Autore: Pedro Juan Gutierrez
Anno di Pubblicazione: 2001
Genere: Racconto Lungo
Per conoscere Cuba
In quel periodo mi stavo allenando a non prendere niente sul serio. Un uomo può commettere tanti piccoli errori. E non importa. Ma se gli errori sono grandi e si ripercuotono sulla sua vita, l’unica cosa che può fare è non prendersi sul serio. Solo così evita di soffrire. La sofferenza prolungata può essere mortale.
L’isola di Cuba, per il
sentire europeo, non è un territorio reale, così come per la maggior parte di
coloro che ci vanno. Cuba è un immaginario condiviso, pieno di -ismi.
La Cuba contraffatta
deve molto, dal punto di vista ideologico, a un socialismo reale che ha
trovato una patria, almeno da parte di chi vive altrove e ridimensiona
l’equanime distribuzione della povertà, preferendola all’iniqua distribuzione
della ricchezza occidentale.
Cuba ancora, ma in
maniera più triviale, evoca in certi smaniosi charteristi folle di nudi
fantasmi femminili pronti a resuscitare le membra.
Come avrai capito, Cuba
è un non-luogo mentale che provoca in me poco interesse antropologico, perché
solitamente diviene, nelle fotografie dei turisti, un supermercato del
divertimento, con scaffali, carrelli e prezzi uguali a ogni altro supermercato
del mondo in cui si vendono vacanze.
Non ho quindi letto
Pedro Juan Gutierrez per questa Cuba. Ho letto Gutierrez per Gutierrez. E un
po’ perché lo consigliava Bukowski, in quanto il caro vecchio Hank, che a mio
avviso ha sempre letto meglio di quanto non abbia mai scritto, sui libri
difficilmente si sbaglia.
Veniamo tutti
scaraventati nella giungla, così, a calci in culo. Si esce dalle gabbie ci si
trova nel bel mezzo della lotta per la sopravvivenza, in piena giungla. Questo
è il fatto. Usciamo dalle gabbie atrofizzati. Paurosi e sonnolenti. Senza la
benché minima idea di come sia la lotta nella giungla. Ma tocca farlo lo
stesso. Per trentacinque anni siamo rimasti chiusi nelle gabbie dello zoo. Ci
passavano qualcosa da mangiare e un po’ di medicine, ma non avevamo la minima
idea di come fosse il mondo al di là delle sbarre.
Ecco, penso che questo
possa dire molto a molti dei nostri.
Ti chiederai di cosa
tratta il libro. Potrei dirti che è un’autobiografia discendente di un
giornalista fallito. Fallito professionalmente perché incapace, nonostante la
gabbia, di adeguarsi allo zoo che deve descrivere; fallito nei sentimenti e
socialmente devastato. Neanche a dirlo, dedito a tutta una serie di peccati
senza gioia, più ossessivi che frivoli: il rum, il sesso e le foglie secche a
cinque punte.
Ci va un certo dignitoso
odio per se stesso nel consumarsi con metodo, rimanendo consapevoli, vivi
nonostante tutto.
E questo è il fil
rouge del romanzo. Poi c’è la vera discesa agli inferi, che non è dentro il
protagonista, ma tutt’attorno. Perché Pedro Juan è come il topolino ingoiato
dal serpente: vivo nello stomaco della bestia, vivo ma inerme di fronte alla
lenta e ineluttabile digestione. Pedro Juan descrive sempre quel momento
preciso.
Solo pochi
sopravvivono: i campioni e i vigliacchi.
Ma il topolino
Gutierrez non è per nulla remissivo, anche nell’uso della lingua: ogni oggetto,
ogni paesaggio, ogni incontro è descritto con una brutalità cui non si è
avvezzi. Finalizzata intendiamoci, ma non all’ingegnerismo linguistico, perché
non c’è tempo per questo nella miseria, ma a una precisa volontà di ferire.
Una parola, un pugno.
Conserva Gutierrez quello stile allampanato che hanno tutti gli scrittori
sudamericani, che qualcuno definisce il
realismo onirico, come per Marquez o Soriano, tutti figli (adottivi) di
Borges. C’è sempre un soffio d’esotico che ci sfugge e ci ammalia
culturalmente. Per me è il rendere l’evanescenza con il calore tropicale,
perché il caldo alla lunga appanna il lettore. C’è sempre qualcosa di
allucinato, anche negli scrittori eleganti.
In Gutierrez di
allucinato è l’esistere, il quotidiano, lo squallore e se Borges, da raffinato
scrittore può scrivere libri di sabbia, Gutierrez può solo rimestare tra
gli avanzi dell’umanità.
Non ho mai pensato di
affollare questa Cuba, questo Avana, questo Malecón che non esiste e dopo aver
letto Trilogia sporca de L’Avana, ho
provato il desiderio di non andarci, per una sorta di aprioristico rispetto.
Perché Cuba non la capiremo senza smettere di andarci come se fossimo cubani. Abbiamo chiuso gli zoo per rispettare gli animali, in quanto certi che debbano vivere nel loro luogo naturale, mentre con questo popolo evidentemente non siamo sensibili fino a quel punto. Il libro di Gutierrez può aiutarci a comprendere, può invitarci a compiere un passo in avanti, verso noi stessi.
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