venerdì 6 marzo 2015

Libera Nos A Malo


Autore: Luigi Meneghello
 
Titolo: Libera Nos A Malo
 
Anno di Pubblicazione: 1963
 
Genere: Romanzo
 
Recensione di: Chiara Bortolin
 
Per ascoltare una storia raccontata a bassa voce
 
 
 
Non ricordo esattamente perché e quando comprai questo libro e ciò è strano, perché ogni libro ha una sua storia fuori dalla storia. Di Libera nos a malo ho un ricordo vago: l’università, una serata al Circo Anatra zoppa, chiacchiere con gli amici davanti a una birra.

Eppure è un ricordo gioioso, soffuso, come certi ricordi intimi, che riescono sempre a strapparti un sorriso. E questo è uno dei meriti di questo libro: un’ironica e delicata familiarità. 

Già il titolo: Libera nosa Malo che è un richiamo immediato al Pater Noster, ma che è anche un maligno richiamo al paesino di provenienza dell’autore, Luigi Meneghello.

Il titolo è una promessa mantenuta. Il racconto si svolge senza una vera e propria trama, come un fluire di ricordi, come i racconti degli anziani bonari. I fatti narrati riguardano l’infanzia e la giovinezza dell’Autore, nell’epoca del Fascismo, prima e durante la guerra.

Colpisce lo spirito della narrazione. Meneghello racconta i fatti con allegria, con ironia, con dolcezza. E’ un uomo che ha fatto già i conti con la vita, anche se ha solo una quarantina d’anni, c’è già quel distacco, quella pacificazione, quella tranquillità che hanno gli uomini che hanno perdonato e che si sono perdonati.

Nonostante si intuiscano le condizioni di vita dure, la povertà, il senso di precarietà, questo libro non è un grido di dolore, né una rivendicazione di chissà quali pomposi ideali, né l’esaltazione di vittoria eroiche. Tutto è già stato metabolizzato, quindi ci si può scherzare sopra.

Libera nos a maluamen. Non sono molti anni che il mio amico Nino s’è reso conto che non si scrive così. Gli pareva una preghiera fondamentale e incredibilmente appropriata: è raro che una preghiera centri così un problema.

Liberaci dal lume, dalle pericolose cadute nei laudari, così frequenti per i tuoi figlioli, è così spiacevoli: liberaci da ciò che il lume significa, i negri spruzzi della morte, la bocca del leone, il profondo lago!

Liberaci dalla morte ingrata: del gatto nel sacco che l’uomo sbatte a due mani sul muro; del cane in Piazzola a cui la sfera d’acciaio arroventata fuoriesce fumando dal sottopancia, del maiale svenato che urla in cima al cortile; del coniglio muto, del topo di chiavica che stride tra il muore il portone nel feroce trambusto dei rastrellamenti.

Libera, Signore, i tuoi figli da questo lume, dalla sudicia porta dell’Inferno

Ricorda, nel suo raccontare, le storie dei vecchi, quando hanno vissuto. Forse è questo che lo rende così vicino: in fondo tutti noi abbiamo sentito dei nonni raccontarci di quella volta che, con il Bepi, ché un Bepi c’è sempre, erano andati… e avevano fatto… e poi… non era finita male per un soffio.

Anche lo stile della narrazione è familiare, vivido, energico. Un passare dall’italiano al dialetto, come si faceva una volta, che il dialetto era per le cose quotidiane e la lingua, l’italiano, per le faccende serie. E il dialetto con i suoi suoni, i suoi significati speciali, ha sempre un ulteriore significato, quello che gli si attribuisce nel crescere. Meneghello vuole bene al suo dialetto, che restituisce anche ai lettori non veneti, con un immediato richiamo al proprio.

Il bromboli (insetti infestanti, ndr) muoiono tranquillamente nel sonno; e siccome dormicchiano un po’ sempre, sono esposti a un rischio continuo.

Il brombolo è soprattutto un arrampicatore; appoggiandolo alle supefrfici del Monumento ai Caduti in Castello, lui si aggrappa al marmo e rampica pazientemente. (…) Il brombolo non muore quando batte la nuca; lo si mette in infermeria, a una dieta di minestra che si versa direttamente col cucchiaio sopra il malato, questi mangia e s’addormenta, ma spesso, secondo la sua natura, muore nel sonno con la pancia piena.

Ovviamente quella di Meneghello è una selezione raffinata e qui si legge, in tutti i sensi, la vera grandezza: restituire la complessità in una forma semplice, dare profondità senza oscurità, tenere una lezione di storia senza salire in cattedra.

Mi è rammaricato, quando è mancato, Meneghello, del quale conservo a casa probabilmente una delle sue ultime lettere. E mi manca la sua prosa, che naturalmente è finzione letteraria, ma non menzogna. 

In un momento in cui per farsi ascoltare si alza la voce, in cui si usano parole sempre più roboanti per concetti sempre meno significanti, in cui si banalizzano i contenuti per evitare le difficoltà, la voce calda e rassicurante di Meneghello è come il diario di un avo raffinato ma amabile, che per anni ha insegnato nei College la letteratura agli inglesi e ancora insegna la memoria agli italiani.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero