Autore: Eric Hobsbawm
Anno di pubblicazione: 1994
Genere: saggio
Recensione di: Chiara Bortolin
La
ragione di questa impotenza non sta solo nella profondità e complessità
delle crisi mondiali, ma anche nel fallimento apparente di tutti i
programmi, vecchi e nuovi, per gestire o migliorare la condizione del
genere umano.
Questa
frase non l’ha scritta ieri qualche opinionista con velleità da
intellettuale, ma si trova, quasi come un inciso, verso la conclusione
di questo saggio, Il Secolo Breve, scritto dallo storico britannico Eric Hobsbawm nel 1994.
Sebbene
io consideri questo testo fondamentale dal punto di vista della
metodologia storica, non avevo mai pensato, fino a oggi, di presentarlo
nel blog. Le ragioni sono diverse: la mole, tanto per cominciare, che
ironicamente contraddice al titolo; la lettura, che non consente di
rubare qualche minuto mentre si attende l’autobus; il tema, l’analisi
del secolo passato, che non offre grandi spazi di sintesi.
I
fatti recentemente accaduti in Francia, la nuova tensione tra Russia e
Turchia, l’incapacità degli Stati Europei di comportarsi da Europa
Unita, mi hanno però fatto ricredere. Soprattuto in considerazione della
pletora di opinioni spacciate per verità che per giorni sono state
sciorinate con la pedante imperfezione dei dilettanti.
Il Secolo Breve, terzo
volume di una più ampia ricerca a cui l’autore si è dedicato, offre una
ricca ricostruzione dei fatti, delle connessioni, delle possibili
letture degli accadimenti che si sono succeduti nel Novecento.
Il
titolo rimanda già a una interpretazione: per Hobsbawm il Novecento
inizia nel 1914, con la prima guerra mondiale, e si chiude nel 1991 con
il crollo dell’Unione Sovietica. Questo lasso di tempo viene
ulteriormente suddiviso in tre blocchi: l’età dei grandi cataclismi, dal
1914 al 1945; l’età dell’oro, dal 1946 al 1973, l’età della frana, dal
1974 al 1991.
La
visione dello storico britannico è ad ampissimo spettro perché tenta di
analizzare e riallacciare un numero considerevole di eventi, fenomeni
sociali, innovazioni tecnologiche, che hanno investito tutto il mondo.
Questo
tentativo è già di per sé molto interessante, perché la tendenza comune
è considerare singoli settori, singoli argomenti o singole aree
geografiche. Hobsbawm cerca di dare un’impalcatura concettuale
all’interno della quale sia successivamente possibile incastonare
approfondimenti.
Non
per nulla, oltre al suo studio, lo Storico offre ai suoi lettori una
lunga ed esaustiva bibliografia e che è un eccellente strumento per
applicare la famosa legge libro chiama libro, con la certezza di essere ben consigliati.
Hobsbawm
è uno storico e, come tutti gli storici di intelligenza, dichiara
onestamente la differenza tra fatto e interpretazione, tra una possibile
interpretazione e una verità oggettiva. La sua formazione, improntata
al materialismo storico, lo induce a una visione piuttosto negativa del
futuro, ben consapevole che le previsioni sono sempre destinate a essere
fallaci.
Conoscere
il passato non consente di prevedere il futuro, talvolta non consente
nemmeno di comprendere il presente, ma indubbiamente offre altri
vantaggi: il primo è avere un approccio critico alle opinioni che si
sentono; il secondo è attribuire una dimensione storica, vale a dire
temporale, ai fatti e non considerarli nel contingente; il terzo è
realizzare che la storia finisce dove inizia la cronaca.
Per
il Poeta T.S. Eliot “il mondo finisce in questo modo: non con il rumore
di un’esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo”. Il secolo breve è
finito in tutti e due i modi
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