venerdì 20 marzo 2015

Soldati


 Titolo: Allegria di Naufragi
Anno di pubblicazione: 1919
Genere: Poesia
Recensione di: Chiara Bortolin
Per chi vuole superare il trauma scolastico
 
 

Si sta come
D’autunno
Sugli alberi
Le foglie.

Tanto per chiarire: c’è un solo un modo di fare poesia. Tutto il resto è un vacuo andare a capo di sentimenti e di emozioni, una lista della spesa del banale, che Arthur Rimbaud, con rara efficacia critica, avrebbe definito pisciate di inchiostro.
E sempre per chiarire: togliamoci dalla testa quelle balordaggini da sessantottini ghignanti che indicano i poeti come cattivi maestri. Gli unici cattivi maestri che maneggiano la poesia sono quelli che non la sanno insegnare.
Perché tutti noi ci siamo passati: in piedi davanti alla lavagna, recitando con la grazia di un merlo, l’entusiasmo di un mulo e l’arguzia di un’anguilla, un Pascoli violentato. 

Perché è questo il trattamento che la scuola inferiore solitamente riserva alla poesia: Rossi, mi enunci la parafrasi. Bianchi mi identifichi i chiasmi. Verdi faccia lo schema delle rime.
Il risultato è che se è vero che gli italiani leggono poco, quelli che leggono poesia sono una minoranza da Pubblicità Progresso. Pochissimi, dopo il trauma della scuola, riescono a uscirne riprendendo in mano un libro di poesia.

Riproviamo.
Si sta: è chiarissimo. I soldati del titolo sono per estensione gli uomini, che esistono, che vivono. E’ talmente evidente che non c’è nemmeno bisogno di riscrivere il soggetto, un articolo e un nome in meno, via.

Come: in un certo modo, il poeta vuole che ci si fermi. Respiro, a capo.
D’autunno: facile: è una stagione di transizione, non ancora il rigore dell’inverno, non più la vitalità dell’estate.
Sugli alberi: li abbiamo in mente tutti, gli alberi in autunno, radicati, sì, ma lentamente spogli.
Le foglie: lì lì per cadere, il loro colore verde orma mutato, in attesa di un soffio di vento che le faccia scivolare via.
Alla fine della poesia, quattro righe, il significato è chiarissimo: la precarietà dell’esistenza, l’attesa di un destino già noto.
Vantaggio numero uno della poesia: la poesia è sempre sintetica. Anche le poesie lunghe, sono sempre più sintetiche della prosa. Il che implica una precisione chirurgica nella scelta delle parole. La poesia è soprattutto togliere.
Vantaggio numero due: la poesia è sempre immaginifica. Tratteggia scenari, non descrive semplicemente.
Vantaggio numero tre: la poesia richiede tempo al poeta, tanto quanto ne risparmia il lettore. E’ il poeta che vive, filtra le esperienze, le condensa e le restituisce sintetizzate. Il poeta è una sorta di chimico dell'esistenza. Anche per questo dovremmo essere un po’ più benevoli, se non grati, nei suoi confronti.
Vantaggio numero quattro: la poesia è sempre fuori dal tempo. Ungaretti scrive questa poesia riferendosi al contesto della Prima Guerra Mondiale. Ma se la ricollochi nella Seconda Guerra Mondiale, nella Guerra Fredda, nella Guerra del Vietnam, nell’attuale guerra al Terrorismo, il significato non muta, sospeso tra le anime di chi è già passato tra le fila della storia e chi vi passerà in futuro.
Si finisce a trascurare la poesia, a detestarla perfino, per slittamento. Allontaniamo da noi l’oggetto della frustrazione, non la frustrazione.
Puoi anche non leggere Ungaretti, ma il senso di precarietà non lo ha inventato lui. Puoi ignorare le invettive di Dante, Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! Ma questo non ti renderà un cittadino più soddisfatto. Puoi gettare con stizza Leopardi e Manzoni e Catullo e Blake, finita la scuola. E poi?
Scrive Parrini: Tutti prendono la parola, ma soltanto il poeta la restituisce.
E tano per chiarire: in tutti i tempi è il meglio che ci si possa aspettare.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero