Titolo: La Mafia Devota
Autore: Alessandra Dino
Anno di Pubblicazione: 2010
Genere: saggio
Recensione di: Chiara Bortolin
“Io sono contento quando faccio del bene qualche personale sta più male di me (…) Non credo che domani io muoio e vado al Paradiso o all’Inferno, no. Ammiro moltissimo i missionari.Infatti era una mia vocazione che io sentivo da bambino (…) Cioè partire, insozzavate questo senso di libertà e aiutare delle persone che stavano male, io (…) ho letto qualche po’ la Bibbia, il Vangelo. (…) Non mi vedo in tutte quelle cose andare in chiesa, pregare. Guardi, lo ripeto, noi mafiosi siamo credenti, perché (…) siamo anche noi fatti di carne ossa”
Quando associo la parola mafia e la parola chiesa, la mente mi richiama l’immagine straziante di una donna che cerca di parlare tra i singulti, aggrappata al pulpito, sorretta dal Vescovo di Palermo: è la vedova di uno degli Agenti della scorta di Borsellino e dichiara, durante il funerale, di essere pronta al perdono se quegli uomini che le hanno strappato il marito si mettessero ginocchio e chiedessero perdono, se si pentissero… ma loro non si pentono.
Per preservare questo ricordo, effige della mafia, mi sono allontanata dallo schermo della tv quando l’8 giugno scorso al telegiornale hanno parlato di un’altra donna, un’altra chiesa e la stessa mafia. Il 4 giugno, a Corleone, durante la processione patronale, il corteo fa una deviazione dal percorso previsto e sosta sotto un balcone a rendere omaggio. Il volto che compare è quello tronfio della moglie di Salvatore Riina, nata Bagattella, che assieme ad altre donne del suo calibro si gode il momento. Il sacerdote in confusione prosegue la manifestazione religiosa. I quattro Carabinieri che sono nel corteo nel corteo si allontanano.
Di questo episodio il libro La Mafia Devota non tratta, essendo un fatto di cronaca di pochi giorni addietro, ma di fatti come questo ne sono citati una quantità sufficiente a raccomandare una lettura dosata, per non essere sopraffatti dal disgusto.
Che la mafia faccia orrore è risaputo, ma ancora più orrore, se possibile, suscita l’accostamento alla sfera del sacro. Con un metodo molto interessante, l’Autrice guida il lettore attraverso un complicato intreccio di storie di mafiosi, religiosità e Chiesa. Con intelligenza e onestà, la Sociologa aiuta a comprendere le differenti dimensioni che vanno dal personale al sociale, dalla becera devozione alle connivenze, dell’abitudine inconsapevole all’uso strumentale del rito.
Per chi è avvezzo a praticare il culto, è facile comprendere in quante occasioni, durante la vita, il luogo sacro, la chiesa, sia luogo di ritualità e di simbolo. Dalla nascita di un figlio, alla morte di un congiunto, la chiesa è lì pronta alla condivisione, in una dimensione sacra e socialmente condivisa, dell’emozione sublimata in sacralità.
Che la mafia ricorra a queste situazioni per darsi un volto pulito, per legittimarsi, per darsi visibilità non stupisce. Maggior stupore lo destano due attori di questi riti: l’uomo mafioso, il singolo, e l’uomo di Chiesa.
L’Autrice si fa carico di provare a spiegare il paradosso per cui persone che pur dichiarandosi credenti infrangono una buona quantità di precetti, tra cui alcuni piuttosto banali, come non uccidere. Il paradosso di per sé non si risolve, ma l’Autrice offre una plausibile chiave di lettura: il senso di onnipotenza della mafia, che ormai ci ha abituato a sostituirsi allo Stato, porta certi soggetti a sostituirsi anche a Dio, della cui volontà si fanno interpreti. Uccidere è sbagliato, in assoluto, ma per una buona causa…
Più complessa appare invece la posizione degli uomini di Chiesa: per un Padre Puglisi che viene assassinato per il suo impegno contro la mafia, c’è un Fra Giacinto, che viene assassinato per il suo impegno a favore della mafia. E se molti atti di eroismo isolato hanno dato speranza, atti di nascosto servilismo suscitano, proprio perché perpetrati da sedicenti servi di Dio, profondo sgomento.
Molto interessante per capire quando intricata sia la faccenda è l’analisi del fenomeno del pentitismo, talvolta ben lontano dal pentimento e viceversa. Che un mafioso rinunci alla propria attività criminale e collabori con la Giustizia non implica che sia pentito delle sue malefatte. Ben peggiore è la situazione se un mafioso va a confessare i suoi peccati in Chiesa, riceve un’assoluzione e con quattro avemaria ha risolto tutto.
Personalmente sono sempre molto diffidente nei confronti delle analisi del rapporto tra mafia e Chiesa, perché, con maggiore o minore buonafede, alcuni testi sono solo il pretesto per alimentare il qualunquismo che va da I mafiosi non sono poi così cattivi se vanno in chiesa a La Chiesa va a braccetto con la mafia.
Questo saggio è scritto con molta attenzione e si prefigge, con buoni risultati, di indagare con un approccio sociologico una materia a volte sfuggente. In più l’Autrice ha il merito, a mio avviso, di utilizzare un metodo scientificamente corretto, ma non per questo privo di umanità.
La ricca aneddotica, per quanto disgustosa, rende vivide le dinamiche che vengono poi riprese e concettualizzate, così da offrire al lettore una visione strutturale dei fenomeni. Un saggio divulgativo di sociologia della devianza che merita di essere letto, sia dai credenti, sia dai non credenti, perché la mafia è cosa di tutti.
Dovrebbe leggerlo, mi sia consentito, anche Padre Bagnasco che il 5 giugno ha emesso una delle sue sentenze contro le unioni delle coppie omosessuali nello Stato Laico Italiano. Talvolta anche gli uomini di Chiesa finiscono per far la parte delle comari che, dedite alle maldicenze sulle famiglie altrui, finiscono per trascurare la propria.
L’elenco potrebbe continuare a lungo, fino ai giorni nostri, con l’uccisione Calabria di padre Giuseppe Giovinazzo, collaboratore del responsabile del santuario di Polsi, con l’omicidio di don GiuseppeDiana, parroco a Casal di Principe, in Campania, e con l’assassinio di padre Pino Puglisi a Palermo, in una strada del quartiere Bravaccio.