giovedì 25 giugno 2015

Dai Grandi Eroi alle Piccole Cose


Cantami, o Diva, del Pelide Achille, 

l’ira funesta, che infiniti addusse

lutti agli Achei, molte anzitempo all’Orco

generose travolge alme d’eroi,

e di cani e d’augelli orrido pasto

lor salme abbandonò (…)

 

Concordo con il giudizio che considera questo incipit sublime. A volte lo recito a me stessa, così, mentre cammino per strada, nella mente, per evocare un afflato di bellezza. 

Leggilo a voce alta, se puoi, scandendo bene le parole, come se lo recitassi in teatro e nel frattempo guarda la scena che via via si disvela.

Immagina un immenso campo di battaglia, in cui giacciono i cadaveri, ormai ridotti a cibo per randagi e avvoltoi, di molti coraggiosi combattenti. Immagina l’ira immensa che possa aver provocato tanto scempio, che possa aver travolto le schiere del nemico, tramutandole in schiere di anime. Immagina una grandezza di sentimenti così elevati, che, per essere narratiti, necessitano della voce degli dei.

Questo è l’incipit dell’Iliade ed è talmente poderosa la poesia che trasmette, che tutti i grandi poemi epici che seguirono non poterono prescinderne.

Prendi l’Odissea:


Narrami, o Musa, dell’ero multiforme, che tanto

vagò, dopo che distrusse la Rocca

sacra di Troia (…)


E poi l’ Eneide:


Canto le armi e l’uomo che primo dai midi di Troia

venne in Italia fuggiasco per fato e alle spiagge

lavinie molto in terra e sul mare fu preda

di forze divine, per l’ira ostinata della crudele Giunone.

 
E’ chiaro: in questi poemi si parla di grandi uomini, grandi nella vittoria, grandi nella sconfitta, sempre coraggiosi, sempre eroi; si parla di dei, dall’immensa potenza e dall’umanissima volontà; si racconta di guerre, di viaggi dentro e fuori dall’uomo; si rappresenta un destino, che è quasi un personaggio, affrontato con caparbietà anche quando avverso.

Talmente grandi questi uomini che il cattolicissimo Dante non si poté esimere dall’onorare il paganissimo Ulisse e di riservagli il ruolo di ammonitore nei confronti di altri uomini:


fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza


Quando, nel Rinascimento, alcuni autori si divertivano a farsi beffe di tutto questo eroismo, tramutandolo sovente in erotismo, dovettero comunque esserne all’altezza. 

Così un Ariosto che ridicolizzò Orlando, dovette renderlo immenso anche nelle bramosie d’amore:


Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori

le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passato i Mori

d’Africa il mare, e in Francia nocque tanto,

sfuggendo l’ire e i giovanil furori (…)


E non poteva essere diverso per Boiardo il quale, pur parlando di un eroe ebbro d’amore, è costretto a trattarlo con medesima grazia:


(…) i gesti smisurati,

l’alta fatica e le mirabili prove

che fece il franco Orlando per amore


Seri o faceti che siano, questi personaggi sono sempre grandi, compiono imprese eroiche combattono senza tema i loro nemici, sfidano i destini avversi.

Sono l’archetipo dell’eroismo, ma sempre rimanendo uomini. E’ singolare che in questi racconti la dimensione dell’umanità sia sempre data dall’elevatezza. Bisogna farci caso. 

Bisogna ricordarlo oggi, soprattutto quando si usa la retorica delle piccole cose, delle piccole gioie, dei piccoli gesti. 

Perché, a rigor di logica e di pensiero consequenziale, dovremmo proprio interrogarci sul fatto che se a grandi imprese corrispondono grandi uomini, le cose piccole a chi si addicono?

Ma forse succede sempre che a un tipo di retorica, una volta superata, se ne contrapponga un’altra del tutto dissimile. Forse.

O forse un regalo inaspettato, una parola gentile da uno sconosciuto, un dessert eccellente possano solo rendere giustizia delle vite intese come il volo circolare di una foglia che cade.

 

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero