Titolo: I Malavoglia
Anno di pubblicazione: 1881
Genere: Romanzo
Recensione di: Chiara Bortolin
Solitamente quando pronuncio
il titolo di questo romanzo il volto del mio interlocutore subisce una
repentina deformazione, un misto tra disgusto e sofferenza. Questa è la
conseguenza della cattiva scuola, fatta da cattivi insegnanti che, come i
cattivi genitori, impongono con la forza dell’autorità quello che non sanno
spiegare con la forza della conoscenza.
Il Professore P. entrò in
classe e aprì il libro e iniziò a leggere le prime righe:
Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi
della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci
Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che
sembrava dal nomignolo, come dev'essere.
Poi sollevò lo
sguardo dalla pagina e continuò, guardando la classe:
Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma
questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a
Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre
in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al
sole.
Ci volle un anno per finire il
romanzo, tra letture, spiegazioni, lavori, approfondimenti. Il risultato fu che
di questo libro me ne innamorai. Ancora oggi quando ne rileggo qualche pagina,
come ho fatto oggi per scrivere il post, mi commuovo. In parte è per la poesia
del Verga, in parte è per la poesia del Professor P. e, a pensarci un poco, non
sono due elementi diversi: non basta un poeta a far poesia, ci va anche
qualcuno che la capisca e la traduca per gli altri.
I
Malavoglia narra le vicende di una famiglia di pescatori siciliani
alla fine dell’Ottocento e rappresenta la metafora dell’irruzione della
modernità nella tradizione. I cambiamenti storici sconquassano l’iniziale
equilibrio dato dalle consuetudini, dal tramandarsi di un sapere esperito, che
per decenni aveva costituito la garanzia della buona sorte. L’improvviso
squilibrio comporta la necessità di un rapido adattamento, impossibile per chi
vive del proprio passato. Il risultato è catastrofico: un susseguirsi di
disgrazie a cui il lettore assiste impotente. Un nuovo equilibrio viene
raggiunto, in extremis, ma questo non può che alimentare la convinzione che
qualcosa sia andato perduto per sempre senza essere stato sostituito da un
miglioramento.
Avrei potuto scrivere una
trama con nomi e fatti, come si scrivono le trame nelle sinossi, ma ho
preferito astrarre la vicenda, per evidenziarne l’attualità. Il mondo, da un
certo momento in poi, ha iniziato a cambiare sempre più velocemente e ciò che
era il sapere di una volta, che i padri tramandavano ai figli, si è rivelato
sempre più inadeguato.
Nel romanzo, i proverbi di
Padron ‘Toni, che avevano dettato la strada, lentamente si dissolvono, si
scompigliano, fino a essere totalmente inutili. Accade così che la famiglia
Toscano si trova disorientata, priva di esperienza, a rimpiangere un mondo che
non può più esistere, che forse non è mai esistito, e a sognare un mondo che,
nella realtà, è destinato a scomparire.
Quando ‘Ntoni, il nipote più
scafato, comprende questa dicotomia, è ormai tardi. Ciò che viene ricostruito
da Alessi, l’unico nipote superstite della famiglia, è una copia incerta del
passato, fuori dal tempo, fuori dal mondo, una trincea di tradizione, che per
resistere si esclude.
Come si può intuire, ci sono
personaggi con un particolare acume che cavalcano l’onda del cambiamento e
altri che addirittura lo guidano, ma sono, appunto, gli altri.
Questo romanzo si inserisce
nel cosiddetto Ciclo dei Vinti che,
nel contesto storico e culturale dell’epoca, intendeva denunciare il tradimento
degli ideali positivistici, ovvero di quella corrente di pensiero che indicava
nella modernizzazione il miglioramento scoiale. Ciò che mi rammarica è che la
critica di allora sia così contemporanea, che questi moniti non siano stati
colti, e che oggi si millanti di voler alleggerire
lo studio ai ragazzi, come se lo studio fosse un peso e non un’opportunità di
anticipare con il sapere le conseguenze di alcune scelte.
Il Professor P. era esigente:
fece leggere e rileggere questo e altri romanzi, fino a poter sorprendere i
suoi studenti nel corridoio con una frase qualsiasi e aspettarsi che fosse
completata:
La gente diceva che la Lia era andata a stare con don
Michele…
…già i Malavoglia non avevano più niente da perdere, e don Michele
almeno le avrebbe dato il pane.
Alla fine I Malavoglia sono stati interiorizzati:
le frasi rimbalzavano come i motivetti delle canzoni di bocca in bocca, i nomi
dei personaggi erano diventati appellativi scherzosi, i proverbi di Padron ‘Ntoni
erano usati come moniti da finti saggi. Sembrava un romanzo così difficile da
leggere, con quell’italiano desueto, quell’Autore nascosto, quei dialoghi
complessi. Era bastato che qualcuno ce lo spiegasse per renderlo facile. Era
bastato il Professor P.
Tornò a guardare il mare, che s'era fatto amaranto, tutto seminato
di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua
sporta, e disse: - Ora è tempo d'andarsene, perché fra poco
comincerà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è
stato Rocco Spatu.