Titolo: Storie di ordinaria
follia
Anno di Pubblicazione: 1972
Genere: Racconti
Tutti abbiamo udito la donnetta che dice: "Oh, è
terribile quel che fanno questi giovani a se stessi, secondo me la droga è una
cosa tremenda." Poi tu la guardi, la donna che parla in questo modo: è
senza occhi, senza denti, senza cervello, senz'anima, senza culo, né bocca, né
calore umano, né spirito, niente, solo un bastone, e ti chiedi come avranno
fatto a ridurla in quello stato i tè con i pasticcini e la chiesa.
Il nome di Henry Charles Bukowski è uno dei più noti e
abusati nell’ambito della cosiddetta letteratura underground, sia da parte dei
suoi devoti fan sia da parte dei suoi detrattori.
Non è affatto difficile comprendere come lo stile ed i
contenuti dei racconti di Bukowski possano generare una netta cesura fra chi lo
ama e chi lo odia come scrittore, perché il nucleo centrale è sempre l’ostile
estraneità e l’irrilevanza dei suoi personaggi rispetto al resto del consesso
umano.
Alcol e sesso, violenza e degrado sono le ovvie
conseguenze, su cui non si dovrebbe indulgere perché, a ben guardare,
rappresentano dei semplici corollari, delle manifestazioni, di ciò che lo
stesso autore definisce follia.
Vi son fondati motivi per mettere fuori legge LSD e
affini (questi stupefacenti possono far uscire di senno) ma altrettanto dicasi del
raccogliere barbabietole, dell'avvitare bulloni in una fabbrica d'auto, o lavar
piatti o insegnare lettere all'università. Se mettessimo fuorilegge tutto ciò
che fa diventar matta la gente, l'intera struttura sociale crollerebbe: il
matrimonio, la guerra, i trasporti pubblici, il mattatoio, l'apicoltura, la
chirurgia, tutto quanto. Qualsiasi cosa può far diventare matta la gente poiché
la società è fondata su basi false.
Bisognerebbe forse separare l’opera dalla biografia
personale, intervento non certo semplice perché le esperienze dello scrittore
sono quasi sempre trasposte sulle carta, ma se si considerasse la possibilità
di far vivere i personaggi per quello che sono, ne emergerebbe una valutazione
complessiva più compiutamente letteraria.
In questo libro di racconti, Storie di ordinaria follia, il rischio maggiore per il lettore è
considerarlo come una celebrazione della vita alternativa alle convenzioni
sociali o addirittura,una sorta di esaltazione del contro a ogni costo, un esempio che si proponga di attentare al
senso comune. Bukowski invece rappresenta l’autentica follia dall’aperta e
incurante esibizione di diversità, senza valore e senza paradigmi, che tuttavia
risulta sovrapponibile alla follia e all’insensatezza della vita rispettabile.
E ancora: La macchina da fottere, Dodici
scimmie volanti che non volevano fornicare come si deve, Gli stupidi cristi,
Violenza carnale, Una calibro 9 per pagare l'affitto, sono emblemi di ciò
che esiste molte volte nei bassifondi delle città e, aspetto più inquietante,
nel fondo dell’animo delle persone. Di qualunque persona. Questo aspetto è ciò
che probabilmente irrita o addirittura offende chi non apprezza Bukowski:
ciascuno di noi potrebbe essere uno dei degradati personaggi di cui si legge, a
causa dei rovesci di fortuna oppure per libera scelta.
Ciò che emerge è la rassicurante considerazione bukowskiana
che se anche così fosse, se anche si a toccasse il fondo dell’esistenza, non ne
conseguirebbe comunque un giudizio negativo, perché non può esistere una pietra
di paragone che sia valida in sé.
Per lo stesso motivo non c’è alcun compiacimento: l’Autore
considera alla pari gli integrati ed i respinti, in quanto accumunati da
un’insensatezza di fondo che permea ogni esistenza. Nessuna critica, nessuna
retorica, nella ideologia di fondo.
Solo l’arte, intesa soprattutto come creazione
letteraria, pittorica o musicale, è l’aspetto della vita che svolge il ruolo di
discrimine fra essere umano e no, perché non apprezzare Hemingway o una
composizione di Mahler determina l’appartenenza alla specie.
Solo i poveri conoscono il significato della vita:
chi ha soldi e sicurezza può soltanto tirare a indovinare.
chi ha soldi e sicurezza può soltanto tirare a indovinare.