Autore: Alessandro Manzoni
Genere: Romanzo
Anno di Pubblicazione: 1842
Recensione di. Chiara Bortolin
Il nostro Abbondio non nobile, non
ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli
anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra
cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi,
assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la
verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del
ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e
mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che
sufficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non protegge un
individuo, non lo assicura, che fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal
farsi un suo sistema particolare. Don Abbondio, assorbito continuamente ne'
pensieri della propria quiete, non si curava di que' vantaggi, per ottenere i
quali facesse bisogno d'adoperarsi molto, o d'arrischiarsi un poco. Il suo
sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel
cedere, in quelli che non poteva scansare.
Don Abbondio è uno dei miei personaggi preferiti de I
Promessi Sposi: rileggere di tanto in tanto la descrizione in crescendo di
questo codardo patentato mi mette di buon umore.
Prima di tutto mi rassicura perché è la dimostrazione
che certi fatti, che nella vita quotidiana assumono uno spiacevole spazio
personale, sono ricollocabili in un contesto più ampio, nella fattispecie: i
codardi, ebbene sì, sono sempre esistiti.
In secondo luogo Don Abbondio è la manifestazione
eclatante che anche quanto di più disprezzabile, visto con la lente dell’arte,
può diventare bello e il bello eleva l’animo umano.
Don Abbondio è un curato di campagna e dovrebbe
celebrare le nozze tra Renzo e Lucia; di fronte alle intimidazioni di due
sgherri del signorotto locale, Don Abbondio si sottrae ai suoi doveri e innesca
una catena di eventi che vanno a costruire l’intreccio del romanzo. L’anziano
parroco è uno dei personaggi principali del romanzo: è il primo personaggio
presentato, ricompare successivamente a più riprese e, di fatto, conclude la
vicenda.
La scelta di Manzoni è un azzardo che pochi,
pochissimi, scrittori si possono permettere. Il lettore, ieri come oggi, è
abituato a eroi, positivi o negativi, personaggi che mostrano doti eccezionali,
Manzoni sceglie invece un mediocre e ne fa un asse portante della narrazione.
Il successo di questa operazione è probabilmente da attribuirsi all’abilità
dell’Autore di rendere questo personaggio un elemento comico. Ogni situazione in
cui Don Abbondio compare ha un’intrinseca drammaticità nei fatti, ma
nell’esposizione si veste sempre di ridicolo.
Già nel primo incontro, quando il pretino viene
minacciato dai bravi di Don Rodrigo, la paura di Don Abbondio fa sorridere;
segue poi il latinorum con cui cerca di raggirare Renzo; poche pagine
dopo il tonacato si sottrae al matrimonio a sorpresa, architettato da Renzo e
Lucia, attraverso una rocambolesca e indecorosa fuga.
I comportamenti di Don Abbondio non migliorano con il
trascorrere del tempo: nonostante i guai che provoca, nonostante gli
stravolgimenti politici e addirittura un’epidemia di peste, Don Abbondio resta
ostinatamente uguale a se stesso.
La critica ha dibattuto a lungo sull’interpretazione
di questo personaggio e sul giudizio del Manzoni a suo riguardo. Per quanto
attiene al primo tema, ci sono due visioni opposte: per alcuni Don Abbondio è
un debole che si arrabatta per cercare di scansare i guai; per altri il
sistema-Don Abbondio ha una sua intrinseca forza perché, sebbene moralmente
disprezzabile, alla fin fine il suo comportamento vile e opportunista gli
consente di arrivare al risultato prefisso.
Sulla seconda questione, è più difficile orientarsi:
se è vero che il Manzoni si fa beffe di questo coniglio bagnato vestito da clerico,
è pur vero che gli riserva una speciale indulgenza, preferendo l’ironia
all’invettiva.
La mia personale opinione è che il Manzoni lasci al
lettore la possibilità di esprimere un proprio giudizio rispetto a Don
Abbondio, proprio per la mediocrità che rappresenta. Manzoni si schiera di
fronte alla grandezza: L’Innominato, tanto grande nella malvagità, quanto nella
bontà, viene descritto come un uomo che in ogni dimensione in cui agisce, sa
agire solo grandiosamente; l’inquietudine di Fra Cristoforo regala una
descrizione in cui il tormento interiore viene magnificato dalle vette poetiche
del Manzoni; la superiorità spirituale di Carlo Borromeo spicca senza ombra di
dubbio, rafforzata dal noto anticlericalismo dell’Autore. Se Manzoni avesse
voluto esprimere un giudizio netto lo avrebbe fatto. La mia idea è che il
Manzoni lasci questo personaggio nella zona grigia in cui esso stesso si
colloca.
Don Abbondio è un pavido che ha come unico scopo
garantirsi un’esistenza quieta: lontano dai guai, lontano dai dubbi, lontano da
qualunque parte che non sia la propria. Le conseguenze delle sue azioni
nuocciono agli altri, ma Don Abbondio non agisce con deliberata malvagità, allo
stesso modo in cui non è in grado di assumersi la responsabilità delle sue
decisioni. Lui si sente una vittima delle circostanze, trincerato
nell’autocommiserazione, sempre alla ricerca di un rifugio morale e fisico in
cui nascondersi allo sguardo degli altri. Persino i sentimenti che suscita sono
delle vie di mezzo: è disprezzabile, ma indegno di odio; è patetico, ma non
merita pietà; è comprensibile, ma non giustificabile.
Forse in fondo questo è il peggior giudizio che si
possa dare a un personaggio come a una persona in carne ossa: così sfumato da
perdere di consistenza. La condanna per questi soggetti è già implicita nel
modo in cui conducono la propria vita: la paura per unica compagna, sempre in
cerca di un comodo nascondiglio, sempre a testa bassa a cacciar ciottoli per
strada. Che poi se la cavino o meno nelle peripezie della vita pare
ininfluente: per gli altri sono una parentesi infelice, destinati a dissolversi
nella memoria, con l’unico vanto di esser stati immortalati dalla penna del
Manzoni, marchiati dall’antonomasia «E’ solo un Don Abbondio».
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