giovedì 28 luglio 2016

Biografia di un codardo: Don Abbondio


Titolo: I promessi Sposi (Cap I)

Autore: Alessandro Manzoni

Genere: Romanzo

Anno di Pubblicazione: 1842

Recensione di. Chiara Bortolin


Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non protegge un individuo, non lo assicura, che fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal farsi un suo sistema particolare. Don Abbondio, assorbito continuamente ne' pensieri della propria quiete, non si curava di que' vantaggi, per ottenere i quali facesse bisogno d'adoperarsi molto, o d'arrischiarsi un poco. Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare.


Don Abbondio è uno dei miei personaggi preferiti de I Promessi Sposi: rileggere di tanto in tanto la descrizione in crescendo di questo codardo patentato mi mette di buon umore.
Prima di tutto mi rassicura perché è la dimostrazione che certi fatti, che nella vita quotidiana assumono uno spiacevole spazio personale, sono ricollocabili in un contesto più ampio, nella fattispecie: i codardi, ebbene sì, sono sempre esistiti.

In secondo luogo Don Abbondio è la manifestazione eclatante che anche quanto di più disprezzabile, visto con la lente dell’arte, può diventare bello e il bello eleva l’animo umano.

Don Abbondio è un curato di campagna e dovrebbe celebrare le nozze tra Renzo e Lucia; di fronte alle intimidazioni di due sgherri del signorotto locale, Don Abbondio si sottrae ai suoi doveri e innesca una catena di eventi che vanno a costruire l’intreccio del romanzo. L’anziano parroco è uno dei personaggi principali del romanzo: è il primo personaggio presentato, ricompare successivamente a più riprese e, di fatto, conclude la vicenda.

La scelta di Manzoni è un azzardo che pochi, pochissimi, scrittori si possono permettere. Il lettore, ieri come oggi, è abituato a eroi, positivi o negativi, personaggi che mostrano doti eccezionali, Manzoni sceglie invece un mediocre e ne fa un asse portante della narrazione. Il successo di questa operazione è probabilmente da attribuirsi all’abilità dell’Autore di rendere questo personaggio un elemento comico. Ogni situazione in cui Don Abbondio compare ha un’intrinseca drammaticità nei fatti, ma nell’esposizione si veste sempre di ridicolo.

Già nel primo incontro, quando il pretino viene minacciato dai bravi di Don Rodrigo, la paura di Don Abbondio fa sorridere; segue poi il latinorum con cui cerca di raggirare Renzo; poche pagine dopo il tonacato si sottrae al matrimonio a sorpresa, architettato da Renzo e Lucia, attraverso una rocambolesca e indecorosa fuga.

I comportamenti di Don Abbondio non migliorano con il trascorrere del tempo: nonostante i guai che provoca, nonostante gli stravolgimenti politici e addirittura un’epidemia di peste, Don Abbondio resta ostinatamente uguale a se stesso.

La critica ha dibattuto a lungo sull’interpretazione di questo personaggio e sul giudizio del Manzoni a suo riguardo. Per quanto attiene al primo tema, ci sono due visioni opposte: per alcuni Don Abbondio è un debole che si arrabatta per cercare di scansare i guai; per altri il sistema-Don Abbondio ha una sua intrinseca forza perché, sebbene moralmente disprezzabile, alla fin fine il suo comportamento vile e opportunista gli consente di arrivare al risultato prefisso.

Sulla seconda questione, è più difficile orientarsi: se è vero che il Manzoni si fa beffe di questo coniglio bagnato vestito da clerico, è pur vero che gli riserva una speciale indulgenza, preferendo l’ironia all’invettiva.

La mia personale opinione è che il Manzoni lasci al lettore la possibilità di esprimere un proprio giudizio rispetto a Don Abbondio, proprio per la mediocrità che rappresenta. Manzoni si schiera di fronte alla grandezza: L’Innominato, tanto grande nella malvagità, quanto nella bontà, viene descritto come un uomo che in ogni dimensione in cui agisce, sa agire solo grandiosamente; l’inquietudine di Fra Cristoforo regala una descrizione in cui il tormento interiore viene magnificato dalle vette poetiche del Manzoni; la superiorità spirituale di Carlo Borromeo spicca senza ombra di dubbio, rafforzata dal noto anticlericalismo dell’Autore. Se Manzoni avesse voluto esprimere un giudizio netto lo avrebbe fatto. La mia idea è che il Manzoni lasci questo personaggio nella zona grigia in cui esso stesso si colloca.

Don Abbondio è un pavido che ha come unico scopo garantirsi un’esistenza quieta: lontano dai guai, lontano dai dubbi, lontano da qualunque parte che non sia la propria. Le conseguenze delle sue azioni nuocciono agli altri, ma Don Abbondio non agisce con deliberata malvagità, allo stesso modo in cui non è in grado di assumersi la responsabilità delle sue decisioni. Lui si sente una vittima delle circostanze, trincerato nell’autocommiserazione, sempre alla ricerca di un rifugio morale e fisico in cui nascondersi allo sguardo degli altri. Persino i sentimenti che suscita sono delle vie di mezzo: è disprezzabile, ma indegno di odio; è patetico, ma non merita pietà; è comprensibile, ma non giustificabile.


Forse in fondo questo è il peggior giudizio che si possa dare a un personaggio come a una persona in carne ossa: così sfumato da perdere di consistenza. La condanna per questi soggetti è già implicita nel modo in cui conducono la propria vita: la paura per unica compagna, sempre in cerca di un comodo nascondiglio, sempre a testa bassa a cacciar ciottoli per strada. Che poi se la cavino o meno nelle peripezie della vita pare ininfluente: per gli altri sono una parentesi infelice, destinati a dissolversi nella memoria, con l’unico vanto di esser stati immortalati dalla penna del Manzoni, marchiati dall’antonomasia «E’ solo un Don Abbondio».

Nessun commento:

Posta un commento

Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero