giovedì 18 giugno 2015

Il Giorno della Civetta


Titolo: Il Giorno della Civetta


Anno di Pubblicazione: 1961

Genere: Romanzo

Recensione di Chiara Bortolin

 
Per non essere un’anatra

 

Ci sono due tipi di sistemi: quelli che funzionano e quelli che non funzionano. Quelli che non funzionano cessano di esistere. Quelli che funzionano si evolvono. Affinché l’evoluzione si compia è necessario che coloro che amministrano il sistema siano capaci.

La mafia è un sistema guidato da persone capaci. Questo è un dato di fatto. Altro dato di fatto è che, per dirla a là KurtGödel, in ogni sistema esiste almeno una verità che pur essendo tale non può essere dimostrata nell’ambito del sistema medesimo. La mafia esiste perché è anche collocata in un secondo sistema e questo sistema si chiama Stato e siccome lo Stato è fatto da cittadini, non ci va un sofista per capire che la mafia esiste perché trova consenso.

Quando ho letto per la prima volta Il Giorno della Civetta sono stata assalita da un profondo senso di straniamento. Il romanzo narra le vicende di un Capitano dei Carabinieri, di origine emiliana, trasferito in Sicilia, a cui viene affidata l’indagine relativa a un omicidio. Gli episodi che succedono mostrano il funzionamento di questo sistema efficiente che è la mafia.

L’intreccio è indubbiamente affascinante, devi anzi dosare la lettura, non cedere alla tentazione di far scivolare troppo velocemente le righe, per non perdere le parole. Le parole pesano come piombo in questo romanzo, perché il loro significato è incerto nell’ambiguità di chi le pronuncia. Il significato non è mai univoco, ma sfuggente come la verità che celano. 

I personaggi non hanno nulla di fantasioso, anzi sono mutuati dalla una realtà: questi non sono personaggi di fantasia, sono persone che avrebbero potuto esistere, che forse sono esistite, di cui possiamo addirittura immaginare un volto.

La paura gli stava dentro come un cane arrabbiato: guaiva, ansava, sbavava, improvvisamente urlava nel suo sonno; e mordeva, dentro mordeva, nel fegato nel cuore. Di quei morsi al fegato che continuamente bruciavano e dell'improvviso doloroso guizzo del cuore, come di un coniglio vivo in bocca al cane.

La mafia di cui narra Sciascia, che è la mafia vera, quella che esiste, ha tanti volti: è la mafia che uccide, chiaro, la mafia che decide, ma è anche e soprattutto un’altra mafia, quella della cosiddetta società civile.

La mafia del romanzo è la mafia di chi non ricorda, di chi è sempre altrove, di chi vive nello strabismo del prendere dove si può. Questa mafia non necessita di violenza: si apprende e si interiorizza, come qualunque altra regola sociale. Questa, da un punto di vista antropologico, è una cultura.

A vivere così si impara a casa, a scuola, per strada. Se cresci con questa filosofia di vita, non c’è nessun bisogno della violenza. La violenza è per quelli che non ci stanno.

E nel romanzo si capisce chiaramente anche un altro fatto: che anche la violenza ha tanti volti. La violenza non è solo l’omicidio, l’estorsione, l’intimidazione. La violenza è isolamento, denigrazione, solitudine, compromissione. La violenza è la diffidenza, il dubbio osceno della maldicenza, l’omissione colpevole.

L’avevano capita, forse prima, certamente bene, anche Falcone e Borsellino la lezione: loro che hanno vissuto da morti e che da morti hanno il privilegio inutile di essere eroi. C’è un sistema Stato e un sistema Mafia: vince quello che ha più consenso. 

Non a caso scrivo di questo libro di Sciascia proprio prima della ricorrenza dell’omicidio di Borsellino e della scorta. Per via di quello sgradevole incidente, credo si dica così, della locuzione professionisti dell’antimafia, uscita su un articolo a firma di Sciascia e che scatenò infinite polemiche.

Sono state dette tante verità diverse circa quell’episodio, io non so quale sia la verità e francamente non mi interessa nemmeno, sono però convinta che da ogni spaccatura del sistema Antimafia il sistema Mafia tragga vantaggio. 

L’intelligenza dell’uomo di pensiero spinge al dubbio, l’intelligenza dell’uomo d’affari spinge al vantaggio e siccome la mafia è, in prima battuta, un sistema economico, dalle speculazioni trae vantaggio.

Sciascia ci mostra la società siciliana, italiana, per quello che è, con tutte le sue sfumature. Chiuso il libro, non puoi più guardare il mondo, il sistema, come lo guardavi prima, ma soprattutto, non puoi più guardare te stesso, il tuo sistema, come lo guardavi prima. E se, chiuso il libro, non ti sei fatto la domanda, per capire che uomo sei, la risposta può essere una sola.

Ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini... E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre.

1 commento:

  1. un vero capolavoro,ho letto il libro 3 volte e visto il film almeno una quindicina,uno dei rari casi in cui i film si avvicinano ai rispettivi libri di provenienza e ancora oggi rabbrividisco al pensare che la situazione per alcuni aspetti(per fortuna non tutti)e' peggiorata nonostante tante cose siano cambiate e tanta gente abbia alzato la testa.

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Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero