venerdì 26 dicembre 2014

Psicopatologia del donatore di libri


Dicono le statistiche che gli italiani leggono pochissimo, un libro all’anno o giù di lì. Il regalare libri ha quindi, già di per sé, un che di strampalato, di bizzarro, di eccentrico. In alcuni casi, di patologico. Potremmo dire: dimmi che libro mi regali e ti dirò chi sei! Ecco una carrellata da Categoria dello Spirito.

Il contemporaneo

Lui si informa in continuazione: scaricando l’app dell’Ansa, leggendo i giornali on line, ricevendo Sms con gli aggiornamenti. Lui che è un feticista della notizia deve regalarti un libro affinché tu possa essere informato. Ti regalerà la biografia di un uomo politico, un saggio sui conflitti attualmente in corso o sull’ultimo scandalo di sesso e corruzione, meglio se assieme. Un libro che riesce a essere vecchio prima ancora di essere letto.

Il modaiolo

Ah lui è veramente interessante: se vuoi essere informato sull’ultima moda in termini di pensiero, debole o debolissimo, è il tuo punto di riferimento. Questo tipo, che ogni sei mesi si appassiona a qualcosa di nuovo, che ti parla esclusivamente della sua attuale filosofia di vita, ti regalerà, come un discepolo, qualcosa di attinente al suo nuovo verbo. Così se guardi i libri che ti ha regalato ricostruisci, negli anni, la sua vita: la cucina tibetana, la filosofia zen, la teologia dogmatica, le danze tribali. Scrolli le spalle: quando troverà se stesso… ti regalerà la sua cartella clinica?

L’educatore

Lui ti regala libri che possono giovarti, perché lui sa che tu ha tanto bisogno di aiuto. Così ti omaggia di libri dai profondi significati: se ti ritiene un’anima persa, ti regalerà preghiere; se ti ritiene un cattivo genitore, ti regalerà un libro di pedagogia infantile; se ti ritiene un superficiale, ti regalerà un libro sui bambini poveri. E tu, che sei abbastanza soddisfatto del tuo schifo di vita, perché te lo scegli, ci farai una bella risata, ringraziando, educatamente.

L’esperto

Di solito è un ferreo autodidatta, di solito ne sa meno di te, di solito ci mette tanta buona volontà. Ogni tanto, bisogna dirlo, ci azzecca, è una questione di statistica. Ti regala un romanzo che tu non hai, perché lo hai scartato, oppure un saggio, così divulgativo che neanche Piero Angela lo consiglierebbe, o, peggio che peggio, poesia. Non riesci proprio a fargli capire che il tuo limite della conoscenza è l’ignoranza e il suo limite di ignoranza è la conoscenza. Questo lui non l’ha ancora letto.

Lo scrittore

Questa è una vera tragedia. In un Paese in cui nessuno legge, tutti scrivono. E così regalano il loro libro, raccomandandosi un tuo parere, che mai saranno disposti ad accettare. Io me li vedo Pirandello, Montale e Pavese che a Natale regalavano i loro libri agli amici, con tanto di dedica! Tu no? allora, di grazia, risparmiameli!

Il ritardatario

Si era dimenticato di farti il regalo. Tu preferiresti che te lo dicesse, apertamente: non c’è niente di male. Invece lui un quarto d’ora prima di venire a cena, si fionda in una libreria e agguanta il primo libro, che posa, poi un secondo e un terzo, non sa proprio cosa potrebbe regalarti, vorrebbe anche far bella figura, vorrebbe anche dirti che è stata una scelta ponderata. Se sei fortunato ti regala un libro che hai già, che puoi cambiare, altrimenti ti becchi un giallo da quattro soldi e venti euro, perché ha la copertina rigida, l’unica cosa di valore di quel volume.

Il tecnico

Un vero esperto nel suo campo, che vorrebbe diventasse anche il tuo. Non importa se a te di informatica non importa niente, se la botanica non suscita minimamente il tuo interesse, se la geografia economica ti annoia. Tu devi renderti edotto. Così ti regala un manuale propedeutico e tu sudi freddo, perché ti interrogherà e la tua resistente negligenza verso la finanza sarà intesa come un rifiuto al dialogo, che proprio, per un amico, è intollerabile.

Lo spilorcio

Lui ti regala i libri che vorrebbe lui. Te lo dice chiaramente, che ha letto una bellissima recensione, che ha letto il frontespizio, che proprio vorrebbe leggere il libro che ti ha regalato. Infatti, a fine serata, ti chiede se glielo puoi prestare, tanto tu non lo leggi subito, no? E tu glielo presti, quasi con sollievo, superando la stizza iniziale, perché sai che quel libro non lo vedrai più. In fondo, è meglio così.

ll pragmatico

Lui ritiene che la tua passione per la lettura sia fondamentalmente una tua deviazione mentale, una perdita di tempo, un vezzo. Quindi ti regala un libro, su qualcosa di utile: sopravvivere nella foresta, combattere a mani nude contro un animale feroce, procurarsi da mangiare dopo un cataclisma nucleare. Ovviamente questo è il primo passo: alla prossima occasione di regalerà una smart box in cui una sequela di attività, che tu non farai mai, daranno seguito alla sua opera di civilizzazione.

Lo spiritoso

Il senso dell’umorismo, che lui riserva solo agli altri, lo spinge a regalarti un libro divertente, possibilmente su qualcosa che ti riguarda. Sei obeso? Ti regalerà un libro sulle diete indolori. Sei ipovedente? Ti regalerà un libro che insegna a leggere il braille. Sei brutto? Ti regalerà un libro che si intitola Belli dentro. Non lo fa con cattiveria… pensa che sia divertente, come per te è divertente pensare a cosa regalare a lui l’anno prossimo.

Sono certa che anche tu avrai incontrato un donatore di libri affetto da qualche particolare psicopatologia: se vuoi, puoi condividere la tua esperienza, arricchendo questo elenco con un commento, come se fosse una seduta di auto mutuo aiuto contro gli abusi della psicopatologia libraria altrui.



venerdì 19 dicembre 2014

La più bella lettera d'amore del '900


Titolo: Viaggio al Termine della Notte
 
Autore: L. F. Celine
 
Prima edizione: 1932
 
Genere: Romanzo
 
Per chi vuole conoscere un po' di inizio secolo.
 
 
Questo per me è il più bel manifesto d’amore che il Novecento ci abbia lasciato. Il perché lo spiegherò tra poco, ma prima vorrei che la leggessi, con dolcezza, con attenzione, con dedizione, come leggeresti una confidenza in un diario.

 
 
L’abbracciai forte, Molly, con tutto il coraggio che ancora avevo nella carcassa. Provavo una gran pena, autentica, per una volta, per me, per lei, per tutti gli uomini.

E’ forse questo che cerchiamo, nient'altro che questo, provare la più gran pena possibile, per essere noi stessi almeno una volta, prima di morire.

Sono passati lunghi anni da quella partenza e poi ancora anni.

Ho scritto sovente a Detroit, a tutti gli indirizzi che mi ricordavo, a tutti quelli che potevano conoscerla, seguirla, Molly. Non ho mai ricevuto risposta. Il casino adesso è chiuso, è tutto quello che ho potuto sapere.

Buona, ammirevole, Molly. Vorrei che lei sapesse, se ancora mi può leggere da qualche parte, in qualche posto che non conosco, che l’amo ancora e sempre, a modo mio, che non sono cambiato per lei e che se vuole può raggiungermi, per dividere il mio pane e il mio destino furtivo. E se non è più bella, ebbene, tanto peggio! Ho conservato tanta della sua bellezza così calda, così viva, dentro di me, che ne ho ancora per tutti e due, per vent’anni almeno, il tempo di arrivare alla fine.

C’è voluta proprio della follia per lasciarla, della specie più brutta e fredda! In ogni caso ho conservato la mia anima fino a oggi e se la morte domani dovesse arrivare, non sarei mai, ne sono certo, così freddo, cinico e volgare come tutti gli altri, per quel po’ di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato in pochi mesi d’America.
 
Se pensi che non sia una vera e propria lettera hai ragione, perché è la chiusura di un capitolo del Viaggio al Termine della Notte. Curiosamente a tutti coloro che leggono il Voyage, questo stralcio lascia l’impressione di una lettera. Una meravigliosa lettera d’amore.

Molly, come non voler essere Molly? Molly che è bella, buona, gentile, ammirevole. Che, detto da un cinico come L.F. Céline, voglio dire, non è cosa da niente! Nessun parolone, nessuna iperbole, nessuna esaltazione. Sono così semplici eppure così rari questi aggettivi!

Molly è una prostituta, l’ultima icona di bellezza che verrebbe in mente, dopo secoli di Beatrici, la poesia è in una puttana. Non è a caso, intendiamoci. 

Il Novecento non aveva portato nulla di buono: un conflitto mondiale devastante, il crollo degli antichi Imperi, il crollo delle ideologie. Quando saltano gli schemi, e sono saltati tutti gli schemi, anche l’arte, che anzi anticipa la catastrofe, non può ritrovarsi nei canoni classici.

La bellezza non può più essere in Beatrice, in Laura o in Angelica. Non può esserci una bellezza ideale, se gli ideali sono svaniti.

Bisogna cercare la bellezza altrove, come aveva fatto Don Chisciotte, che per Dulcinea lottava contro i mulini a vento. Ma Don Chisciotte di Dulcinea, anche lei una prostituta, aveva creduto di farne una principessa, aveva ancora tentato di vestire di immaginario la realtà.

Di fronte all’orrore che l’umanità ha prodotto, la bellezza non può più essere fuori nel mondo, ma deve essere dentro, nell’animo. Se la bellezza c’è ancora è tutta interiore e conservata, così viva e così calda.

Si conserva, come si può, a modo proprio, che è forse l’unico modo che resta. Senza cambiare, essendo se stessi, fino alla follia. Anzi, un amore così forte, che permette di essere quello che si è, che realizza nelle altezze del sogno e nella vigliaccheria della fuga. Un amore così dentro di sé, che non ha bisogno di essere nel mondo. Un amore che non ha neanche bisogno dell’oggetto dell’amore. Molly sarà invecchiata, sarà forse imbruttita, sarà forse cambiata. Pazienza. L’amore non conserva solo se stesso, ma anche chi viene amato.

Non sono cambiato per te. Se l’amore riesce a conservarsi, a conservarci, se l’amore è la garanzia di trovare noi stessi, di farci incontrare noi stessi, anche solo per un inverno, ecco che il sogno ci può ancora essere.

Nonostante l’orrore, avendo conosciuto l’orrore. Nonostante tutto ti amo ancora e sempre, a modo mio.

Il Novecento non poteva offrire niente di meglio. Le tragedie di inizio secolo sono solo il preludio di quelle ben peggiori che ne seguiranno, dove veramente il sonno della ragione genera mostri.

Dopo la Seconda Guerra mondiale, i totalitarismi, i muri che divisero il mondo, non resterà che un pavesiano Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

E il mattino dopo, smaltita la sbronza di falsi miti, di cattivi maestri e di tutti i luoghi più comuni e più feroci, sarà tutto da reinventare. 

Si cercherà di ricordarci il sublime nella Vergine delle Rocce, nella Pietà, nella Primavera, nell’immaginario, ma nel reale, io credo, sarebbe già molto accontentarsi di regalare un po’ di gentilezza e di sogno.

Sarebbe già molto essere Molly.

giovedì 11 dicembre 2014

La Società Decente


Titolo: La società decente
 
Autore: MargalitAvishai
 
Prima Edizione: 1998
 
Genere: Saggio
 
Recensione di: C. Bortolin
 
Per tutti coloro che si impegnano ogni giorno per rendere la nostra società più decente.
 
Questolibro è un buon esempio di saggio filosofico. Nella prima parte è presentata la tesi, nella seconda sono definiti i presupposti concettuali, nella terza è argomentata la tesi e da ultimo sono esposte le conclusioni.

Se per curiosità o per interesse, si intende affrontare un percorso all’interno del mondo filosofico, questo saggio, nella sua interezza, è certamente un buon viatico. Se invece ci si vuole fermare al concetto cardine, è sufficiente la lettura della prima parte.

Spiega, il Professor Margalit, come da secoli i pensatori dibattano circa il concetto di società giusta. Tutti concordano sul fondamento della società giusta, ovvero un’equa redistribuzione delle risorse, ma cosa sia effettivamente equo è tema spinoso. Si potrebbe considerare equo ridistribuire in base al bisogno, altrettanto equo potrebbe essere considerato ridistribuire in base ai meriti o alle capacità o ancora tentare delle mediazioni tra necessità e capacità.

Di fronte a questo problema, il Professor Margalit, suggerisce un approccio differente.

Il problema urgente non era di realizzare una società giusta, ma piuttosto la società decente.

Che cos’è la società decente? La risposta che suggerisco in prima istanza è la seguente: una società decente è una società in cui le istituzioni non umiliano le persone.

La società decente viene così definita, in negativo, come una società che non umilia. Il concetto è semplice: una società in cui ogni cittadino si sente parte integrante di un sistema, responsabile del buon andamento della cosa pubblica e soddisfatto dalla partecipazione degli altri, è una società decente. Viceversa, ogni società in cui un cittadino si sente vittima o attore passivo è una società indecente.

Potrebbe sembrare a primo impatto che il concetto del Professor Margalit sia sì interessante, ma, come spesso si immagina dei concetti filosofici, resti un esercizio del pensiero fine a se stesso.

Vorrei provare a dimostrare che, al contrario, i concetti filosofici hanno un’applicazione pratica. Per fare questo, senza troppa fantasia, lo ammetto, provo a spiegare perché, a mio avviso, non solo la società italiana non è una società giusta, ma non è nemmeno una società decente, ovvero, più brutalmente, è una società indecente.

La società italiana è indecente quando un cittadino affetto da disabilità grave e gravissima, come un malato di SLA, riceve le cure necessarie alla sopravvivenza, ma non a una vita dignitosa, per mancanza di fondi. Per contro è indecente quel cittadino che, affetto da fancazzismo cronico, aggravato da delinquenza congenita, accede a sussidi di invalidità a cui non avrebbe diritto.

La società italiana è indecente quando un imprenditore onesto è costretto a cessare la propria attività, oppresso dalle tasse e sbaragliato dalla concorrenza sleale degli imprenditori disonesti. Per contro è indicente quell’imprenditore che, adducendo una presunta legittima difesa fiscale, si arricchisce alle spalle dei contribuenti, dei concorrenti e dei dipendenti.

La società italiana è indecente quando un cittadino si vede negare o rimandare o dislocare cure ospedaliere, per tagli orizzontali al bilancio. Per contro è indecente quel dipendente delle strutture sanitarie che percepisce uno stipendio senza erogare il proprio lavoro, che campa di competenze altrui non avendone di proprie, che sottrae attrezzature, oggetti e farmaci perché essendo di tutti li reputa di nessuno.

La società italiana è indecente quando a un cittadino straniero minore viene negata la possibilità istituzionale di un corso di lingua italiana propedeutica alla scolarizzazione con la motivazione che sarebbe discriminatorio. Per contro è indecente quel cittadino italiano che considera integrazione eliminare alcuni alimenti dalle mense, affidare a un cittadino straniero mansioni rifiutate dai cittadini italiani, rinunciare alle proprie tradizioni perché diverse da quelle altrui.

La società italiana è indecente quando permette a un cittadino di confondere il diritto alla casa con il diritto a non pagarla, a confondere il diritto al lavoro con la pretesa di uno stipendio, a vantare come diritto il perpetuarsi di un privilegio. Per contro è indecente quel cittadino che, pur avendo avuto la possibilità di accedere allo studio attraverso contributi pubblici, non porta a termine il percorso scolastico; quel cittadino che, pur usufruendo di un accompagnamento economico, non lo usa per migliorare la propria condizione; quel cittadino che, pur potendo accedere alle cure mediche di un ambulatorio, preferisce affollare un pronto soccorso.

Questi sono solo alcuni esempi, pochissimi rispetto alla quotidianità in cui viviamo, che costringono, a malincuore, ad affermare che la società italiana è indecente. Ma ciò che ancora più profondamente ferisce un animo idealista, nel senso filosofico del termine, è la causa scatenante: la società italiana è indecente perché la maggioranza, che definisce in democrazia il connotato della società, è indecente.

Diceva il mio Professore di Filosofia del Liceo che la mia inclinazione a cercare un riscontro pratico alla filosofa aveva un che di volgare, nella misura in cui dimenticavo che i grandi pensatori erano soliti nutrire l’anima e trascurare il corpo, ché il pensiero ha questo di sgradevole, che non produce pane.

Aveva certamente ragione. Se non altro perché coloro i quali hanno fatto della filosofia un reddito, si limitano, esclusa qualche eccezione, a spiegare la teoria dalle cattedre e la pratica dai consigli di amministrazione, avendo la capacità di sommare profitti, ma raramente di produrre idee.

E se anche le idee hanno un prezzo, e non un valore, in questo millennio di crisi continueremo ad accontentarci di quelle a buon mercato.

Questo non ci permetterà di costruire una società più giusta.

Questo non ci permetterà nemmeno di avere una società più decente, ma forse di condividere lo sdegno, per poi tornare a sentirsi furbi quando si ottengono dei piccoli vantaggi o perseguitati quando non ci si riesce.

giovedì 4 dicembre 2014

La Macchia Umana


Titolo: La Macchia Umana
 
Autore: Philip Roth
 
Prima Edizione: 2000
 
Genere: Romanzo
 
Per molti, ma non per tutti
 
Recensione di: Chiara Bortolin
 
 
 
 
Sono anni che il ritornello si ripete: Philip Roth candidato al Nobel e il Nobel assegnato a un altro. Ora, se fossi uno scrittore della sua età, tutto sommato lo accetterei: si sa che il Nobel viene attribuito, certamente per una sinistra coincidenza, a chi è quasi pronto a non poterlo più ricevere.

Io mi immagino questi scrittori, che hanno vissuto di pienezza intellettuale, impegnati a scrivere contemporaneamente il discorso di accettazione del premio e il proprio elogio funebre! Ovviamente questo lo dico io: questi grandi scrittori sono più raffinati del protocollo previsto dalla scaramanzia!

In ogni caso, Philip Roth può starsene tranquillo! Nelle tue notti insonni, sono certa che stia già facendo capolino la gravosa domanda: perché? Se tu mi chiedessi seriamente come sia possibile che Roth non vinca il Nobel, dovrei far riferimento al complesso sistema di selezione, in cui decine di esperti sono chiamati a pronunciarsi. Se però tu al bar, inzuppando il cornetto nel cappuccino, mi chiedessi, così, facendo due chiacchiere tra amici, perché Philip non vinca il Nobel, io ti direi, pulendomi dallo zucchero a velo, che semplicemente non può.

Prendi La Macchia Umana.

Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, seme: non c’è altro mezzo per essere qui.

Considera lo stile de La Macchia Umana: straordinario. Philip Roth usa la lingua con una precisione maniacale: ogni parola al suo posto, non un aggettivo in più, non uno in meno. Persino i puntini di sospensione sono tre colpi esplosi a bersaglio. E l’ironia, nella sua lingua, si affina così tanto da diventare come il filo del rasoio, come un bisturi usato con crudele precisione. Il taglio e la velocità non ti darebbero neppure il tempo per raccomandarti l’anima! 

La struttura narrativa! La perizia linguistica si incastona in una struttura narrativa liquida, che apparentemente non ha forma se non quella del contenitore, che muta in continuazione. Presente e passato si mischiano, si sovrappongono, costringendo il lettore a vivere il presente rileggendo il passato e a costruire il futuro, reinventando il passato. E’ così che Philip ti racconta la storia. 


Un professore universitario, all’apice della sua carriera, assiste allo stravolgimento della propria vita, dall’oggi al domani, perché una studentessa lo accusa di razzismo. Tutto va in frantumi e lui è costretto a riconsiderare ogni aspetto della sua vita che sino a quel momento gli aveva dato forma. Questa efficacia narrativa richiede la precisione di un tagliatore di diamanti, niente da dire.

E infine, in questo gioiello composto dalla pietra preziosa, incastonata in una struttura liquida, riluce il brillio del concetto! Altri acclamati scrittori riuscirebbero soltanto a riproporti la retorica della caduta. Ma se sei un intellettuale autentico, non puoi proprio vendere il luccichio della pentola come se fosse quello di un diamante!

Roth riesce a magnificare questa luce, proiettandola sulla penombra dell’identità. E non ti fa perdere tempo con il perenne conflitto tra individuo e società. Intreccia il discorso sull’identità attraverso l’appartenenza razziale, ma va proprio alla base, su quella che sarebbe la più chiara e inequivocabile caratteristica dell’appartenenza: il colore della pelle! Il dubbio del protagonista, il prisma da cui si dirama l’arcobaleno di significati che l’identità comporta, poggia su una domanda: il protagonista è bianco o è nero? 

Non ti racconto come ci arriva, lo so che può apparire assurdo, ma la bravura è questa. Devi leggerlo per capire quanto sia raffinato per scrivere un romanzo su un dubbio come il colore della pelle! Infatti nella trasposizione cinematografica non sono riusciti a renderlo, hanno dovuto ripiegare.

Straordinario. Veramente straordinario. 

Ma non da Nobel, no. No perché, abbi pazienza, Roth difetta di una caratteristica fondamentale. No, non è la poesia, anche se in Roth è un po’ scarna.

Quando leggi La Macchia Umana provi un profondo senso di soddisfazione, di compiacimento, di esaltazione intellettuale. E’ come essere invitato a percorrere con il dito il profilo di marmo liscio delle tre Grazie del Canova. Ne fai quasi parte, diventi quasi tu stesso l’opera d’arte. 

E’ come se ti raccontassi al bar ah ieri sera ho bevuto un Martini a Manhattan con Philip, sì abbiamo fatto due chiacchiere, dice che non scriverà più, dice che ha esaurito i temi, sai com’è fatto lui…il punto è che tu non lo sai come è fatto lui, ma sei contento che te lo stia raccontando e lo racconterai a un tuo amico, mi diceva, stamattina al bar la mia amica, quella che beve martini con Philip Roth…

Lascia stare che io non ho mai incontrato Philip Roth! E’ un certo modo di far apparire come naturale qualcosa che, ai fatti, non lo è per niente.

E’ questo il motivo per cui non riceve il Nobel: la semplicità. Manca quella immediata e rassicurante semplicità, che ti fa dire subito bello. E un Nobel deve essere immediatamente bello. Un Nobel non può, non deve, essere esclusivo.

La patente del genio prevede la capacità di tradurre la complessità in semplicità. Un’opera d’arte tramuta la complessità in bellezza e tale bellezza deve essere riconoscibile, immediata e schietta. Poi, se chi assiste è preparato, la fruizione è più completa.

Pensa alla Cappella Sistina! Alle opere di Giotto! Pensa alle Arie di Verdi! Quella bellezza è lì per tutti. In ambito letterario, pensa a Kertez, a Pirandello, a Suskind: dopo aver letto Roth distingui subito la differenza.

Per molti, ma non per tutti, recitava lo slogan di una campagna pubblicitaria di qualche anno fa.

No, non era un invito alla lettura e neppure alla Letteratura. 

Tanto meno era scritto sul cartoncino di invito agli ospiti della premiazione di Stoccolma, che Roth, ovviamente, non ha mai ricevuto.

lunedì 1 dicembre 2014

Giornata Mondiale per la Lotta Contro l'AIDS


Autore: Kary Mullis

Titolo: Ballando Nudi nel Campo della Mente

Genere: Saggio

Prima edizione: 1998

Questa non è una recensione, ma solo un consiglio mirato per la lettura. In occasione della Giornata Mondiale per la Lotta contro l'AIDS, potrebbe essere interessante avere una vaga idea, perché di questo si tratta, di cosa sia l'AIDS. In questo saggio piuttosto bizzarro, il Premio Nobel Kary Mullis offre alcuni spunti sul tema, in un capitolo dedicato.

Vale sempre il solito discorso: puoi pensarla come vuoi, ma per avere un'opinione potrebbe essere utile avere delle informazioni.

venerdì 28 novembre 2014

Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale


Titolo: Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale
Autore: Erich Maria Remarque
Prima Edizione: 1929
Genere: Romanzo
Per tutti coloro che, come me, non sanno cosa sia la guerra
Quando ero ragazzina, mentre il nonno riordinava la libreria mi faceva l’elenco dei classici che si devono leggere. Da adolescente, se i vecchi ti consigliano una lettura è garantito che la rifiuterai. Con una spocchia pseudointelletttuale vogliono forgiare la mia mente, ma io non lo permetterò, ti costruisci la tua libreria in cui ti muovi con la disinvoltura di un somaro in smoking.

Su questa dinamica, concordo con Massimo Cacciari: se volessimo far leggere gli adolescenti, dovremmo renderle la letteratura illegale! 

Ne ho sentito parlare in seguito da amici politicamente impegnati, quelli, per intenderci, che si autodefiniscono di controcultura, contro poi cosa, eviti di chiederlo. il manifesto dell’anitimilitarismo, il manifesto del pacifismo. Siccome a me tutti gli –ismi danno un senso di miasma da concetto disintegrato, l’ho sempre lasciato da parte.

A casa però ci è arrivato: era in offerta al supermercato, l’adesivo del prezzo scontato ancora ne deturpa il retro. L’ho comprato e l’ho messo lì, tra i libri da leggere, la seconda pila però, quelli che mi regalano, quelli che mi consigliano, quelli che so già che difficilmente leggerò.

Niente di nuovo sul fronte occidentale è un romanzo sulla Prima Guerra Mondiale. Se sei passato da Addio alle armi e dal Voyage hai già letto tutto! Un romanzo autobiografico per di più: come se le storie personali potessero assurgere a rilevanza storica! Un romanzo di guerra: ci sono più conflitti che libri sui conflitti e più libri di guerra che guerre di cui tu sia a conoscenza!

Una sera però, mi cade in mano, mentre sto combattendo con volumi ribelli che palesano la mia sindrome da accumulo. Lo sfoglio con superficialità e leggo a caso.

Un tempo ci sedevamo qui, chissà da quanto: da questo ponte si respirava l’odore di fresco e un po’ di putrido dell’acqua ingorgata: ci si chinava sopra la corrente…

Non è male. Torno all’incipit. Lo leggo, in piedi davanti alla libreria. Quando sento il formicolio ai piedi, mi siedo sul divano e continuo a leggere. 

Adesso sono convinta, adesso lo dico anch’io: questo libro è da leggere. 

Questo libro è da leggere perché la nostra generazione di guerra non sa niente. La guerra ci confonde: non sappiamo neppure dove siano finiti sessanta milioni di concittadini che sostenevano il Regime; non siamo in grado di capire perché per noi la Prima Guerra Mondiale è del ’15-’18, mentre per il resto del mondo è iniziata un anno prima; non sappiamo capacitarci di come noi ogni guerra alla fine la vinciamo, anche se perdiamo.

Il punto è che noi di guerra non sappiamo niente, a differenza di chi l’ha vissuta e per cui era tutto ciò che non capiva a discapito della propria esistenza. Non lo sappiamo perché non ci appartiene, culturalmente è una fotografia in bianco e nero persa nel cassetto dei ricordi di famiglia.

Mi dirai che anche oggi ci sono guerre in ogni parte del mondo, che alcuni nostri coetanei sono impegnati in missioni di pace, che ogni sera i telegiornali, mentre giri gli spaghetti nel piatto, ti informano sull’ultima battaglia. E tu, che hai una profonda coscienza civile, ti fermi un momento a guardare la duna da cui sbuca la colonna di miliziani, il posto di blocco vicino al fiume gelato, il giornalista che commenta, mentre torni agli spaghetti.

Neanche Paul Bäumer, il protagonista del romanzo, che sul fronte ci va, sapeva niente di guerra. Si arruola con tutti i suoi compagni di classe, con l’entusiasmo dei giovani, con lo spirito tracotante dell’eroe in nuce, che ha però prodotto una miriade di metri cubi di carne macellata. 

 Ci andarono molti, con promesse di gloria dichiarate dai padri, dai padri della Patria, pari della cultura, dai padri e basta: vai, è un nostro chiodo fisso. Ma quattro chiodi fissi fanno una croce.

Mentre essi continuavano a scrivere e a parlare, noi vedevamo gli ospedali e i moribondi; mentre essi esaltavano la grandezza del servire lo Stato, noi sapevamo già che il terrore della morte è più forte.

Noi di guerra non possiamo saperne nulla, anche perché non è cosa da poter essere insegnata. Qualcosa in più forse sappiamo delle promesse mancate. Ma nessuno di noi ha avuto il dispiacere di incontrare se stesso un attimo prima di diventare un cadavere, giocando a dadi con la morte, nessuno di noi può sapere quanto in basso può arrivare per non lasciare la pelle nel fango.

Questo libro non è un classico in assoluto, ma è un classico del futuro, dal momento in cui è stato scritto in avanti; non è neppure un manifesto dell’antimilitarismo, che l’autore esprime in altri scritti; non è un elogio del pacifismo, perché traduce all’incredulo la logica dell’assassinio senza ragione.

Questo libro non vuole essere né un atto di accusa, né una confessione. Esso non è che un tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se è sfuggita alla morte – venne distrutta dalla guerra. 

Questo libro è un inno alla vita, con l’augurio di un’ignoranza sapiente.

venerdì 21 novembre 2014

Il Libretto Rosso


 
Titolo: Novelle
 
Genere: Racconti brevi
 
Recensione di: Chiara Bortolin
 
 
 
Capita, talvolta, di leggere un racconto attraversato da una scheggia di luce.

Può essere una riflessione, un concetto magari semplice, a cui non avevi mai pensato o a cui ti è occorso di pensare, senza però riuscire a esprimerlo.

Capita, più di rado, che il concetto sia anche espresso da una narrazione perfetta, in cui le parole tracciano una chioma luminosa di bellezza.

Quando questo accade, una sensazione di immeritata fortuna e soddisfazione ti pervade, come quando trovi per strada una moneta improvvisa.

Il libretto rosso di Luigi Pirandello è una di queste fortune, forse non abbastanza visibile nel cielo stellato della sua immensa produzione letteraria, che però è da indicare e ricordare, come una Stella Polare sui generis che può orientare il pensiero in direzione della terra.
 
Procediamo con ordine.
 
Il concetto è da subito chiaro, perché Pirandello è uno scrittore di precisione. Il racconto si apre con la descrizione rude, grottesca direbbe l’autore, del paese in cui si svolgono i fatti. 

Nisia. Grosso borgo affaccendato, su una striscia di spiaggia del mare africano.
Nascere in mal punto non è prerogativa soltanto degli uomini.

Capisci immediatamente: la faccenda non avrà un lieto fine. Ma intuisci anche che questo indugiare sui particolari non è casuale, perché non rappresenta una panoramica dell’ambiente in sé, ma la mappatura dell’animo umano. La descrizione corona il concetto, quello semplice, lampante e incisivo di cui scrivevo prima:
 
Molta indulgenza bisogna avere per gli abitanti di Nisia, perché non è molto facile essere onesti quando si sta male.

In due righe, con ovvia e rassegnata serenità, l’autore identifica come teatro di posa le millenarie filosofie del bene in sé, dell’amore discendente e dell’opposizione al male; ma poiché il racconto potrebbe lasciare una sensazione fuorviante, Pirandello da ultimo, con discrezione, in un inciso, riassume tutto: sorride tra le lagrime.
 
Tutto ciò attraverso la narrazione, che ha fatto scuola, che cercano di insegnarti nelle scuole: introduzione, svolgimento e conclusione.

Solo che quando lo fai tu, seduto al banco davanti alla lavagna, questi tre blocchi assumono quella forma rigida e peculiare di ogni metodo. Hanno un bel da dirti gli insegnanti il testo deve scorrere via, non può saltare così! Un avverbio, un aggettivo, un’interiezione deve proprio esserci. Le frasi devono susseguirsi! 

E’ frustrante, oltre che inutile, come ammaestrare il gatto ad abbaiare! Ci sarà un motivo se Luigi è un gigante della Letteratura, mentre tu te la cavi con un sei che ghigna al sette!

No, non lo risolvi con un sermone alla prima ora di italiano. La verità è che affinché tutto fili via liscio, come una melodia, come un Per Elisa, non ti basta il metodo. Devi possedere altro, oltre al concetto chiaro in testa e le parole nitide già dentro la penna. Ci vuole il genio, o almeno un raffinato talento truffaldino.

Ci vuole poesia. La poesia turpe dell’animo umano, quella che porta alla pietà, là dove altri definiscono solo un disprezzato interesse meschino.

La pietà, che non è propriamente quella forma di pubblica compassione riservata ai questuanti, di grazia, non quella! Ma la pietas latina, che permette a un poeta di vestire con bellezza la miseria, così da renderla tollerabile, conosciuta e addirittura comprensibile. Perché l’orrore in sé non lo sarebbe e ti troveresti a voltare lo sguardo verso la vetrina successiva di Yve Saint Laurent: Ci vuole un Pirandello che renda giustizia con la sua meditata tenerezza.
 
Il porcello lo sa, che ha avuto bisogno di latte anche lui, e n’ha avuto, oh! ne ha avuto tanto, perché la mamma sua, benché porca, notte e giorno gliene diede con tutto il cuore, finché ne volle.

Per Pirandello, persino la scrofa afferra che il suo porcellino deve essere nutrito, la scrofa, detta anche porca, che noi escludiamo dagli esempi di amore materno, la scrofa si prende cura del suo porcellino.

Le galline sono tanto stupide che covano anche le uova fetali da altre, e quando da queste uova non loro nascono i pulcini, normanno distinguerli da quelli nati dalle uova loro e li amano e li allevano con la stessa cura.

Le galline, proprio quelle che per antonomasia rendiamo metafora di inettitudine. Anche le galline sono in grado di allevare i propri pulcini.
 
La protagonista del racconto è una madre che ama unicamente la sua figlia biologica, diremo noi oggi, e non il bambino che ha adottato, per denaro. Non è che non provi un briciolo di angoscia, un tentennamento, un dubbio. Ma non è abbastanza e l’amore per la figlia diventa colpa verso un figlio di nessuno.

Eppure non è soltanto lei a essere colpevole, ma anche la ragazza e il suo fidanzato, il Maltese e il paese intero: tutto quel luogo degradato in cui vivono è colpevole.

A nessuno importa di un bambino dai vincoli familiari e sociali così allentanti, nonostante la Legge, a causa alla Legge. Morirà di fame, il bambino, di quella fame sconosciuta ai porcellini e ai pulcini che, per grazia di un bestiale senso materno, vengono accuditi.

Non c’è rancore nelle parole di Pirandello, ma questo lo intuisci già dall’inizio, anche se non gli è proprio possibile tacere la sua indulgente ironia:
 
Se vogliono respirare, debbono andare lassù; ci vanno da morti, e si figurano che, morti, respireranno.

È una bella consolazione.

Sì, è una bella consolazione che per mille atrocità piccole o per cento meschinità enormi ci sia un Pirandello a raccontarle così, oltre al teatro di posa, attraverso la poesia, con bellezza, al di là dell’animo umano, all’interno dell’animo umano, come una scheggia di luce che rischiara il libro delle nostre esistenze, in attesa dell’alba.

A che ora è la notte?

venerdì 14 novembre 2014

Regali di Natale



10 Buoni Libri per 10 Buoni Amici

 


Autore: Harper Lee

Prima Edizione: 1960

Genere: Romanzo

Orientamento: Per capire quando il pregiudizio sia inutile

Assaggio: A volte fa più male la Bibbia in mano a un uomo qualunque, che una bottiglia di whiskey in mano a... a tuo padre, per esempio.

 


Autore: Milan Kundera

Prima Edizione: 1970

Genere: Racconti

Orientamento: L’amore può non essere quello che si crede.

Assaggio: Ma vanno così le cose della vita: uno pensa di recitare la sua parte in uno spettacolo e nemmeno si immagina che sul palcoscenico nel frattempo, di soppiatto, hanno cambiato lo scenario e senza saperlo si ritrova nel bel mezzo di uno spettacolo completamente diverso

 

Titolo: Il profumo

Autore: Patrick Süskind

Prima Edizione: 1985

Genere: Romanzo

Orientamento: Tu che odore hai nel mondo?

Assaggio: Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l'aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c'è modo di opporvisi.

 

Titolo: La Chimera

Autore: Sebastiano Vassalli

Prima Edizione: 1990

Genere: Romanzo

Orientamento: E se la strega fossi tu?

Assaggio: È qui infatti, nelle liti di cortile, che l'odio umano si raffina e si esalta fino a raggiungere vette insuperabili, diventa un assoluto. È l'odio puro: astratto, disincantato, disinteressato; quello che muove l'universo, e che sopravvive a tutto.

 


Autore: Antonio Tabucchi

Prima Edizione: 1994

Genere: Romanzo

Orientamento: Se non ti interessa, diventerai responsabile.

Assaggio: La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro.

 

Titolo: Le Braci

Autore: Sandor Marai

Prima Edizione: 1942

Genere: Romanzo

Orientamento: Non sono le risposte giuste, ma le domande.

Assaggio: Non è vero che il destino si introduce alla cieca nella nostra vita: esso entra dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato, facendoci da parte per invitarlo ad entrare.

 


Autore: Leonardo Sciascia

Prima Edizione: 1961

Genere: Romanzo

Orientamento: Per capire che uomo sei

Assaggio: "Io" proseguì don Mariano "ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, chè mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono cioè i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre."

 


Autore: Maichail Bulgakov

Prima Edizione: 1966

Genere: Romanzo

Orientamento: Un immaginifico viaggio nella realtà dell’animo umano

Assaggio: Seguimi lettore! Chi ha detto che non c'è al mondo un amore vero, fedele, eterno? Gli taglino la lingua malefica a quel bugiardo! Seguimi lettore e io ti mostrerò un simile amore! No, si ingannava il maestro quando all'ospedale, verso mezzanotte diceva con amarezza a Ivanuska che essa l'aveva dimenticato. Questo non poteva accadere. Lei naturalmente non l'aveva dimenticato.

 


Autore: Oscar Wilde

Prima Edizione: 1891

Genere: Romanzo

Orientamento: Per evitare di restare giovani e cretini.

Assaggio; L'esperienza non aveva alcun valore etico, era semplicemente il nome che gli uomini davano ai loro errori. Di regola, i moralisti l'avevano ritenuta un avvertimento, avevano sostenuto che essa aveva una certa efficacia nella formazione del carattere, l'avevano esaltata come qualcosa che ci insegnava la via da seguire e ci mostrava quella da evitare. Ma nell'esperienza non c'è forza motrice. Come causa attiva aveva lo stesso infimo valore della coscienza. In realtà dimostrava solo che il nostro futuro sarà uguale al nostro passato e che il peccato che abbiamo commesso una volta, con disgusto, lo ripeteremo molte volte con gioia.

 


Autore: Nico Orengo

Prima Edizione: 1997

Genere: Racconto

Orientamento: Un curioso viaggio nella tradizione

Assaggio: Camminavano, s'arrampicavano impacciati mentre l'aria intorno cambiava sapore. Quando la vegetazione lo consentiva lanciavano lancia e freccia verso tordi, merli, pernici rosse e bianche, gracchi e poiane. Abbattevano cinghiali e marmotte, camosci e stambecchi. Quando non trovavano selvaggina si dividevano un pugno d'acciughe conservate sotto sale.

Dedica

Ad Andrea, certo che 'l trapassar dentro è leggero