Titolo: Discorso e Verità
Autore: Michel Foucault
Anno di Pubblicazione: 1996
Genere: Saggio
Recensione di: Chiara Bortolin
C’è una discrepanza tra un sistema egualitario che riconosce a tutti il diritto di usare la perresia e la necessità di scegliere tra i cittadini quelli in grado (in virtù della loro condizione sociale e delle loro qualità personali) di usare la perresia in un modo che risulti effettivamente benefico per la città. A differenza della isonomia (l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge) e della isegoria (il diritto riconosciuto a ciascuno per legge di esprimere la propria opinione) la peserai non infatti definita chiaramente in termini istituzionali.
Metto subito le mani avanti: il testo non è così complesso come questo singolo periodo può far temere. Ho scelto questa citazione perché racchiude, a mio avviso, alcuni concetti cardine esposti in questa raccolta di lezioni che Foucault tenne sul tema.
E il tema è davvero affascinante e attuale. Si tratta di verità, come il titolo esplicita, ma considerata da un punto di vista molto particolare ovvero di chi sia tenuto a dire la verità. Solitamente quando si tratta di verità ci si arrovella in modo più o meno elevato nella speculazione della verità stessa, quindi nelle sfumature che vanno tra la negazione di essa, una menzogna spacciata per verità, e la verità assoluta, oggettiva, incrollabile, di un fatto. Discussioni queste per lo più si chiudono con un elegante soggettivismo “Questione di punti di vista” o con un disinteressato “D’altronde…”.
In questo caso la verità è tale e indiscutibile, il problema è chi sia in diritto di rivelarla. Naturalmente l’Autore considera diversi contesti in cui questo svelamento può prendere forma: ambito privato e ambito pubblico, con impatti diversi e con conseguenze variegate.
L’aspetto a cui Foucault dedica più attenzione tratta della verità pubblica e più precisamente della verità politica. Per essere del tutto precisi, Foucault si propone di esaminare il concetto di paressia (franchezza nel dire la verità) attraverso un intrigante excursus tra gli Autori della Grecia classica. L’importanza della gestione della cosa pubblica per i pensatori classici è risaputa ed è quindi evidente che l’uso politico del dire la verità trovi in tutti i testi antichi riferimenti piuttosto ricchi.
Chiaramente il dire la verità su un tema di pubblico interesse è un atto giusto e nobile, tanto più quando il rivelatore è in una posizione di subalternità rispetto al potere. Questa situazione può vedere protagonista un esponente di una fazione di minoranza in un Consiglio cittadino oppure un Consigliere rispetto a un Monarca o un Ufficiale di basso rango nei confronti di uno di rango superiore.
Ma i filosofi classici erano degli speculatori e non si accontentavano di risposte semplicistiche. Se dire la verità è giusto e nobile, è pur vero che la credibilità di colui che la rivela è fondamentale. Il dichiarazione di verità deve provenire da un uomo probo. E qui si arriva alla nota dolente. La definizione di uomo probo è complessa e lascio al Lettore il piacere di scoprirla. Anticipo, tanto per sollecitare la curiosità, che la conclusione a cui giungono i senatori classici è che non tutti possono dire la verità.
Nel recedere con la lettura si arriva così a scoprire che non tutti possono, per la loro statura personale, dire la verità, che non tutti ne sono degni. La democrazia, di cui i Greci furono i fondatori, ammette l’uguaglianza di fronte alla legge e il rispetto delle opinioni, ma non che sono tutti uguali per pensiero, per credibilità ed educazione.
Il testo si legge con piacere perché Foucault spiega con precisione ogni passaggio, lasciando molto spazio alle citazioni dei testi, come se facesse da guida in un viaggio attraverso la classicità. Le lezioni sono accessibili e piacevoli anche per chi non frequenti abitualmente la filosofia e la letteratura classica.
Un libro garbato per concetti complessi. Alla fine il testo stesso sembra realizzarsi: molti possono capire, ma non tutti possono pensare ed esprimere gli stessi concetti nello stesso modo. La consapevolezza della propria ignoranza non solo offre a chi l’accetta innumerevoli occasioni di stupore, ma ridimensiona il concetto di sé. Il concetto di parità di pensiero quali-quantitativo fra tutti i cittadini è facilmente smontabile, d’altronde.
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