Autore: Erasmo da Rotterdam
Anno di Pubblicazione: 1509
Genere: Pamphlet
Recensione di: Chiara Bortolin
Per chi ritiene che nella vita ci voglia un pizzico di follia
Lo
dichiaro subito: il titolo è fuorviante, sino a sfumare nella malignità. Perché
dopo mezzo millennio penseresti subito a magnifici e inconcludenti discorsi di
alcuni politici a noi coevi, alle cripto-minimaliste strategie di marketing per
indurti a comprare l’acqua del rubinetto oppure a dei tuoi amici che crescono i
figli nella venerazione degli acari albini: confermo che non si tratta di
questo.
«E, tanto per cominciare, chi non sa
che la prima età dell'uomo è per tutti di gran lunga la più lieta e gradevole? Ma
che cosa hanno i bambini per indurci a baciarli, ad abbracciarli, a
vezzeggiarli tanto che, persino il nemico presta loro soccorso? Che cosa, se
non la grazia che viene dalla mancanza di senno, quella grazia che la provvida
natura s'industria d'infondere nei neonati perché con una sorta di piacevole
compenso possano addolcire le fatiche di chi li alleva e conciliarsi la simpatia
di chi deve proteggerli?»
Si
tratta proprio di un elogio che la Follia fa di se stessa, indicandosi come elemento
essenziale del vivere comune in tutte le sue declinazioni: dal matrimonio
all’amicizia, dal campare quotidiano allo studio, dall’ignoranza alla
sapienza.
E’
sorprendente come questo testo mantenga la freschezza dopo cinquecento
anni! Certo: c’è il rimando ad alcune figure della mitologia classica che
per noi sono un po’ fuori moda (veniamo a sapere per esempio che la Follia
è figlia dell’Ubriachezza e dell’Ignoranza), oppure a personaggi che per la
loro rappresentatività sono decisamente attuali. Arroganza, Pedanteria,
Bramosia,
Avarizia, Cupidigia sono compagni assidui del nostro tempo, come lo erano
per Erasmo da Rotterdam.
«Chi non risparmia le sue
critiche a nessun genere di uomini, dimostra di non avercela con nessun uomo,
ma di detestare tutti i vizi.»
Erasmo,
che è un teologo, non un ospite da talk show, scrive per diletto questo libello,
per alleviare la convalescenza del suo amico Tommaso Moro.
E
già qui dovremmo perderci delle giornate, perché anche Moro, che aveva ideato
e scritto Utopia, romanzo in cui
descriveva il luogo immaginario della felicità, un po’ eccentrico doveva
esserlo. Io, tanto per dire, non ho amici che scrivano romanzi immaginando un
mondo perfetto. E per quanto mi sforzi di credere in un mondo migliore… beh
alla follia di un’Utopia non ci sono ancora arrivata!
C’è
anche da dire che questa Follia che parla di se stessa in toni ampiamente
esaltanti, non ha nulla di patologico. La follia come malattia
psichiatrica o come esito di una degenerazione neurologica è un concetto
piuttosto recente. La follia come commiserazione sociale che conduce
all’esclusione è di più lunga durata e di infelice contaminazione religiosa, ma
non è questa. Tantomeno ha a che fare con la stupidità.
La
Follia di Erasmo è prima di tutto intelligente e come vuole l’intelligenza,
comprende di politica, di religione e di uomini. E’ la follia che, dotata
di misericordia, perdona le miserie umane, che rende tollerabile le
ingiustizie, che fa passare oltre ai difetti dei propri cari.
«Osservate con quanta
previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un
pizzico di follia. Infuse nell’uomo più passione che ragione perché fosse tutto
meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso. Se i mortali si
guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure ci
sarebbe. Se solo fossero più fatui, allegri e dissennati godrebbero felici di
un’eterna giovinezza. La vita umana non è altro che un gioco della Follia.»
Tuttavia
non è sempre buona, la Follia di Erasmo, perché talvolta produce divisioni,
contrasti e guerre. Ma in fondo, chi di noi non crede che sia necessaria
della follia per lusingare il conflitto?
Neanche
a dirlo, questo libricino ebbe un successo enorme, molto più grande di
tanti saggi, seppur fondamentali, di altri grandi filosofi. Fu così apprezzato
che venne immediatamente tradotto dal latino in diverse altre lingue ed
ebbe più ristampe, nonostante il metodo di duplicazione fosse un’invenzione
recente.
Influenzò
poi moltissimi autori, soprattutto nel Rinascimento, ma anche nei secoli
successivi. Ludovico Ariosto l’aveva sicuramente letto, se trasformò Orlando,
da eroe senza macchia e senza paura, in un Furioso, che corre nudo nei boschi
roteando una spada enorme, disboscando la terra di Francia, in preda alla
follia d’amore!
Questo
succedeva un tempo, ma ai nostri giorni la parola Follia è caduta in disgrazia:
la utilizziamo soltanto per alludere a spese esorbitanti, a pacchiane
manifestazioni d’amore, a gesti tanto eclatanti quanto ridicoli.
Abbiamo
addomesticato la Follia, con la frusta del rassicurante giudizio altrui.
E
in perfetta coerenza con la contemporaneità, ho rispolverato questo saggio
ascoltando un recente brano musicale di Caparezza, che pone l’accento sulla
differenza tra la follia di Van Gogh e la stupidità che nobilita se stessa,
contraffacendo un titolo che talvolta inganna il sacrosanto stigma sociale.
Questo
probabilmente lo avrebbe sostenuto anche Erasmo cinquecento anni fa, pensando
alle regole dei feudi medioevali, al potere temporale della Chiesa,
all’ingresso della becera nobiltà nella gestione del sapere. Quindi a noi,
nonostante tutto questo tempo trascorso, non posso che porgere un augurio
imperativo: fingiamo di entrare in scena, recitando dietro le quinte.
«Tutta la vita umana non è se non una
commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella
parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico.»
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