venerdì 23 settembre 2016

I Malavoglia


Autore: Giovanni Verga

Titolo: I Malavoglia

Anno di pubblicazione: 1881

Genere: Romanzo

Recensione di: Chiara Bortolin



Solitamente quando pronuncio il titolo di questo romanzo il volto del mio interlocutore subisce una repentina deformazione, un misto tra disgusto e sofferenza. Questa è la conseguenza della cattiva scuola, fatta da cattivi insegnanti che, come i cattivi genitori, impongono con la forza dell’autorità quello che non sanno spiegare con la forza della conoscenza.
Il Professore P. entrò in classe e aprì il libro e iniziò a leggere le prime righe:

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev'essere.

Poi sollevò lo sguardo dalla pagina e continuò, guardando la classe:

Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole.
Ci volle un anno per finire il romanzo, tra letture, spiegazioni, lavori, approfondimenti. Il risultato fu che di questo libro me ne innamorai. Ancora oggi quando ne rileggo qualche pagina, come ho fatto oggi per scrivere il post, mi commuovo. In parte è per la poesia del Verga, in parte è per la poesia del Professor P. e, a pensarci un poco, non sono due elementi diversi: non basta un poeta a far poesia, ci va anche qualcuno che la capisca e la traduca per gli altri.
I Malavoglia narra le vicende di una famiglia di pescatori siciliani alla fine dell’Ottocento e rappresenta la metafora dell’irruzione della modernità nella tradizione. I cambiamenti storici sconquassano l’iniziale equilibrio dato dalle consuetudini, dal tramandarsi di un sapere esperito, che per decenni aveva costituito la garanzia della buona sorte. L’improvviso squilibrio comporta la necessità di un rapido adattamento, impossibile per chi vive del proprio passato. Il risultato è catastrofico: un susseguirsi di disgrazie a cui il lettore assiste impotente. Un nuovo equilibrio viene raggiunto, in extremis, ma questo non può che alimentare la convinzione che qualcosa sia andato perduto per sempre senza essere stato sostituito da un miglioramento.
Avrei potuto scrivere una trama con nomi e fatti, come si scrivono le trame nelle sinossi, ma ho preferito astrarre la vicenda, per evidenziarne l’attualità. Il mondo, da un certo momento in poi, ha iniziato a cambiare sempre più velocemente e ciò che era il sapere di una volta, che i padri tramandavano ai figli, si è rivelato sempre più inadeguato.
Nel romanzo, i proverbi di Padron ‘Toni, che avevano dettato la strada, lentamente si dissolvono, si scompigliano, fino a essere totalmente inutili. Accade così che la famiglia Toscano si trova disorientata, priva di esperienza, a rimpiangere un mondo che non può più esistere, che forse non è mai esistito, e a sognare un mondo che, nella realtà, è destinato a scomparire.
Quando ‘Ntoni, il nipote più scafato, comprende questa dicotomia, è ormai tardi. Ciò che viene ricostruito da Alessi, l’unico nipote superstite della famiglia, è una copia incerta del passato, fuori dal tempo, fuori dal mondo, una trincea di tradizione, che per resistere si esclude.
Come si può intuire, ci sono personaggi con un particolare acume che cavalcano l’onda del cambiamento e altri che addirittura lo guidano, ma sono, appunto, gli altri.
Questo romanzo si inserisce nel cosiddetto Ciclo dei Vinti che, nel contesto storico e culturale dell’epoca, intendeva denunciare il tradimento degli ideali positivistici, ovvero di quella corrente di pensiero che indicava nella modernizzazione il miglioramento scoiale. Ciò che mi rammarica è che la critica di allora sia così contemporanea, che questi moniti non siano stati colti, e che oggi si millanti di voler alleggerire lo studio ai ragazzi, come se lo studio fosse un peso e non un’opportunità di anticipare con il sapere le conseguenze di alcune scelte.
Il Professor P. era esigente: fece leggere e rileggere questo e altri romanzi, fino a poter sorprendere i suoi studenti nel corridoio con una frase qualsiasi e aspettarsi che fosse completata:

La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele…
…già i Malavoglia non avevano più niente da perdere, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane.

Alla fine I Malavoglia sono stati interiorizzati: le frasi rimbalzavano come i motivetti delle canzoni di bocca in bocca, i nomi dei personaggi erano diventati appellativi scherzosi, i proverbi di Padron ‘Ntoni erano usati come moniti da finti saggi. Sembrava un romanzo così difficile da leggere, con quell’italiano desueto, quell’Autore nascosto, quei dialoghi complessi. Era bastato che qualcuno ce lo spiegasse per renderlo facile. Era bastato il Professor P.


Tornò a guardare il mare, che s'era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta, e disse: - Ora è tempo d'andarsene, perché fra poco comincerà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu. 

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero