiederai di cosa tratta il libro. Potrei dirti che è un’autobiografia discendente di un giornalista fallito. Fallito professionalmente perché incapace, nonostante la gabbia, di adeguarsi allo zoo che deve descrivere; fallito nei sentimenti e socialmente devastato. Neanche a dirlo, dedito a tutta una serie di peccati senza gioia, più ossessivi che frivoli: il rum, il sesso e le foglie secche a cinque punte.

Ci va un certo dignitoso odio per se stesso nel consumarsi con metodo, rimanendo consapevoli, vivi nonostante tutto.

E questo è il fil rouge del romanzo. Poi c’è la vera discesa agli inferi, che non è dentro il protagonista, ma tutt’attorno. Perché Pedro Juan è come il topolino ingoiato dal serpente: vivo nello stomaco della bestia, vivo ma inerme di fronte alla lenta e ineluttabile digestione. Pedro Juan descrive sempre quel momento preciso.

Solo pochi sopravvivono: i campioni e i vigliacchi.

Ma il topolino Gutierrez non è per nulla remissivo, anche nell’uso della lingua: ogni oggetto, ogni paesaggio, ogni incontro è descritto con una brutalità cui non si è avvezzi. Finalizzata intendiamoci, ma non all’ingegnerismo linguistico, perché non c’è tempo per questo nella miseria, ma a una precisa volontà di ferire.

Una parola, un pugno. Conserva Gutierrez quello stile allampanato che hanno tutti gli scrittori sudamericani, che qualcuno definisce il realismo onirico, come per Marquez o Soriano, tutti figli (adottivi) di Borges. C’è sempre un soffio d’esotico che ci sfugge e ci ammalia culturalmente. Per me è il rendere l’evanescenza con il calore tropicale, perché il caldo alla lunga appanna il lettore. C’è sempre qualcosa di allucinato, anche negli scrittori eleganti.
In Gutierrez di allucinato è l’esistere, il quotidiano, lo squallore e se Borges, da raffinato scrittore può scrivere libri di sabbia, Gutierrez può solo rimestare tra gli avanzi dell’umanità.

Non ho mai pensato di affollare questa Cuba, questo Avana, questo Malecón che non esiste e dopo aver letto Trilogia sporca de L’Avana, ho provato il desiderio di non andarci, per una sorta di aprioristico rispetto.

Perché Cuba non la capiremo senza smettere di andarci come se fossimo cubani. Abbiamo chiuso gli zoo per rispettare gli animali, in quanto certi che debbano vivere nel loro luogo naturale, mentre con questo popolo evidentemente non siamo sensibili fino a quel punto. Il libro di Gutierrez può aiutarci a comprendere, può invitarci a compiere un passo in avanti, verso noi stessi.

Nessun commento:

Posta un commento

Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero