giovedì 7 luglio 2016

L’etica protestante e lo spirito del capitalismo

Titolo: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo 
Autore: Max Weber
Anno di pubblicazione: 1905
Genere: saggio



“L’utilità di una professione, con la corrispondente approvazione da parte di Dio, si giudica sì in primo luogo secondo criteri etici e in secondo luogo secondo l’importanza per la collettività dei beni che vi si producono; ma poi segue il terzo criterio, che naturalmente è quello praticamente più importante: il profitto economico privato”.





All’inizio del XX secolo, il sociologo ed economista tedesco, Max Weber, pubblica un libro contenente due saggi che perseguono la ricerca di relazione fra lo spirito religioso del Protestantesimo e lo sviluppo capitalistico avvenuto nel corso dell’Ottocento.

In questi due saggi, l’Autore fornisce alcuni elementi di interpretazione che sembrano ancora oggi sottendere una “mentalità” del profitto che, soprattutto a noi popoli latini e cristiano-cottolici, possono apparire alieni.

Fondamentale per lo sviluppo della riflessione sono i cardini del pensiero luterano che escludono per l’uomo la possibilità di ottenere la grazia e la salvezza tramite le preghiere e le opere. Per il monaco agostiniano infatti la “giustificazione per fede” era l’unico mezzo che l’uomo credente poteva utilizzare per raggiungere la salvezza e veniva di conseguenza meno la funzione sacerdotale di tramite fra Dio e il suo popolo. Quindi per Lutero, ma anche per Calvino, l’uomo era sacerdote di se stesso e poiché Dio conosceva già chi si avrebbe goduto della salvezza e chi no, il tentare di modificare il proprio destino appariva del tutto inutile.

Inoltre, chi viveva nella prospettiva della vita eterna poteva essere riconosciuto attraverso un segno inequivocabile della preferenza che Dio gli accordava: il lavoro e il successo nel lavoro.

Tale condizione, nota come Beruf, diventava l’elemento discriminante fra comunanza con Dio o lontananza da esso e in particolare nel calvinismo, Weber identifica la pre-condizione allo sviluppo capitalistico. 

Elemento peculiare diventa quindi l’accettare la propria professione e il generare profitto, ma non per goderne i risultati, bensì per reinvestire lo stesso in altre imprese economiche, in una sorta di prova continua dell’approvazione divina. E infatti il protestante non chiede mai a Dio, magari con preghiere reiterate, al fine di ottenere qualcosa, ma ringrazia per ciò che ha già ottenuto. Anche per questo, continua Weber, le chiese cattoliche manifestano con l’oro e con la ricchezza la devozione a Dio, mentre le chiese protestanti sono molto più spoglie poiché luoghi di culto in cui porsi in relazione con un Dio che ha già predisposto ogni cosa.

L’autore inoltre delinea l’evoluzione dalle origini del Protestantesimo sino al suo presente, citando esempi economici e facendo riferimento a fenomeni particolari di teologia, ma il fil rouge resta sempre un’impostazione che dal generale della dottrina si trasforma nel particolare personale, anche se viene condiviso da popoli interi.

Certamente Weber non intende sostenere una relazione diretta e immancabile fra credente protestante e sviluppo capitalistico, ma generalizza i punti chiave del protestantesimo all’interno di una cultura popolare, di un sentire diffuso che in effetti ancora oggi è possibile rilevare.

Se infatti ci chiedessimo quale è stata la linea capitalistica del Novecento, e per molti versi quale sia l’attuale, dovremmo far riferimento a livello mondiale agli Stati Uniti d’America e in Europa, al Regno Unito e alla Germania. Ebbene, non sfuggirà a nessuno che questi sono paesi protestanti, e soprattutto oltreoceano risulta ancora chiara la dedizione e l’ormai secolarizzata fede nei confronti del successo lavorativo e nella ricchezza.

Che sia poi ancora oggi là interpretata come segno della grazia divina sarebbero in pochi a scommetterci, tuttavia resiste la considerazione estremamente positiva del successo economico come corrispondente a doti etiche e morali.

Chi ha denaro quindi è anche una brava persona.

Estremizzando, questo ai nostri occhi diventa quasi ridicolo. Ma se ben guardiamo nei nostri paesi cattolici e latini, possiamo riscontrare la semplificazione opposta nei detti popolari, ovvero il denaro è definito lo sterco del diavolo, nessuno si può arricchire onestamente, non si può servire Dio e Mammona.

In effetti Cristo ha detto: “Beati i poveri” e il povero, soprattutto in Italia, non si discute, perché non esiste una linea critica che valuta i motivi dello stato di povertà, eventualmente anche riscontrando demeriti personali, ma viene assunto ad emblema della necessità di fratellanza e di solidarietà.

Ciò però comporta una conseguenza importantissima: nei paesi cattolici l’insuccesso lavorativo e la difficoltà economica diventa un’emblema di vicinanza divina.

Anche questa semplificazione diventerebbe ridicola agli occhi di un protestante.

Se quindi non è possibile identificare e formalizzare un pensiero di tipo filosofico e culturale valido di per se stesso, dovremmo forse cambiare ambito e guardare a cosa succede nel mondo concreto degli affari a cui Weber si riferiva più di cento anni fa.

Ebbene, nel mondo concreto degli affari globalizzati, l’economia e la finanza di cultura protestante stanno spazzando via il corrispondente di cultura cattolica. Così come il Paradiso protestante è per pochi, sembra dirci Weber, così risulta vincente il concetto imprenditoriale di “pochi ma grossi”, cioè grandi gruppi multinazionali, che convertono economicamente (facendo il deserto) chi invece ancora sostiene il concetto di “piccoli ma molti”, (così come i poveri e gli ultimi della terra di derivazione evangelica).

Forse a questo punto non si tratta di accettare o meno ciò che scrive Weber, soprattutto se percepito in contraddizione al sentire che ci è più prossimo. Forse ciò che conta, al termine della lettura del libro, è comprendere chi e perché sta avendo il sopravvento da un punto di vista economico in base a ragioni culturali e spirituali, perché attraverso la produzione e la disponibilità di ricchezza, sappiamo che discendono poi le scelte in ambito politico, giuridico, amministrativo e culturale. Per inciso, la terza via del fondamentalismo religioso appare, in questo contesto, completamente fallimentare e privo di alcuna possibilità di imporsi.

Weber quindi fornisce degli elementi che, dopo un secolo, risultano ancora validi per leggere la realtà odierna e ciò è sorprendente, ma pone ancora più forte la domanda circa la scelta di quale parte del mondo essere, perché esaminando solo l’ambito protestante, delinea per difetto anche l’ambito cattolico degli affari ed implicitamente pone il lettore, nel secolo della globalizzazione manifesta, di fronte ad una scelta attualissima, riassunta da un noto proverbio protestante:

vuoi mangiare bene o dormire sereno?

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero