venerdì 16 ottobre 2015

Chi ha paura di Lombroso

La ratio che ha spinto a disturbare la Magistratura, per reclamare il silenzio del Museo di Antropologia Criminale di Torino, mi è ostica e altrettanto mi riesce la sollecita verve della protesta parallela sui social network. L'accusa di razzismo a danno delle persone originarie del Sud Italia sarebbe di per sé più affine al ridicolo che al tragico.

Cesare Lombroso era un medico, che spese la propria vita nel cercare una motivazione di origine organica ai comportamenti criminali. Era sua convinzione che le ragioni alla predisposizione criminale fossero di natura anatomica e che quindi si potessero individuare delle anomalie nella struttura cerebrale, direttamente responsabili del comportamento deviato. Se così fosse stato, la tendenza criminale avrebbe avuto inoltre una sorta di ereditarietà, tramite cui si sarebbe spiegata una discendenza predestinata al crimine. Solo in un secondo tempo, Lombroso iniziò a considerare come elementi influenti anche i fattori socioculturali.
Le ricerche di Lombroso furono condotte comunque con un metodo rigoroso: da un lato, la sua formazione di medico lo spinse ad analizzare centinaia di cervelli appartenuti a delinquenti abituali, per la ricerca di anomali anatomiche; dall’altro visitò per anni manicomi e bagni penali, acquisendo innumerevoli testimonianze, al fine di comprendere cosa avesse portato le persone a perpetrare dei crimini, quale fosse il loro modus operandi e quali sentimenti avessero provato, così da compiere una ricerca che noi oggi definiremmo psicologica. Non ultimo, analizzò e conservò i manufatti che i detenuti e i ricoverati produssero, convinto che le anomalie cerebrali determinassero anche i tratti artistici, creativi ed intellettivi.
Molte delle conclusioni a cui Lombroso era giunto si sono dimostrate in seguito errate, in particolar modo il legame tra anomalia cerebrale e fisiognomica, e da un punto di vista scientifico, strictu sensu, sono oggi considerate pseudoscienza.
E’ necessario tuttavia riconoscere alcuni meriti di questo alacre studioso: Lombroso fu il primo a considerare la possibilità che ci fosse un nesso tra malattia e comportamento deviato, relazione che oggi è riconosciuta sia in termini legali, con l’infermità mentale, sia in termini clinici e nelle diverse sfere delle psicopatologie, delle neuropatologie e della genetica; Lombroso fu quindi uno dei primi ad ascoltare, e dunque a dare voce a una categoria sociale di esclusi, di emarginati e di fuoriusciti dalla società; le sue ricerche diedero origine all’indagine scientifica per fini giudiziari e impulso agli studi sociologici, finalizzati alla ricerca di motivazioni ambientali e familiari, che determinano quello che noi ora definiamo disagio; contribuì infine a contrastare i pregiudizi morali e religiosi, che gravavano sui miserabili e che risultavano irricevibili per i suoi principi positivisti. 
Il Museo, da lui fondato nel 1898, conserva oggi il materiale da lui raccolto: i reperti anatomici, gli scritti, gli strumenti, i manufatti dei detenuti e una collezione di ricostruzioni facciali di alcuni pazienti che furono oggetto dei suoi studi.
Chi avesse voglia di visitare questo curato e prezioso Museo, potrà verificare di persona che non vi è nulla di macabro, né di volgare, né tantomeno di razzista . Al termine del percorso museale, si trova inoltre un piccolo book shop, ove si possono acquistare alcuni degli scritti più noti di Lombroso, come L’uomo Delinquente, e altri testi di storia della psicologia, criminologia e sociologia della devianza.
Coloro i quali oggi chiedono la chiusura di questo Museo inconsapevolmente perpetuano un’antica e superflua rivalsa di natura politica della Roma classica: la damnatio memoriae. Se si arrivasse davvero a negare l’accesso al pubblico per il Museo di Antropologia Criminale, in forza di un patrimonio culturale un tempo condiviso, si rischierebbe di creare un precedente allarmante per altri luoghi: il Museo della Tortura di Volterra, ad esempio, perché rammenta le barbarie che sono state compiute; il Colosseo, perché lì i Romani gioivano degli scontri tra fiere voraci e prigionieri inermi; oppure il campo di sterminio di Auschwitz, magari per dimostrare che si rifiuta in questo modo il nazionalsocialismo.  Si ricerca davvero la cancellazione del nostro passato, magari più pericoloso, convinti che questo ci vaccini da errori futuri?  Infine un monito: ci sono voluti secoli, travagliati parti giuridici e vite immolate per consentire l’accesso alla cultura a tutti. Vietare un Museo al pubblico è demandare la cultura ad un ristretto gruppo di persone; segregare la conoscenza tout court nei palazzi è menomare la democrazia; riservare l’accesso alla memoria conservata nel Museo Lombroso ai pochi significa gettare nell'oblio un patrimonio comune, non di Piemontesi, non di Italiani, ma di Uomini.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero