Autore: Primo Levi
Anno di Rappresentazione: 1947
Genere: Racconti
Recensione di: Chiara Bortolin
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno:
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scoprite nel vostro cuore
stando in casa, andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Bertrand Russell sosteneva che la cultura di un uomo non si valuti dal numero di libri che ha letto, ma dal numero di libri che ha riletto. Questa considerazione appare tanto più veritiera quanto più denso di significati è un libro: alcuni testi sono così ricchi di significati da regalare a ogni rilettura un concetto nuovo e Se Questo è un Uomo ne è un esempio.
Che questo testo vada letto non pare sia argomento da perorare. Non credo nemmeno sia il caso di spiegare i motivi per cui, a una lettura imposta a scuola in adolescenza, debba seguire una lettura spontanea in età adulta.
Preferisco piuttosto dedicare qualche riga a uno degli aspetti che ritengo più sottaciuti, ma più interessanti, almeno per la mia sensibilità. Il tema è quello della cultura come strumento di evasione.
Primo Levi era un uomo di grande cultura e, sebbene avesse avuto una formazione accademica scientifica, come molti della sua generazione che avevano potuto studiare, godeva, fin da giovane di un notevole bagaglio umanistico.
Tale conoscenza viene evidenziata in uno dei racconti di Se Questo è un Uomo, che si intitola non a caso Il Canto di Ulisse. Nel racconto Levi riporta di aver recitato a un suo compagno di prigionia i versi danteschi riguardanti l’Ulisse.
La considerazione di Levi in questo episodio si condensa nel valore che la memoria della bellezza, la consapevolezza della grandezza dell’ingegno umano, la conservazione del sapere, siano elementi indispensabili per poter sopravvivere nel campo di concentramento.
Due sono i motivi fondamentali. Il primo é riuscire a continuare a credere che al di fuori di quel perimetro,al di fuori di quel luogo, esistesse ancora un mondo, esistesse il mondo. Auschwitz, con tutto ciò che conteneva e rappresentava, non può essere la fine di tutto. Ricordare la bellezza vuol dire ricordare la vita.
Il secondo motivo è personale. I carcerieri possono togliere tutto: il cibo, il vestiario, i nomi, la dignità, ma non possono togliere la memoria. E ciò che ogni uomo ricorda, ciò a cui si aggrappa, è ciò che ha conosciuto, ciò che gli è caro, ciò che lo rappresenta. Un uomo senza memoria è un uomo senza identità.
L’importanza data da Levi al ricordo della bellezza mi ha sempre commossa. Almeno fino a quando non ho letto Karshaw, uno dei massimi storici del Nazismo, che ne Hitler e l’origine del consenso snocciola una serie di dati e numeri circa i campi di detenzione i campi di sterminio e, tra questi, un’indagine sui sopravvissuti in cui si scopre che la maggior parte di questi aveva un’istruzione superiore.
La motivazione è lì, lampante e crudele: coloro i quali avevano la capacità di evadere con la propria memoria avevano più possibilità di sopravvivere.
Levi apre Se Questo è un Uomo con l’omonima poesia che esprime l’interrogativo di fondo di tutto la sua opera: cosa definisce un uomo? La profondità di questa domanda credo sfugga ai più, che fortunatamente non si sono trovati nella situazione di doversi chiedere quando un essere umano smetta di essere un uomo. Non credo sia un caso che lo stesso interrogativo abbia invece tormentato molti di coloro che si sono confrontati con esperienze di privazioni materiali e psicologiche estreme.
Verrebbe da chiedersi se per poter riflettere sulla risposta sia davvero necessario vivere queste esperienze, portarsene l’onere della memoria, lottare per preservarne l’essenziale purezza dalla retorica di ampollose risposte.
Verrebbe anche da chiedersi se, tra i tanti farneticamenti di presunti vaccini contro un ripetersi della storia, venga mai il dubbio che il deterrente più efficace possa essere la conoscenza. Varrebbe la pena di chiedersi se invece di far lacrimare i ragazzi propinando film strappalacrime, non potrebbe essere meglio insegnare loro a preservare la loro immaginazione. Varrebbe la pensa forse insegnare che la libertà si basa sulla consapevolezza e questa si basa sulla conoscenza.
Levi, nell’inferno peggiore che memoria storica ricordi, rievoca l’Ulisse dantesco che incalza i suoi marinai:
Fatti non foste per viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
E allora a me pare piuttosto semplice rispondere alla domanda: ditemi voi se questo è un uomo.
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