venerdì 13 marzo 2015

Elogio della Follia

Titolo: Elogio della Follia

Autore: Erasmo da Rotterdam

Anno di Pubblicazione: 1509

Genere: Pamphlet

Recensione di: Chiara Bortolin

Per chi ritiene che nella vita ci voglia un pizzico di follia
 
Lo dichiaro subito: il titolo è fuorviante, sino a sfumare nella malignità. Perché dopo mezzo millennio penseresti subito a magnifici e inconcludenti discorsi di alcuni politici a noi coevi, alle cripto-minimaliste strategie di marketing per indurti a comprare l’acqua del rubinetto oppure a dei tuoi amici che crescono i figli nella venerazione degli acari albini: confermo che non si tratta di questo.

«E, tanto per cominciare, chi non sa che la prima età dell'uomo è per tutti di gran lunga la più lieta e gradevole? Ma che cosa hanno i bambini per indurci a baciarli, ad abbracciarli, a vezzeggiarli tanto che, persino il nemico presta loro soccorso? Che cosa, se non la grazia che viene dalla mancanza di senno, quella grazia che la provvida natura s'industria d'infondere nei neonati perché con una sorta di piacevole compenso possano addolcire le fatiche di chi li alleva e conciliarsi la simpatia di chi deve proteggerli?»

Si tratta proprio di un elogio che la Follia fa di se stessa, indicandosi come elemento essenziale del vivere comune in tutte le sue declinazioni: dal matrimonio all’amicizia, dal campare quotidiano allo studio, dall’ignoranza alla sapienza.

E’ sorprendente come questo testo mantenga la freschezza dopo cinquecento anni! Certo: c’è il rimando ad alcune figure della mitologia classica che per noi sono un po’ fuori moda (veniamo a sapere per esempio che la Follia è figlia dell’Ubriachezza e dell’Ignoranza), oppure a personaggi che per la loro rappresentatività sono decisamente attuali. Arroganza, Pedanteria, 

Bramosia, Avarizia, Cupidigia sono compagni assidui del nostro tempo, come lo erano per Erasmo da Rotterdam.

«Chi non risparmia le sue critiche a nessun genere di uomini, dimostra di non avercela con nessun uomo, ma di detestare tutti i vizi.»

Erasmo, che è un teologo, non un ospite da talk show, scrive per diletto questo libello, per alleviare la convalescenza del suo amico Tommaso Moro.

E già qui dovremmo perderci delle giornate, perché anche Moro, che aveva ideato e scritto Utopia, romanzo in cui descriveva il luogo immaginario della felicità, un po’ eccentrico doveva esserlo. Io, tanto per dire, non ho amici che scrivano romanzi immaginando un mondo perfetto. E per quanto mi sforzi di credere in un mondo migliore… beh alla follia di un’Utopia non ci sono ancora arrivata!

C’è anche da dire che questa Follia che parla di se stessa in toni ampiamente esaltanti, non ha nulla di patologico. La follia come malattia psichiatrica o come esito di una degenerazione neurologica è un concetto piuttosto recente. La follia come commiserazione sociale che conduce all’esclusione è di più lunga durata e di infelice contaminazione religiosa, ma non è questa. Tantomeno ha a che fare con la stupidità.

La Follia di Erasmo è prima di tutto intelligente e come vuole l’intelligenza, comprende di politica, di religione e di uomini. E’ la follia che, dotata di misericordia, perdona le miserie umane, che rende tollerabile le ingiustizie, che fa passare oltre ai difetti dei propri cari.

«Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell’uomo più passione che ragione perché fosse tutto meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso. Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure ci sarebbe. Se solo fossero più fatui, allegri e dissennati godrebbero felici di un’eterna giovinezza. La vita umana non è altro che un gioco della Follia.»

Tuttavia non è sempre buona, la Follia di Erasmo, perché talvolta produce divisioni, contrasti e guerre. Ma in fondo, chi di noi non crede che sia necessaria della follia per lusingare il conflitto?

Neanche a dirlo, questo libricino ebbe un successo enorme, molto più grande di tanti saggi, seppur fondamentali, di altri grandi filosofi. Fu così apprezzato che venne immediatamente tradotto dal latino in diverse altre lingue ed ebbe più ristampe, nonostante il metodo di duplicazione fosse un’invenzione recente.

Influenzò poi moltissimi autori, soprattutto nel Rinascimento, ma anche nei secoli successivi. Ludovico Ariosto l’aveva sicuramente letto, se trasformò Orlando, da eroe senza macchia e senza paura, in un Furioso, che corre nudo nei boschi roteando una spada enorme, disboscando la terra di Francia, in preda alla follia d’amore!

Questo succedeva un tempo, ma ai nostri giorni la parola Follia è caduta in disgrazia: la utilizziamo soltanto per alludere a spese esorbitanti, a pacchiane manifestazioni d’amore, a gesti tanto eclatanti quanto ridicoli.

Abbiamo addomesticato la Follia, con la frusta del rassicurante giudizio altrui.

E in perfetta coerenza con la contemporaneità, ho rispolverato questo saggio ascoltando un recente brano musicale di Caparezza, che pone l’accento sulla differenza tra la follia di Van Gogh e la stupidità che nobilita se stessa, contraffacendo un titolo che talvolta inganna il sacrosanto stigma sociale.

Questo probabilmente lo avrebbe sostenuto anche Erasmo cinquecento anni fa, pensando alle regole dei feudi medioevali, al potere temporale della Chiesa, all’ingresso della becera nobiltà nella gestione del sapere. Quindi a noi, nonostante tutto questo tempo trascorso, non posso che porgere un augurio imperativo: fingiamo di entrare in scena, recitando dietro le quinte.

«Tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico.»
 
 

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero