Autore: Alexandre Dunas
Anno di Rappresentazione: 1846
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin
Il Conte di Montecristo è per antonomasia il romanzo della vendetta e proprio questa sua nomea è il motivo che spinge la maggior parte dei lettori a prendere in mano questo tomo.
D’altronde, non c’è nessun altro motivo per cui leggerlo. Dal punto di vista letterario se ne può dire solo male: la trama è fragile e a tratti le crepe sono evidenti; i personaggi sono, per dirla come un noto critico, di carta pesta; per quanto concerne la scrittura, definirla mediocre è un eufemismo. Eppure questo mediocre romanzo sopravvive al trascorrere dei decenni e questo è bastevole a renderlo degno di nota se non di studio.
Il Conte di Montecristo narra le vicende di Edmond Dantes, che, vittima di un complotto di invidiosi e opportunisti, viene incarcerato con un’accusa falsa. Durante la prigionia incontra un abate che, oltre a trasmettergli tutto il suo vastissimo sapere, gli rivela il nascondiglio di un tesoro, sito nell’isola di Montecristo. Fuggito dal carcere, il protagonista recupera il tesoro e vota la propria vita a perpetrare la sua vendetta.
E qui, che piaccia o meno, sta il merito dell’Autore: obbligare a riflettere sul tema della vendetta, su cosa sia e sul suo significato. La vendetta pare, in prima battuta, come la reazione a un’ingiustizia subita. Ma questa definizione, così immediata, ci si accorge subito essere lacunosa. L’ingiustizia dovrebbe trovare riparazione nella giustizia, il che implica che la vendetta, in quanto tale, abbia un che di diverso dal giusto.
Questo è il punto di partenza per alcune riflessioni. Punto numero uno: la vendetta è una faccenda personale, viene perseguita da Dantes in piena autonomia; il protagonista non si rivolge alla Magistratura, non chiede la riapertura del processo e la riabilitazione pubblica del suo nome; il suo unico scopo è annientare coloro che lo hanno danneggiato.
Punto numero due: la vendetta ha un che in più della giustizia. Dantes non cerca di pareggiare i conti: potrebbe far incarcerare chi lo ha mandato in carcere, potrebbe cercare la donna amata e riconquistarla, potrebbe sbaragliare economicamente chi ha avuto successo affondando lui. Invece no: l’agire di Dantes è volto alla distruzione delle vite altrui, non alla ricostruzione della propria vita.
Punto numero tre: il desiderio di giustizia è volto a ricostruire un nuovo equilibrio, la vendetta ha come unico fine la rottura dello squilibrio precedente. Dantes non guarda al futuro, non ha sogni, non si chiede cosa succederà dopo, la sua vita si blocca in un presente lunghissimo che consuma la sua e le altrui vite.
Questi alcuni degli argomenti salienti, se non altro perché sono quelli che reggono la flebilissima trama, ma ce ne sono altri, più nascosti, tra le righe: i mezzi attraverso cui la vendetta si realizza, i metodi utilizzati, l’intelligenza necessaria, le menzogne, le connivenze che si creano, gli interessi personali che sfruttano altri interessi personali.
Il successo di questo romanzo sta qui, nel suo lato positivo e nel suo lato negativo. In negativo perché Dantes rappresenta una proiezione di una parte meschina e crudele che è in ogni uomo: a tutti è sicuramente capitato di essere vittima di un’ingiustizia e tutti hanno provato, almeno per un stante, il desiderio di rendere quanto subito con una piccola giunta. In positivo, perché è evidente che la vendetta non rovina solo chi la subisce, ma anche chi la persegue. Ne scaturisce la domanda fondamentale: ne vale la pena?
La Letteratura offre molte opportunità, una di queste è che permette di avere un patrimonio di esperienza a disposizione, senza necessariamente viverla in prima persona. Dantes è un sogno di riscatto, ma è anche un incubo di annullamento. Che poi la storia sia mal scritta, mal congegnata, con abbozzi di caratteri, non fa che rendere questo romanzo più vicino alla vita, che sovente non ha una sua trama, che è piena di crepe e che presenta talvolta persone della consistenza della cartapesta.
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