Titolo: Il Manifesto del Partito Comunista
Autori: Karl Marx e Friedrich Engels
Anno di pubblicazione: 1848
Genere: Saggio
Recensione di Chiara Bortolin
Prima di tutto, io non sono mai stato marxista.
Queste si narra siano state le ultime parole di Marx. Scrivo questo
perché mi pare essere una premessa metodologica importante se ci si
accinge a leggere questo testo per la prima volta.
E
se si prende in mano questo libro per la sua fama, magari con il
desiderio di approfondire un argomento, è bene sgomberare la mente da
tutta una serie di luoghi comuni.
Punto
numero uno: Marx non era un politico, ma un economista. Punto numero
due: Marx era un teorico, non un rivoluzionario. Punto numero tre: Marx
non si è mai rivolto al popolo, ma alla ristretta cerchia di
intellettuali europei che nei salotti e nelle riviste dibattevano di
filosofia.
Punto
numero quattro, fondamentale, l’opera di Marx si può dividere in due
parti: l’analisi e la profezia. L’analisi che fa Marx dell’evoluzione
sociale legata all’evoluzione della distribuzione delle ricchezze è la
vera teoria dirompente e illuminante. La profezia, ovvero, ciò che Marx
considerava, sul lungo termine, l’evoluzione futura delle condizioni che
aveva considerato non si realizzò, né per portata né per qualità.
Non
che sia un torto di Marx, anzi, è una costante: gli intellettuali, gli
studiosi, i filosofi, anche più brillanti, hanno sempre espresso la loro
bravura nel comprendere il passato, l’eccezionalità nel comprendere i
propri tempi, ma hanno sempre preso cantonate nel prevede il futuro.
Talvolta ce ne si dimentica.
Infine, è necessario avere profondità storica. Il Manifesto fu
scritto nel 1848. Se si rispolvera qualche nozione di storia, si può
immaginare l’Europa del tempo. Tanto per dire: l’Italia non era uno
Stato Unitario, in Francia si combatte la cosiddetta terza rivoluzione
francese che porta alla proclamazione della Repubblica, in Inghilterra
era iniziato il Regno vittoriano.
Il
grande cambiamento che Marx comprende riguarda l’economia. Marx
constata che la distribuzione della risorse è definibile nei secoli come
un rapporto basato sulla ricchezza di pochi e la povertà di molti, in
un rapporto dialettico di oppressori e di oppressi, ovvero che la storia
è leggibile come una storia di lotte di classe. Ogni grande scarto
storico, ha comportato una ridefinizione delle classi sociali oppure la
loro cessazione.
Con
l’avvento dell’epoca moderna, un insieme di fattori ha però comportato
un grande mutamento nel determinare la distribuzione della ricchezza.
Nella dialettica tra aristocrazia e plebe, si inserisce una nuova classe
sociale, la borghesia, che sconvolge gli equilibri, o squilibri,
resistenti.
Questa
nuova classe non gode di una ricchezza da perpetuare, come
l’aristocrazia, ma gode di una ricchezza che produce. La borghesia crea ex novo la ricchezze e la sua forza non è nella tradizione, ma nel denaro, nel capitale.
In
questa cornice, anche le classi subalterne subiscono un mutamento,
creando un corrispettivo alla borghesia, il proletariato, ovvero chi ha
come unico bene la propria prole, che rappresenta forza lavoro.
L’analisi
strutturale che Marx descrive è molto articolata, ma punto focale è la
constatazione che a determinare gli assetti sociali non è più il potere
così come conosciuto fino ad allora, ma l’economia, non la politica, ma
il denaro, non la dialettica del diritto, ma della capacità di
influenzarlo.
Marx
non immaginava nulla di ciò che accadde successivamente alla diffusione
delle sue idee: non poteva prevedere che le sue idee non gli sarebbero
più appartenute, non immaginava che sarebbero state tradotte in
attuazioni pratiche, tanto meno avrebbe potuto immaginare che venissero
istituiti dei regimi che lo avrebbero messo a baluardo.
Con
una punta di cinismo, Marx fu vittima del concetto cardine che aveva
teorizzato: tutto è deciso dall’economia. E nell’epoca storica che lui
stesso aveva definito capitalista molti impararono rapidamente la
lezione, altri la fraintesero, altri la rifiutarono. Ma se si getta uno
sguardo indietro, se si prova a ricordare un po’ la storia,
probabilmente aveva buon diritto a proclamare di non essere mai stato
marxista.
Nota:
Il testo è disponibile gratuitamente on line. Si consiglia tuttavia, in prima lettura, di acquistare un'edizione critica, che assicuri una traduzione fedele e che sia corredata da una spiegazione introduttiva, preferibilmente curata da storici.
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